Libri consigliati

Vuoi imparare a leggere molto più veloce? Prova il libro Lettura veloce 3x! leggi

La fisica della mente: un viaggio affascinante all'interno del cervello leggi

Sicurezza sul Web: un manuale semplice ma in grado di insegnare a proteggersi in modo molto efficace leggi

Argomenti più visitati

Oncologia - Il carcinoma della mammella leggi

Cardiologia - Rapida interpretazione dell'elettrocardiogramma leggi

Gastroenterologia - Il morbo celiaco leggi

Articoli-medicina.blogspot.com
Il primo archivio libero di informazioni mediche, articoli e appunti di studenti di medicina e chirurgia.

Home
Torna alla homepage del sito. L'utilizzo del materiale fornito non è da considerarsi sostitutivo ad un parere medico.

Login
Se sei un autore, clicca qui per entrare. Ogni articolo è di proprietà del singolo autore.

domenica 10 maggio 2009


Neoplasie polmonari e pleuriche

I tumori polmonari vanno distinti in primitivi (quando il tessuto d’origine è il parenchima polmonare) e secondari (metastasi di tumori a partenza da un altro organo). Vanno inoltre distinti in benigni (rari) e maligni, la quasi totalità.
- TUMORI BENIGNI: alcuni possono avere una certa potenzialità evolutiva e per quasto vengono definiti a basso grado di malignità. Evolvono molto lentamente recidivano in loco e danno raramente metastasi. Non riconoscono un principale agente eziologico. I principali sono gli adenomi che si presentano come neoformazioni con sede in un bronco principale o lobare, aggettanti nel lume con accrescimento endobronchiale.
- TUMORI MALIGNI: il carcinoma polmonare è la neoplasia toracica più frequente nell’uomo e detiene il record della mortalità. Il numero di nuovi casi continua ad aumentare. Il picco d’incidenza si registra tra la quinta e sesta decade di vita.
Fattori di rischio:
- fumo di sigaretta: anche le consorti di soggetti fumatori presentano un rischio 2-3 volte più elevato di contrarre la malattia
- fattori genetici: spesso sono associate ad anomalie cromosomiche
- fattori occupazionali: gli agenti eziologici possono essere chimici o fisici: radiazioni, catrame, asbesto, nichel,…
- fattori ambientali
- dieta: si è dimostrata una correlazione tra maggior consumo di verdure e minor rischio neoplastico; il contrario è stato dimostrato per i grassi polinsaturi.
I tumori maligni possono essere distinti in
- tumori non a piccole cellule ( NSCLC: non small cell lung cancer):
• CA a cellule squamose
• Adenocarcinoma
• CA a grandi cellule
- microcitomi o tumori a piccole cellule ( indifferenziati a piccole cellule di derivazione neuroendocrina; SCLC).
TUMORI NSCLC
- carcinoma squamoso: caratterizzato da lesioni isolate, rotondeggianti nel contesto del parenchima polmonare o come tumori stenosanti dell’albero bronchiale
- adenocarcinoma: si sviluppa prevalentemente alla periferia del polmone ed è così chiamato per la presenza di strutture simil-ghiandolari. Esistono 4 sottotipi: l’adenocarcinoma acinoso, l’adenocarcinoma papillare, l’adenocarcinoma solido con formazione di muco e il carcinoma bronchioloalveolare.
- Carcinoma a grandi cellule: è caratterizzato dall’espressione di diversi marcatori tra cui la cheratine, l’antigene epiteliale di membrana e il CEA
TUMORI SCLC
Si sviluppano di solito centralmente e si caratterizzano per:
- origine neuroendocrina
- diffusione rapidissima
- breve tempo di raddoppiamento
- risposta critica alla TAC e all’Rx torace.
- Rispondono inizialmente molto bene alla chemioterapia
CLINICA: si manifesta con un ricco quadro sintomatologico che comprende: tosse, emoftoe, dolori, astenia, inappetenza, sindrome di Horner (miosi, ptosi, anidrosi), sindrome mediastinica (disfonia, disfagia, dispnea), nonché un raro corredo di sindromi paraneoplastiche associate (iponatriemia, sindrome di Cushing, acromegalia, sindrome miastenica, encefalite autoimmune,…).
STADIAZIONE: la fase diagnostica e la successiva valutazione dell’estensione della malattia richiedono l’impiego di molti metodi oggi disponibili: Rx torace, esami ematochimici, esame dell’espettorato ed esame bioptico, TAC del torace, scintigrafia polmonare perfusoria e RMN. La certezza della diagnosi dipende dalla quantità di cellule maligne non necrotiche presenti nel campione bioptico.
TERAPIA: le opzioni terapeutiche variano a seconda della stadiazione della neoplasia. La chirurgia rappresenta la modalità terapeutica più efficace in quanto è l’unica che può garantire una buona probabilità di guarigione nel tempo. Tuttavia non può essere praticata in pazienti con malattia già in stadio avanzato per cui si procederà ad altri interventi chemioterapici o radioterapici per la palliazione del dolore.
- MESOTELIOMA PLEURICO MALIGNO: è una neoplasia rara ma la sua incidenza aumenta notevolmente in determinate aree in cui è presente una notevole esposizione all’asbesto. È una neoplasia maligna che origina dalla pleura e tendere ad invadere specificamente le strutture adiacenti.
PATOGENESI: l’asbesto o amianto èun termine commerciale che designa una serie di fibre minerali resistenti al calore e all’attrito. Ha molteplici applicazioni, ma viene utilizzato prevalentemente nel settore cantieristico navale e dell’edilizia per la fabbricazione di materiali ignifughi. Si presenta in due forme:
- a fibre serpentine (asbesto bianco)
- a fibre aghiformi (asbesto marrone), le più aggressive in quanto sono in grado di bucare le cellule dell’epitelio respiratorio e di resistere alla digestione macrofagica.
Le fibre, giunte in fondo all’albero respiratorio, vengono fagocitate dai macrofagi che però non riescono ad eliminarle provocando un’infiammazione e la produzione di radicali liberi. L’asbesto è in grado di catalizzare la formazione di radicale ossidrile altamente reattivo, instabile e tossico che danneggia la parete cellule e in un secondo tempo produce anione superossido.
Il fumo non aumenta il riscio di mesotelioma.
CLINICA: l’esordio è di solito insidioso con modesto deficit respiratorio, dolore toracico, affanno, tosse, dispnea, calo ponderale ed astenia. Il sintomo più penoso si verifica con il progredire della malattia ed è il dolore dovuto all’infiltrazione della parete toracica. La diffusione al polmone è in genere solo locale ma la compromissione funzionale è quasi totale per la compressione della massa tumorale (polmone incarcerato)
TERAPIA: per quel che riguarda l’intervento chirurgico, la resezione deve riguardare la pleura se la lesione è limitata ( pleurectomia con decorticazione) e includere il polmone colpito se non c’è sconfinamento esterno ( pleuropneumonectomia). La radioterapia è efficace per la palliazione del dolore ed è utilizzata come profilassi per impedire la diffusione neoplastica a seguito di interventi diagnostici invasivi. La pleurodesi (unione della pleura parietale al polmone) chimica con talco (talcaggio pleurico) fa parte dei trattamenti palliativi, e si effettua spruzzando in toracoscopia talco sterile nel cavo pleurico.
Circa l’80% dei mesoteliomi è comunque dovuto all’amianto per cui la prevenzione è basata sull’eliminazione totale dell’asbesto presente nei prodotti industria

Le reazioni di ipersensibilità di tipo 1 e 2

La classificazione di Gell e Coombs vale ancora tutt'oggi. Le reazioni sono classificate in 4 tipi.
Le prime tre reazioni sono più veloci a manifestarsi (addirittura la prima avviene in pochi secondi o minuti) e sono mediate da anticorpi. Nel 1° tipo gli Anticorpi sono IgE, invece nel 2° e nel 3° abbiamo IgG. Infine la 4° ,detta ritardata, si manifesta con una latenza fino alle 72 ore ed è dovuta ad antigeni solubili; un esempio classico è la reazione tubercolare (è cellulo-mediata). Le cellule sono le Th1 e i macrofagi attivati.

IPERSENSIBILITA' DI TIPO I
Le reazioni , anche dette di allergia o atopia, sono mediate da IgE. Possiamo avere manifestazioni cliniche di diverso tipo, più o meno grave: dalla banale rinite allergica, alla reazione di orticaria acuta, all'asma. Anche le allergie alimentari sono comprese in questo gruppo. Sono date da sostanze proteiche che possono venire chiamate allergeni. Sono sostanze vegetali (pollini) o farmaci. Le vie di penetrazione più comuni sono la via inalatoria o la via gastroenterica; nel caso di farmaci o veleni di insetti possiamo avere la via percutanea, con passaggio nel circolo sistemico.
Immaginiamo che un polline venga inalato, a livello della mucosa respiratoria c'è solubilizzazione di questo allergene (Ag) e passaggio nel tessuto sottostante. A livello di questo tessuto, essendoci penetrazione di Ag, si può innescare infiammazione. Eventualmente le cellule innate possono svolgere una regolazione della risposta allergica. L'allergene può essere captato dalle cellule dendritiche del tessuto; esse lo processano e lo portano ai linfonodi dove i peptidi antigenici sono presentati alle Thelper che sono ancora naive. Le Thelper, in seguito al fatto che gli allergeni inducono di per sè produzione citochinica di tipo 2 (IL4,IL5 e anche IL13), determinano lo spostamento verso Th2. Le Th2, sempre presso il linfonodo, entreranno in contatto anche con i linfociti B, quelli chiaramente specifici per l'Ag. I B attivati dalle Th2, attraverso il dotto toracico e il sangue, tornano ai tessuti dove le Th2 diventano effettrici e producono le citochine tipiche di Th2 (IL4,IL5,IL13) attive sui linfociti B (switch isotipico). Invece di indirizzarsi verso le IgG, come avviene nel soggetto non allergico, il linfocita B nel soggetto allergico produrrà IgE. Quindi IL4 e IL13 determinano differenziamento in plasmacellule IgE secernenti. Queste IgE prodotte in quantità, diffondono nel tessuto attraverso il circolo linfatico ed ematico. Nel sangue incontreranno i basofili e nei tessuti incontreranno i mastociti. Questi tipi cellulari sono essenziali nella reazione di tipo 1° perchè al momento di un nuovo contatto con l'Allergene sono indotte a rilasciare i mediatori tipici dell'allergia. Cosa succede allora? Le IgE che sono rilasciate in circolo e diffondono nei tessuti, vanno a legarsi su recettori che sono specifici per la porzione Fc delle IgE, FCepsilonR1, detti recettori ad alta affinità per IgE. Avremo, in questo modo, sia in circolo sia nel tessuto, mastcellule e basofili "armati" di recettori specifici con IgE specifiche per quel dato allergene che ha iniziato la reazione. Questa è la fase di sensibilizzazione.
Dicevamo che le reazioni di ipersensiblità avvengono sempre al secondo contatto. Ebbene nel caso di una successiva ondata di allergene che penetra a livello di mucose, nel tessuto questo allergene troverà molte mastcellule armate, ossia sensibilizzate con le loro IgE specifiche sul recettore. Gli allergeni potranno così legarsi alle loro IgE specifiche. Si determina a questo livello un cross legame tra 2 IgE vicine sulla superficie del mastocita. La mastcellula viene allora attivata dal legame con l'allergene che fa da ponte tra 2 IgE continue e ciò determina la degranulazione delle mastcellule. I granuli delle mastcellule contengono mediatori sia della risposta allergica sia della risposta infiammatoria. Abbiamo mediatori preformati come istamina, serotonina ed eparina. Poi ci sono mediatori che sono prodotti al momento del cross-legame.,quindi leucotrieni, prostaglandine e poi TNF o chemochine. Queste sostanze si liberano a livello tissutale, ad esempio allergia respiratoria o allergia alimentare, considerando che i mastociti sono numerosi nei connettivi sottoepiteliali dei tratti respiratorio e gastroenterico. Questi mediatori sul tratto respiratorio danno vasodilatazione, edema, costrizione della muscolatura liscia dell'albero respiratorio (broncocostrizione). A livello gastroenterico si ha attivazione della muscolatura liscia con aumento della persitalsi. Dato che le mastcellule producono anche citochine e chemochine, si avrà extravasazione e risposta infiammatoria localizzata.

Cenni sugli allergeni
Sono sostanze perlopiù proteiche e devono avere alcune caratteristiche comuni.
- Attività a basse dose. Bastano piccole dosi. Addirittura una presentazione dell'Ag a basse dosi sarebbe l'elemento atto a favorire lo spostamento della risposta verso Th2. Nel caso la presentazione ottimale è dovuta a cellule dendritiche di tipo mieloide.
- In molti casi si è notato che gli allergeni hanno attività enzimatica. Ad es. l'estratto del Dermatophagoides (acaro comune). Il Der P1 è una proteasi cisteinica che ha funzione tipica sulle giunzioni strette degli epiteli. Alcuni allergeni hanno azione proteolitica su determinate proteine recettoriali dei linfociti T e B per es. su CD25 (catena del recettore per IL2) che quindi può interferire con risposta delle Th1 all'IL2 e spostare la risposta verso Th2. A proposito del Dermatofagoide, Der P1, si fa strada attraverso le giunzioni strette e riesce a penetrare tra una cellula e l'altra.
Ricordiamo le allergie occupazionali, legate a certe attività lavorative. Per es. in manipolazioni di certe sostanze di natura proteica si osservano fenomeni di allergia. Due esempi sono la papaina, enzima derivato dalla papaia che rende le fibre della carne più tenere ed è utilizzata nell'industria alimentare e la subtilisina, addittivo enzimatico usato spesso nei detersivi. Si è visto che se inoculiamo papaina nei topi si induce una risposta IgE. La Chimopapaina è usata per rimodellare i dischi intervertebrali nei pazienti affetti da sciatica e può determinare anafilassi.
Un discorso può essere legato a quello degli alimenti transgenici, un gene ricavato da noce brasiliana codifica per una proteina ricca in Cys e Met; ebbene alcuni di questi geni vengono trasferiti artificialmente per es. nella Soya. Se un individuo ingerisce un alimento nel quale è trasferito geneticamente un tratto che codifica per una sostanza verso cui è allergico, si può avere reazione.

Gli Anticorpi IgE
Sono in forma monomerica e sono più pesanti delle IgG. Presentano un dominio C in più, Cepsilon4. Sono la classe anticorpale identificata per ultima. I Giapponesi hanno identificato un mieloma IgE. Normalmente nel soggetto normale, i livelli sierici non sono elevati: 0.1-0.4 mg/ml. Ma anche nell'allergico non sono elevatissime: 1mg/ml. La differenza c'è. IgE però ha un'emivita breve rispetto ad altre immunoglobuline. Nell'allergico le IgE sono poi quasi tutte sequestrate dai basofili e dai mastociti. In condizioni fisiologiche il non-allergico fa IgE in risposta a infestazioni parassitarie. Le IgE infatti vanno ad armare in questo caso i granulociti eosinofili, tossici contro i parassiti. L'eosinofilo ha recettore per IgE, riconosce epitopi antigenici sulla superficie del parassita ed attiva lisi. Le IgE non passano la placenta. Le IgE sono sintetizzate attraverso il differenziamento verso Th2 grazie alle citochine che sulla B stimolano switch isotipico verso IgE (IL4, IL5, IL13). L'elemento più discusso è come sia possibile che ad un certo punto il soggetto diventi allergico, e quindi la sua risposta verso determinate sostanze diventi IgE invece di IgG. Si sono fatti studi su animali. La natura dell'allergene gioca un ruolo essenziale. E' poi importante la presentazione dell'allergene da parte di dendritiche con funzioni precise e che siano in grado di rispondere a determinate chemochine. Ad es. la presenza di certe chemochine, attive sui monociti, che sopprimono la produzione di citochine che indirizzano verso Th1. Se c'è già una risposta infiammatoria con cellule dell'immunità innata presenti nel sito di penetrazione, non si andrà necessariamente verso Th2. Infatti se l'ambiente è ricco di IL1 o IL12 sarà favorita la risposta Th1 infiammatoria.

Teoria dell'Igiene.
In quest'ottica si basa anche l'ipotesi dell'igiene, secondo cui, nella prima infanzia soprattutto, si tende ad entrare facilmente in contatto con certi patogeni. Il Sistema Immunitario diventerà così capace di generare risposte Th1. Il neonato tende di suo a rispondere con generazione Th2 per cui, se c'è un contatto idoneo con patogeni, il Sistema Immunitario del neonato imparerà a rispondere con Th1. Se il neonato viene tenuto in ambiente troppo asettico e pulito e il sistema Immunitario non si cimenta con patogeni appropriati, questo non diventerà capace di fare risposte di tipo "infiammatorio" Th1 e quindi svilupperà allergie.

Un altro elemento importante nella produzione di IgE è il segnale costimolatorio ossia interazione CD40 delle cellule B e CD40ligando delle T. Questo è essenziale per lo switch isotipico. Esiste un'immunodeficienza dove c'è un difetto genetico del CD40ligando per cui non si ha segnale e gli individui affetti faranno soltanto IgM e non potranno fare altre classi.

Cause dell'allergia.
Ricordiamo intanto che oltre alla fase immediata esiste anche una fase tardiva. La prima si basa sul rilascio di istamina, prostaglandine e leucotrieni; mentre la seconda è dovuta alle citochine infiammatorie rilasciate dai mastociti. E' una fase che tende a cronicizzare; quando si instaura la tardiva è anche più difficile la terapia.
Gli allergici possono avere genitori allergici ma il fattore ambientale gioca un ruolo importante. Quindi vanno considerati sia fattori genetici sia la famosa ipotesi dell'igiene già detta. L'atopia o allergia è quindi su base familiare. Sono stati identificati numerosi loci genetici nei quali determinati polimorfismi possono essere elementi predisponenti all'insorgenza della stessa. Studi su famiglie di soggetti atopici hanno consentito di identificare loci genetici su cromosoma 11 e cromosoma 5. Sul cromosoma 11, un polimorfismo può essere a carico del gene che codifica per una subunità del recettore FCepsilonR1. Sul cromosoma 5, invece c'è una serie di geni candidati all'aumento di suscettibilità e, tra questi, geni che codificano per citochine coinvolte nella reazione allergica. Per es. variazione nel promotore del gene per IL4 si associa con aumentati livelli di IgE. Sempre sul cromosoma 5 c'è la famiglia dei TIM (Tcell Immunoglobulobulin Mucina Domain) che codifica per proteine di superficie di cellule T; si è visto che variazioni di questi sono correlate a maggior reattività delle vie aeree verso allergia. Un altro gene è quello che codifica per subunità p40 dell'IL12 che ha attività opposta alle citochine favorenti l'allergia; in questo caso variazioni di questo gene danno minor produzione di IL12 e a prevalenza di citochine Th2. Poi ci sono fattori legati alla presenza di determinati alleli HLA. Per es. la maggior capacità di produrre IgE sembra essere legata a determinati alleli HLA di classe II: in particolare alcune associazioni di questi alleli di classe 2 con peptidi derivati da allergeni. La presenza di certi alleli HLA cl.II predisporrebbe il soggetto a presentare meglio peptidi di certi allergeni.
Esistono test diagnostici clinici. Test cutanei per valutare reazioni a determinati allergeni. C'è possibilità di dosare IgE siero attraverso test radioimmunologici di laboratorio: il PRIST ci consente di dosare le IgE totali; il RAST dosa le IgE specifiche per un dato allergene.

IPERSENSIBILITA' di TIPO II
Anche queste prevedono sensibilizzazione come tutte. Sono mediate dalla classe IgG in prevalenza. Nella classificazione sono presenti anche le reazioni da trasfusione in cui sono coinvolte IgM. Possiamo mettere come esempi:
- anemia emolitica da farmaci o trombocitopenia a seconda del target
- malattia emolitica del neonato

L'Ag nelle reazioni di II tipo è cellulare. Sono Ag che son presenti o sui globuli rossi o sulle piastrine. Gli Anticorpi, riconoscendo gli Antigeni, possono danneggiare la cellula che li esprime con meccanismi diversi: lisi mediata dal complemento oppure attivazione di cellule effettrici che hanno recettori per Fc delle IgG, in modo tale che la lisi avviene per meccanismo della Citotossicità Cellulare Anticorpo Dipendente (ADCC).
Abbiamo la cellula bersaglio con gli Antigeni di membrana. Gli anticorpi che vengono prodotti contro questi vanno a legare gli epitopi. Poi può intervenire un fagocita che interiorizza la cellula opsonizzata (macrofago) oppure se si attiva il complemento abbiamo due diverse modalità. Si può formare il MAC con lisi osmotica oppure di nuovo opsonizzazione e fagocitosi.
La ADCC è un meccanismo di lisi cellulare dovuta al fatto che la cellula bersaglio, che esprime Antigeni di membrana, lega anticorpi IgG che, dalla parte del frammento Fc, sono legati ad effettori: granulociti, cellule NK o macrofagi. Questo determina rilascio di radicali liberi e mediatori litici e infine la citolisi.

Anemia emolitica (da farmaci di solito)
Il meccanismo iniziale è la trasformazione delle proteine di membrana dovuta a legami con farmaci. Tipico quello della penicillina. Gli effetti sono fenomeni di anemia con distruzione di globuli rossi o trombociti. Altri farmaci sono ad esempio la chinidina usata per aritmie o antipertensivi come la metildopa. Molecole di farmaco possono legarsi a componenti di superficie di globuli rossi e di piastrine; legandosi si formano nuovi epitopi antigenici, riconosciuti come estranei: questo determina produzione di IgM e poi di IgG specifici per il coniugato farmaco-proteina di membrana (esempio: la penicillina legata a proteine di membrana degli eritrociti). Gli eritrociti vengono rivestiti dal complemento e fagocitati dal macrofago. I macrofagi potranno processare e quindi presentare peptidi derivati dal coniugato a Thelper, con risposta indirizzata verso Th2 ma, in questo caso, non vengono prodotte IgE bensì IgG (anche se può esistere anche una forma di allergia IgE mediata della penicillina). Le IgG legheranno i residui del farmaco legati all'eritrocita; i globuli rossi potranno essere sia fagocitati sia lisati con ADCC o complemento. Il risultato finale è comunque la distruzione di molti G.R. con generazione di anemia.

Malattia emolitica del neonato
E' reazione di tipo II nei confronti dell'Antigene Rh che è presente sui globuli rossi. Gli Rh+ hanno l'antigene sugli eritrociti, i negativi no. Quando una donna Rh- va incontro a gravidanza con feto Rh+, la prima gravidanza è considerata fase di sensibilizzazione. Il passaggio di emazie dal feto alla madre è minimo. La sensibilizzazione vera e propria può avvenire solo al momento del parto: col distacco della placenta, c'è passaggio di una quantità più sostanziosa di sangue fetale nel circolo materno. La madre vede l'antigene e innesca una risposta immunitaria verso questo, con produzione di anticorpi che però non possono nuocere perchè il bambino è nato. Sono prodotte però anche cellule memoria. E' chiaro che in caso di una seconda gravidanza i pochi globuli rossi che possono passare dal feto alla madre sono sufficienti a riattivare la risposta immune: la seconda risposta è più rapida grazie alle memoria, c'è switch verso IgG e queste IgG prodotte dalla madre passano la placenta e giungono nel circolo fetale. Essendo specifiche per Rh andranno a legare i globuli rossi del feto e si avrà emolisi fetale, distruzione mediante le varie vie ADCC, fagocitosi, ma non attraverso il complemento in quanto le IgG lo fissano meno bene rispetto alle IgM (le IgM peraltro non passano la placenta). Gli eritrociti distrutti, rilasciano emoglobina che viene trasformata in bilirubina, tossica a livello renale e cerebrale. E quindi il danno è pesante per il feto. L'anemia può essere lieve per cui c'è compensazione con emopoiesi fetale. Oppure può essere grave con ittero e presenza di bilirubina non coniugata in grado di passare la barriera emato-encefalica, non ancora ben sviluppata, e legarsi alla frazione lipidica dei tessuti del SNC, determinando danni. Cosa possiamo fare per evitare la reazione? Si può fare profilassi. Alla madre che ha partorito il primo figlio che rischia di essere sensibilizzata contro Rh, si possono somministrare Ig anti Rh che vanno selettivamente a legare l'Rh dei globuli rossi fetali che sono penetrati nel circolo. Neutralizzano quindi l'Antigene, che non può essere visto dal Sistema Immunitario della madre, e allo stesso tempo facilitano l'eliminazione degli eritrociti fetali. La profilassi, introdotta dal 1970 ha determinato una drastica riduzione delle morti fetali, dovute a questa reazione. Una donna Rh- negativa che va incontro a gravidanza dovrà essere monitorata e sottoposta al test di Coombs per vedere se presenta in circolo anticorpi anti Rh.

Rapida interpretazione dell’elettrocardiogramma

L’ECG è la registrazione dell’attività elettrica del cuore. È costituito da 12 derivazioni: D1, D2, D3, aVR, aVl, aVF , le periferiche che esplorano il cuore sul piano frontale e V1, V2, V3, V4, V5, V6, le precordiali che esplorano il cuore sul piano orizzontale.
REGISTRAZIONE: si fa stendere il paziente supino sul letto a torace nudo e si applicano gli elettrodi ai polsi e alle caviglie per le derivazioni periferiche ( rosso per il polso dx, giallo per il polso sn, nero per la caviglia dx e verde per la caviglia sn) e nell’area precordiale per le derivazioni omonime:
- V1 quarto spazio intercostale sulla marginosternale dx
- V2 quarto spazio intercostale sulla marginosternale sn
- V3 quinto spazio intercostale sulla parasternale sn
- V4 tra V3 e V5
- V5 quinto spazio intercostale sull’emiclaveare sn
- V6 quinto spazio intercostale sull’ascellare anteriore sn.
L’ECG, come già detto, registra l’attività elettrica del cuore. La depolarizzazione ha origine nel nodo seno-atriale situato nell’atrio destro e dotato di una sua automaticità. Da qui la corrente elettrica si dirige verso sinistra e in basso andando a depolarizzare entrambi gli atri (tramite il fascio di Bachmann) e quindi, dopo aver raggiunto il nodo atrio-ventricolare, si porta a depolarizzare i ventricoli. La depolarizzazione atriale e ventricolare causano rispettivamente l’onda P e il complesso QRS tipici dell’ECG normale. L’ondata di ripolarizzazione, sul tracciato, non è evidente per quel che riguarda gli atri ma è visualizzabile come onda T per quel che riguarda i ventricoli. Ogni tracciato è quindi costituito da una tripletta di onde P, QRS, T che si ripete ritmicamente ad una frequenza di 70 battiti al minuto.



come si legge un elettrocardiogramma
• La prima cosa da guardare è il ritmo, se è normale è detto sinusale ed è caratterizzato dalla presenza dell’onda P in tutte le derivazioni e dalla necessità che l’onda P sia positiva in D2 e negativa in aVR. Spiegazione: l’attività elettrica che origina dal nodo seno-atriale procede necessariamente verso il basso e a sinistra. La derivazione D2, rispetto al cuore, è posta in basso e a sinistra mentre aVR è in alto e a destra.quindi l’onda si dirige verso D2 e si allontana da aVR. Nella derivazione che vede avvicinarsi l’onda il pennino dell’elettrocardiografo segna una deflessione positiva mentre nella derivazione che vede allontanarsi l’onda il pennino segna una deflessione negativa.
• la seconda cosa da fare è misurare la frequenza cardiaca. Per far ciò è sufficiente riconoscere i complessi QRS. Se 2 QRS tra di loro distano 3 quadratini (quindi 15mm) la frequenza cardiaca è calcolata come il rapporto tra 300 e questo numero, quindi 100 bpm (battiti per minuto). Questo metodo è però attendibile solo se la distanza tra essi rimane costante. Se c’è un’aritmia è più consono utilizzare un altro metodo che consiste nel considerare 6 QRS consecutivi, contare i quadratini da 5 mm compresi tra il primo e il sesto complesso e dividere 1500 per questo numero.
Si considera tachicardia una frequenza > 100 bpm e bradicardia una frequenza <>la fibrillazione atriale: si basa sulla difficile o impossibile identificazione delle onde P, la linea isoelettrica (quella tra un’onda e l’altra) non è più rettilinea ma è caratterizzata da costanti dentellature. L’intervallo tra i complessi QRS è variabile, le onde P non sono visibili ma sono sostituite da due o più ondulazioni che simulano le onde P ma non lo sono (onde f), che sono maggiormente evidenti in V1.E’ un’aritmia molto frequente. L’attivazione elettrica atriale in questi pazienti è completamente disorganizzata ed è costituita da 350-600 onde al minuto così piccole da essere invisibili o apparire come fini ondulazioni. Molti dei 350-600 impulsi atriali vengono bloccati a livello del nodo atrio-ventricolare e non raggiungono i ventricoli. Quelli che lo superano lo fanno in modo disordinato e sono responsabili della variabilità della distanza tra i complessi QRS. Il riscontro di questa aritmia deve far sospettare la presenza di una cardiopatia con ingrandimento atriale: stenosi e/o insufficienza mitralica, miocardiopatia dilatativa, pericardite e coronaropatia oppure può essere secondaria a ipertiroidismo. Deve essere trattata con farmaci anticoagulanti perché espone al rischio di ictus cerebrale. La fibrillazione striale con tachicardia deve essere trattata con digitale, beta-bloccanti o calcio-antagonisti per rallentare la frequenza ventricolare.
- dilatazione e ipertrofia cardiaca: un sovraccarico ventricolare destro può condurre ad un aumento dell’onda P mentre un sovraccarico atriale sinistro determina una tipica onda P bifasica in V1 con un’ampia componente negativa o un’onda P allargata spesso seghettata in una o più derivazioni agli arti. L’ipertrofia ventricolare destra è dovuta a un carico pressorio per stenosi della valvola polmonare o ipertensione arteriosa polmonare. Spesso presenta una depressione del segmento ST e un’inversione dell’onda T nelle terminazioni precordiali di dx o intermedie. Questo tracciato è attribuito ad anomalie della ripolarizzazione del muscolo ipertrofico. Il cuore polmonare acuto conseguente ad embolia polmonare è associato ad un tracciato ECG normale oppure a determinate anomalie tra cui: l’asse QRS spostato a dx, scarso aumento dell’onda R e inversione dell’onda T da V1 a V4. Il cuore polmonare cronico, dovuto ad una patologia polmonare ostruttiva, provoca, in maniera tipica, onde R piccole nelle derivazioni precordiali dx o intermedie dovute ad uno spostamento verso il basso del diaframma e del cuore. Infine l’ipertrofia ventricolare sinistra determina un’ampiezza delle forze elettriche dirette posteriormente verso sinistra. Anomalie della ripolarizzazione possono provocare un’onda R pronunciata, una depressione del segmento ST e un’inversione dell’onda T.
- blocco di branca sinistro il suo riconoscimento si basa sull’analisi della morfologia e della durata del QRS nelle derivazioni precordiali e periferiche. La durata del QRS deve essere maggiore o uguale a 0.12 sec, si ha un’onda R piccola con un’onda S molto profonda da V1 a V5 e un’onda R larga e con un plateau in D1 e aVL. Il blocco è localizzato nella branca sn prima della biforcazione nei due fascicoli anteriore e posteriore. L’attivazione del ventricolo sn avviene lentamente attraverso il miocardio contrattile. Lo stimolo elettrico arriva al ventricolo sn dal ventricolo dx che è attivato normalmente attraverso la branca dx. Si associa quasi sempre a cardiopatia: ipertensione, cardiomiopatia ipertrofica o dilatativa, valvulopatia aortica.
- blocco di branca destro bisogna valutare la forma del QRS in V1 che termina con un’onda positiva chiamata R’ di ampiezza e larghezza maggiore rispetto alla prima onda R positiva. Il complesso è quindi RSR’. Normalmente l’attività elettrica del ventricolo destro non è evidente perché le forze elettriche generate sono contrastate e neutralizzate da quella prodotte dal più potente ventricolo sn che si depolarizza contemporaneamente. Se la branca dx è bloccata, il ventricolo dx si depolarizza in ritardo quando orai il ventricolo sn ha già completato al sua attivazione. Questo determina la comparsa di un’onda positiva finale R’. In molti casi non è associato a cardiopatia tuttavia il riscontro di tale anomalia deve indurre ad escludere l’esistenza di difetti interatriali, miocardiopatie, cuore polmonare, valvulopatie e cardiopatia ischemica.
- blocco atrio-ventricolare di primo grado per identificarlo è sufficiente identificare le onde P e misurare l’intervallo PQ. Tale misurazione si può effettuare su qualsiasi derivazione tuttavia è conveniente scegliere quella in cui la P è più evidente. Ricordando che un quadratino piccolo (1mm) corrisponde a 0.04 secondi e un quadratino grande (5mm) corrisponde a 0.20 secondi, un intervallo PQ normale misura dai 3 ai 5 quadratini piccoli e cioè 0.12-0.20 secondi. Si ha BAV di tipo I se l’intervallo PQ è superiore ai 0.20 secondi. L’allungamento del tratto PQ in genere è causato da un eccessivo rallentamento a livello del nodo atrio-ventricolare, che provoca l’aumento di durata del tratto isoelettrico. Nel BAV I tutti gli impulsi provenienti dagli atri attraversano il nodo A-V e raggiungono i ventricoli ma impiegano più tempo del normale. Non significa necessariamente presenza di cardiopatia ma si può riscontrare anche in bambini sani e giovani atleti.
- blocco atrio-ventricolare di secondo grado il riconoscimento richiede l’attenta analisi dei rapporti tra le onde P e i complessi ventricolari. Qualche onda P non è seguita dal QRS (non condotta) ma dopo una lunga pausa è seguita da un’onda P condotta. La maggior parte delle onde elettriche atriali raggiungono normalmente i ventricoli mentre qualche onda P si arresta a livello del nodo A-V e i ventricoli non vengono attivati. In base al comportamento del tratto PQ si distinguono due tipi di blocco A-V di II grado chiamati tipo Mobitz 1 e tipo Mobitz 2. Nel primo caso l’intervallo PQ si allunga progressivamente fino a che compare un’onda P bloccata, nel secondo caso la P bloccata appare improvvisamente senza essere preannunciata dal progressivo allungamento del PQ. Il BAV II tipo Mobitz 1 non evolve verso il blocco completo quindi la prognosi dipende dalla cardiopatia sottostante. Il BAV tipo Mobitz 2 spesso evolve in blocco completo (BAV III) e quindi può comportare l’impianto di un pacemaker.
- infarto miocardico stabilizzato: l’infarto è una necrosi ischemica. Le aree più frequentemente interessate sono il setto interventricolare e le pareti anteriore, laterale e inferiore del ventricolo sn.
infarto settale: caratterizzato da onda R assente in V1 e V2 oppure da un’onda R in V2 più bassa che in V1. Di norma l’onda R cresce da V1 a V6 per il fenomeno della propagazione dell’onda. Se il setto va in necrosi l’onda R scompare e la morfologia del QRS di V1 e V2 si trasforma in QS
infarto anteriore: si evidenzia un’onda R assente in V3 e V4 o da onde R di V3 e V4 presenti ma più piccole delle R di V1 e V2. Se la parete anteriore va in necrosi infatti l’onda R in V3 e V4 scompare e il RS si trasforma in QS. Se l’infarto è piccolo le onde R di V3 e V4 possono restare ma diventeno più piccole delle R di V1 e V2.
infarto laterale: si riconosce per la presenza dell’onda Q patologica (di necrosi) in V5 e V6. Le onde Q patologiche hanno durata maggiore o uguale a 0.04 secondi e sono profonde un terzo o più dell’onda R che le segue.
infarto laterale-alto: presenta un’onda Q patologica in D1 e aVL.
infarto inferiore o diaframmatico: è caratterizzato da un’onda Q patologica in D2, D3 e aVF o almeno in due di queste.
Trovare all’ECG segni di infarto suggerisce la presenza di aterosclerosi coronaria e di fattori che la favoriscono (ipertensione, obesità, ipercolestrerolemia, fumo, diabete mellito,…). Nei soggetti esenti da fattori di rischio e di età inferiore a 40 anni bisogna sospettare la presenza di una miocardiopatia ipertrofica o di altra natura.

Le immunodeficienze

I geni importanti per lo sviluppo delle immunodeficienze possono essere presenti spesso sul cromosoma X e sono di norma trasmesse dalla madre al figlio maschio per le ragioni ben note legate all'unicità del cromosoma X nel maschio.

Le immunodeficienze sono patologie caratterizzate da alterazioni dello sviluppo maturativo a carico sia delle cellule della linea mieloide sia delle cellule della linea linfoide; difetto maturativo che si può esplicare o durante l’emopoiesi stessa o durante le successive fasi di sviluppo. Un’ immunodeficienza incompatibile con la vita è la disgenesia reticolare: a carico della staminale totipotente, progenitrice assoluta; questa alterazione impedisce la maturazione successiva per cui non si hanno nè linea mieloide nè linfoide. A vari stadi di maturazione poi possiamo avere le varie possibili alterazioni. Verso la linea mieloide possono essere presenti difetti numerici, per cui il difetto maturativo proliferativo porta ad un numero insufficiente di cellule rispetto al normale, oppure difetti funzionali (per esempio legati ad espressione di molecole di superficie). Nella linea mieloide emblematica è la malattia granulomatosa cronica, difetto di funzione dei fagociti che perdono la loro capacità di distruzione dei patogeni fagocitati. Se ci spostiamo sulla linea linfoide, invece, possiamo avere difetti che riguardano o esclusivamente i linfociti B, con tutta una serie di deficit anticorpali, oppure i T ( sindrome di Di George e Immunodeficienze Severe Combinate (S.C.I.D.), così chiamate in quanto il difetto dei T porta come conseguenza il difetto anche della risposta umorale).
Le immunodeficienze sono malattie che si evidenziano precocemente, sono congenite; ciò nonostante nei primi mesi di vita il neonato vive di rendita con gli anticorpi della madre, quindi solo quando questa protezione viene meno ed il Sistema Immunitario deve autonomizzarsi, iniziano ad evidenziarsi i difetti. Il segno clinico principale è l'aumentata sucettibilità alle infezioni da parte di germi che normalmente non hanno una grande patogenicità per il soggetto normale (debellati spontaneamente magari con l'ausilio di terapia antibiotica standard).
Spesso il patogeno che determina l'infezione ci indirizza su qual è il compartimento immunitario compromesso: per esempio un infezione da enterovirus ci fa sospettare un deficit anticorpale perchè gli anticorpi sono quelli più attivi contro questo tipo di microrganismo; un'infezione ricorrente da funghi o batteri, come salmonella, molto più facilmente si avranno difetti dell'immunità cellulo-mediata.
Sono note un centinaio di immunodeficienze ereditarie; ma la maggior parte sono rare. L'incidenza globale è di 1 su 5000 nati vivi. L'immunodeficienza più frequente in assoluto è il deficit selettivo di IgA. Tecnologie molecolari molto avanzate ci hanno permesso di capire davvero qual è il difetto genetico che determina la malattia.
Classificazione
Si distinguono immunodeficienze primitive o congenite su base ereditaria che possono colpire vari tipi cellulari a vari livelli della risp immune, e immunodeficienze acquisite che possono essere su base infettiva o dovute a trattamenti farmacologici (chemioterapia antineoplastica).
Ancora una classificazione è considerare sindromi da immunodeficienza e distinguerle da sindromi con immunodeficienza. Nelle prime tutti i sintomi che si manifestano sono la conseguenza diretta dell'alterazione del Sistema Immunitario: classico esempio è l'agammaglobulinemia di Bruton che è un difetto che blocca i linfociti B ad un determinato stadio maturativo impedendo anche la produzione di anticorpi. Invece le sindromi con immunodeficienza sono dominate da sintomi extraimmunitari che però presentano anche difetto immunitario.
Deficit del complemento
Un difetto a carico di qualsiasi componente del complemento comporta due problemi:
- una maggior suscettibilità ad alcuni tipi di infezioni
- smaltimento dei complessi.
Nel caso di difetti di C3 o dei primi componenti della via alternativa del complemento la conseguenza principale è la maggior sensibilità ad infezione da batteri extracellulari in particolare da piogeni. Se invece i difetti sono dei primi componenti della via classica si compromette di più la processazione degli immunocomplessi e lo smaltimento dei frammenti delle cellule apoptotiche con conseguente instaurarsi di malattie da immunocomplessi Sempre a carico di fattori sierici possiamo avere anche difetti che riguardano la lectina che lega il mannoso: dato che questa, così come la Proteina C-reattiva, ha funzioni opsonizzanti contro certi batteri nella risposta innata, ovviamente tali difetti portano ad infezioni. Infine difetti che riguardano il MAC (complesso di attacco alla membrana) si associano a maggior suscettibilità a certi ceppi soprattutto a neisserie (meningite e gonorrea).
Difetto dei fagociti
Possiamo dividerli in due grosse categorie (difetti numerici e difetti funzionali). Se mancano del tutto i neutrofili non c'è compatibilità con la vita.
Difetti funzionali
- Difetti di adesione (L.A.D. leucocyte adhesion deficiency). In questo caso la
suscettibilità è maggiore da piogeni. Non compromette solo i fagociti ma può interessare anche l'adesività di cellule citotossiche al bersaglio, oppure può interferire con il processo di produzione anticorpale perchè altera i meccanismi di formazione del coniugato Thelper-linfocita B. La classica manifestazione clinica è rappresentata da infezioni batteriche e un rallentamento notevole della guarigione dalle ferite. Sono descritti 2 tipi principali di LAD:
- tipo 1 riguarda un difetto di espressione di catena 2 delle integrine leucocitarie
- tipo 2 riguarda l'espressione di un'altra integrina leucocitaria: il ligando di E e P selectine
ne consegue in automatico, in ambo i casi, un difetto nell'extravasazione.
Le integrine leucocitarie sono eterodimeri costituiti da una catena  comune (CD18) che si lega ad una catena specifica per ciascun tipo integrina. Tre tipi diversi di catena specifica sono CD11a, b e c. LFA1 è una delle integrine principali: è formata da CD18 (parte comune) e da CD11a, lega ICAM1 e ICAM2. CR3, altra integrina, comprende CD18/CD11b e poi CR4 (CD18/CD11c). CR3 e CR4 sono espresse da granulociti e monociti e legano C3b del complemento attivato. Attraverso questo legame permettono a queste cellule di captare patogeni opsonizzati dal complemento. CR3 sembra essere il più importante recettore dei granulociti attivati. Attraverso CR3 il granulocita riesce anche ad attivare le vie metaboliche che generano superossidi. CR3 e CR4 possono essere espressi anche dalle NK ed hanno ruolo importante nella citotossicità. Il gene difettoso è nel cromosoma 21. La terapia per il bambino è il trapianto di midollo istocompatibile; l'attecchimento è facilitato proprio perchè è insufficiente l’espressione di LFA1 con diminuzione della risposta citotossica di rigetto. Per la diagnosi oggi ci sono analisi citofluorimetriche con anticorpi monoclonali: si va ad identificare la presenza o meno di un'integrina sulla superficie e poi si analizza con citofluorimetro.
- Difetti di chemiotassi. Molto frequenti nelle immunodeficienze primitive. Va ricordata la sindrome del leucocita pigro che è la prima descrizione di un difetto primitivo strettamente legato alla capacità di movimento del leucocita. Altri difetti importanti sono le alterazioni del complemento con ridotta produzione di fattori ad attività chemiotattica (C3a, C5a, C5b67)
- Malattia granulomatosa cronica.Legata all'incapacità di digerire i batteri fagocitati per mancata produzione di anione superossido (radicale libero dell’ossigeno). Infezione da patogeni sia intra che extra cellulari con formazione di granulomi. Nel 60% dei casi è recessiva e legata al cromosoma X. Può essere anche autosomica nel restante 40%. Le manifestazioni cliniche sono infezioni da germi aerobi produttori di catalasi. Si hanno lesioni granulomatose multiple disseminate che possono arrivare anche ai polmoni. Il difetto genetico compete al complesso enzimatico della NADPossidasi (formato da diverse subunità enzimatiche) che ha il compito di convertire l’ossigeno in superossido e in perossido d’idrogeno (la comune acqua ossigenata). Durante la produzione dei metaboliti dell’ossigeno ad azione battericida, è richiesto dai fagociti un aumento di consumo dell’ossigeno stesso. Il fagocita attivato dall'ingestione, assembla al proprio interno le subunità enzimatiche e attiva l’enzima che trasforma l’ossigeno in anione superossido. La superossido dismutasi poi converte il superossido in perossido di idrogeno che viene coniugato con ipoclorito e radicali idrossilici dalla perossidasi. Tutto questo consente la distruzione all'interno del fagosoma del patogeno. Un complesso che fa parte della catena NADPHossidasi è il citocromo B558, una emoflavoproteina, costituita da 2 gruppi eme e due gruppi FAD. Presentando varie subunità, ciascuna può essere soggetta a difetto.
Nel 60% dei casi descritti la mutazione è a carico della subunità gp91 del complesso enzimatico di cui prima, gene presente sul braccio corto del cromosoma X. Invece le varianti autosomiche sono dovute ad altre subunità che mappano sul braccio lungo del cromosoma 7 o 1. Le forme più gravi riguardano gp91 e gp22. La diagnosi può essere condotta attraversoil test al nitroblu di tetrazolio: è un test di fagocitosi in cui si isolano i fagociti e si mettono a contatto con particelle opsonizzate di questa sostanza incolore; se in seguito alla fagocitosi si formano superossidi, quindi il fagocita funziona, il tetrazolio si riduce a formazano ed assume un colore blu. L'identificazione di molti geni che codificano l’immunodeficenza consente oggi diagnosi pre-natale.
- Difetti di G6PD (enzima chiave nello shunt degli esoso monofosfati)Alterazioni della catena respiratoria della cellula ed infezioni che tendono a cronicizzare.
- Difetti di mieloperossidasi. Difetti di enzimi lisosomiali con incapacità da parte del fagocita di uccidere i batteri fagocitati.
- Sindrome di Chediak-Higashi . anche qui maggiore suscettibilità ad infezioni da batteri intra ed extra cellulari con formazione di granulomi.
Difetti numerici:
Neutropenie primarie
Sono difetti intrinseci alla linea mieloide. Difetti maturativi oppure difetti nell'immissione in circolo di nuovi elementi. Le manifestazioni cliniche sono date da infezioni ricorrenti della cute e delle mucose: foruncoli, ascessi, gengiviti. I patogeni coinvolti sono gram+ come st. pneumoniae, s. aureus e gram- come E.coli, Klebsiella e Pseudomonas oppure tra lieviti Candida e Aspergillus.
Tra queste ricordiamo: neutropenia congenita severa e neutropenia ciclica.
La neutropenia congenita severa può essere ereditata sia come tratto dominante che come tratto recessivo, si hanno conte di neutrofili basse e per la sopravvivenza del malato è necessario il trapianto di midollo.
La neutropenia ciclica è dominante e presenta oscillazioni nel numero dei neutrofili circolanti; il ciclo è di 21 giorni: si alternano situazioni di norma a situazioni estreme con abbassamenti anche notevoli del numero. Altre componenti ematiche possono fluttuare in questo arco di tempo in maniera molto meno evidente. La n. ciclica è stata identificata come difetto nel funzionamento non corretto di un enzima del neutrofili: l’elastasi che causa produzione di proteine non funzionanti con conseguenti alterazioni della maturazione.
Tra neutropenie ricordiamo ancora la Sindrome di Kostman difetto autosomico recessivo; è un difetto maturativo in cui la staminale mieloide non va oltre lo stadio del promielocita. Al di là del fatto che la produzione di G-CSF è normale ed anche i recettori per questa citochina sono normali, si pensa che un difetto molecolare impedisca la trasduzione di segnale in seguito allo stimolo del G-CSF. La terapia anche qui è il trapianto. Per evidenziarla è possibile praticare il test dell'idrocortisone che valuta la riserva midollare di granulociti e se il paziente è in grado di immettere in circolo un numero adeguato di neutrofili. La procedura è semplice occorre determinare il numero assoluto di neutrofili circolanti (livello basale), poi si somministrano 200 mg di idrocortisone e si valuta in tempi differenti il numero assoluto dei neutrofili circolanti: se aumenta di almeno 7 volte rispetto al livello basale significa che nel midollo sono presenti neutrofili che possono essere mobilizzati, se invece questo non accade si può essere in presenza di questa sindrome.
Neutropenie secondarie
Siamo nell'ambito delle immunodeficienze acquisite; possono comparire in pazienti neoplastici sottoposti a chemio o radioterapia, oppure in pazienti affetti da patologie autoimmuni come il Lupus Eritematoso Sistemico (anticorpi contro DNA, istoni...)oppure nella S. di Sjogren. Nei bambini possono poi essere secondarie anche ad infezioni virali anche non gravi come da EBV o CMV.
Deficit anticorpali
L'agammaglobulinemia legata al cromosoma X o Malattia di Bruton è stata scoperta nel '52 da un medico inglese Bruton ed è stata la prima immunodeficienza ereditaria descritta. Mancano gli anticorpi in quanto il difetto maturativo blocca i linfociti allo stadio di pre-B e a livello linfonodale si evidenzia un’assenza dei follicoli. Il gene difettoso è sul braccio lungo del cromosoma X. Le infezioni ricorrenti sono dovute a piogeni, si ha sepsi, infezioni respiratorie gravi anche da haemophylus, sensibilità elevata anche agli enterovirus. Questi ultimi penetrano a livello intestinale dove normalmente sono neutralizzati da IgA delle mucose. Il difetto è a carico della proteina btk (bruton tirosin chinasi) essenziale nella trasduzione del segnale per l’avanzamento maturativo. Nel linfonodo malato di Bruton l'architettura è sovvertita: atrofia della corticale, mancano strutture follicolari e si ha ipertrofia della zona paracorticale. Diagnosi di laboratorio: mancano Ig sieriche, assente risposta alle vaccinazioni, biopsia linfonodale. I bambini possono all'inizio non avere problemi perchè ereditano Anticorpi materni. I linfociti T sono normali sia da un punto di vista numerico che funzionale: possiamo valutarne la funzionalità del T con i normali test cutanei di ipersensibilità. Il gene è stato clonato e la mutazione identificata. La terapia può essere basata su somministrazione di Immunoglobuline umane normali.
Altri deficit anticorpali: cenno a Iper IgM
Anche questo è un difetto X-linked. Manca il classico switch isotipico verso le altre classi. La risposta primaria è dovuta alle IgM, che qui sono iperprodotte. E’ una patologia dovuta alla mutazione per gene che codifica CD40ligando espresso da linfociti B, non è possibile quindi l’interazione con il CD40 espresso dai T CD4+ con conseguente impossibilità di riassortimento isotipico. Non si formano centri germinativi, non si ha ipermutazione somatica e l'affinità degli Anticorpi non cresce.
Difetti severi combinati - SCID
- Difetto degli enzimi RAG1 e RAG2, difetto che si colloca precocemente nella linea maturativa linfoide in quanto altera le prime fasi a cui vanno incontro sia i B che i T per generare il recettore per l’antigene, attraverso un processo di riarrangiamento sia delle Immunoglobuline che del TCR
- Difetti di ADA (adenosindeaminasi) di PNP (purinanucleotidilfosfatasi) che inducono accumulo di metaboliti purinici tossici per i linfociti, riguarda la cosiddetta via di salvataggio delle purine e interessa sia i linfociti B che i T.
- Deficit della catena gamma comune dei recettori per un gruppo di citochine tra cui IL2,4,7,9,15. Per sottolineare il fatto che l’difetto colpisce sia la popolazione B che la T è opportuno ricordare che ad esempio IL7 si trova sia nella maturazione dei linfociti T che dei B.
- Difetti di espressione delle MHC che - siamo già oltre la maturazione ossia siamo già nella fase di risposta – compromettono la giusta presentazione dell'Antigene alla cellula T da parte delle APC.
Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche si nota che sono tutte abbastanza sovrapponibili. La malattia si manifesta con infezioni gravi ricorrenti, viene compromessa molto di più l'immunità specifica che non l'innata e quindi le infezioni sono più imponenti e difficili da debellare. Infezioni dell'apparato respiratorio (polmoniti), gastroenterico (a volte diarree intrattabili), candidosi orale. Bambini affetti da una qualsiasi di queste forme di SCID difficilmente rispondono ai vaccini e se vengono infettati da virus come EBV possono anche avere come conseguenza proliferazioni policlonali incontrollate a carico dei pochi linfociti B residui che possono eventualmente portare a malattie di tipo linfoproliferativo.
Per quanto riguarda le SCID che compromettono entrambe le linee, esse rappresentano il 20-25 % di tutte le immunodeficienze, sono ereditate di solito come forme autosomiche recessive e sono difetti maturativi prevalentemente dovuti ad alterazioni a carico di geni che codificano per enzimi di ricombinazione.
- Sindrome di Di George fa parte di quel gruppo di sindromi che sono associate ad altri difetti importanti non di tipo immunologico (sindromi con immunodeficienza) e l'immunodeficienza è uno degli effetti collaterali. La sindrome di Di George è caratterizzata da un difetto di sviluppo embrionale che riguarda 3° e 4° tasca branchiale da cui origina l'epitelio timico a partire dalla 6° settimana di gestazione. Tutto ciò che si sviluppa da quello è difettoso: non si ha quindi sviluppo del timo delle paratiroidi dell'arco aortico e di certe parti del volto per cui il bambino in cui si identifica un'immunodeficienza di questo tipo normalmente arriva all'osservazione clinica per problemi cardiaci, dismorfismi facciali e spesso il cardiochirurgo che corregge il difetto cardiaco si rende conto durante l'intervento che è presente il timo. Si avrà inoltre ipocalcemia neonatale per assenza di paratormone.

I sartanici

Non vengono più chiamati cosi ma ARB: Angiotensine receptor blockers. Sono antagonisti dei recettori AT1 dell’angiotensina. Sono più recenti degli ACE-I. Non sono peptidi ma sono costituiti da un anello aromatico.
Il primo fu il LOSARTAN entrato in commercio nel 1995 nei paesi occidentali.
Hanno capacità di bloccare il recettore in maniera diversa. Il Losartan è quello che ha più indicazioni specifiche, è il più debole e ha un’azione più corta. Il più brillante è il CANDESARTAN CILEXETIL esterificato che ha durata d’azione più lunga. Ha escrezione biliare e quindi può essere somministrato in caso di IR.. gli altri hanno escrezione prevalentemente renale.
Caratteristiche generali:
- sono molto selettivi verso AT1 rispetto ad AT2 quindi viene maggiormente bloccato il primo
- l’affinità è diversa a seconda del sartanico: il Candesartan ha affinità maggiore il Losartan minore quindi ha capacità di blocco inferiore
- il blocco è irreversibile ma non si conosce il motivo tanto che in vitro sono inibitori reversibili. Il motivo è che probabilmente si attaccano e si staccano ai recettori in modo molto lento e quindi anche quando l’effetto dovrebbe essere concluso continuano a tenerli occupati. Inoltre i recettori si modificano: vengono internalizzati soprattutto nelle prime fasi e quindi il blocco risulta più persistente.
Effetti:
♦ come gli ACE-inibitori:
- inibizione della contrazione delle fibre muscolari lisce perivasali con conseguente inibizione della vasocostrizione da angiotensina e riduzione delle resistenze periferiche
- riduzione della stimolazione del sistema simpatico (legato al rilascio di angiotensina)
- inibizione del rilascio di aldosterone (maggiormente visibile con il Candesartan)
♦ differiscono dagli ACE-inibitori:
- presentano maggiore sensibilità alla renina (se diminuisce la renina il loro effetto è meno evidente). Gli ACE- inibitori sono efficaci sia con livelli bassi che con livelli alti di renina
Sono, comunque, spesso usati in alternativa.
Differenze e vantaggi:
- l’attivazione è bloccata dai sartanici ma non dagli ACE-I (non agiscono sui recettori)
- differenze nella produzione delle angiotensine accessorie: con i sartanici, l’angiotensina 1-7 (vasodilatante) non viene prodotta di più perchè la via non viene modificata. Agiscono di più su AT2 (non bloccato) e questo può essere un vantaggio perchè si ha in questo modo un bilancio con l’attività di AT1. Gli ACE-I bloccano direttamente l’angiotensina che non può agire nè su AT1 nè su AT2.
- Gli ACE-I aumentano l’angiotensina 1-7 perchè viene bloccata la via principale e aumentano tutti i livelli di substrati dell’enzima compresa la bradichinina (è la differenza principale tra i due) che è vasodilatante
- I sartanici sono molto più costosi degli ACE-I. L’effetto è tuttavia sovrapponibile quindi è meglio non usarli perchè le risorse sono limitate.
È proficuo usare l’ACE-I associato al sartanico? No perchè l’ACE-I blocca la produzione di angiotensina II quindi non serve a nulla bloccarne i recettori. L’angiotensina I può legare i recettori ma senza un rilevante vantaggio perchè si ha competizione maggiore con l’angiotensina 1-7 che attività opposta. La teoria del “doppio blocco” non ha quindi alcun senso.
Indicazioni d’uso:
- ipertensione arteriosa
- insufficienza ventricolare: solo il Losartan se non è rispondente agli ACE-I
- riduzione della nefropatia diabetica: riducono il danno d’organo
- infarto: non è stata dimostrata la stessa efficacia degli ACE-I quindi non sono interscambiabili
Effetti collaterali:
- incidenza minore di edema angioneurotico rispetto agli ACE-I
- iperpotassiemia: con la stessa frequenza degli ACE-I
- teratogenicità: in gravidanza si può usare solo l’α-metildopa
- se la renina è alta per ipertensione reno-vascolare: IR acuta e ipotensione a inizio trattamento
In conclusione: si usa sempre l’ACE-I tranne in caso di comparsa di tosse.

La cocaina

Deriva da un arbusto che è L’Eritroxylo coca presente sulle pendici delle Ande (origine: Sud America). La popolazione ne fa un uso cospicuo soprattutto masticando le foglie. È il capostipite degli anestetici locali.
MECCANISMO D’AZIONE: inibizione della ricaptazione di monoamine (Dopamina e Noradrenalina e volendo anche Serotonina) liberate dalle terminazioni monoaminergiche. L’euforia è principalmente a livello dopaminergico per aumento di Dopamina nell’Accumbens.
È un alcaloide estratto dalle foglie di coca che ne contengono l’1% oltre ad altre sostanze. Viene masticata dagli indigeni andini per euforia contro la fatica, la fame e il sonno. Viene estratta dalle foglie di coca macerate con la formazione di una polvere biancastra detta anche neve. L’abuso avviene prevalentemente per via endonasale (viene fiutata) ma si può utilizzare anche per via endovenosa. Estraendo la base (cocaina cloridrato) in soluzione alcalina con solvente si forma il crack che è molto liposolubile e può venire somministrata. L’uso terapeutico è obsoleto.
FARMACOCINETICA:
- assorbimento: via nasale, via polmonare, via endovenosa
- distribuzione: passa bene la BEE
- metabolismo: esterasi e ha un’emivita di 40 min.
- escrezione: per via renale viene escreta il 10% di cocaina mentre il restante 90% sono metaboliti tra cui, siccome le esterasi tagliano la base, si forma la Benzoilecgonina dosabile fino a 7 giorni dopo l’assunzione.
Essendo un anestetico locale, blocca i canali del Na voltaggio-dip, motivo per cui nell’intossicazione da cocaina si somministra un neurolettico. Inoltre inibisce la ricaptazione di Dopamina (euforia), Noradrenalina (attivazione simpatica, problema di tossicità in acuto e in cronico) e Serotonina.
SINTOMI:
- euforia: labilità affettiva, accresciuta performance cognitiva e motoria, ipervigilanza, anoressia e insonnia
- disforia: caratterizzato da tristezza, malinconia, apatia, difficoltà di attenzione e di concentrazione, anoressia e disturbi del sonno (carenza di trasmissione dopaminergica e serotoninergica)
- paranoia: caratterizzato da sospettosità, paranoia, allucinazioni e insonnia
- psicosi: caratterizzato da anedonia (perchè i recettori dopaminergici vanno in tolleranza e si down-regolano), allucinazioni, comportamento stereotipato, ideazione paranoide, insonnia, perdita di controllo degli impulsi, disorientamento.
L’uso dovrebbe essere occasionale. Il soggetto è tossicomane come se ci fosse una predisposizione genetica nel 15% dei soggetti a fare un uso compulsivo della sostanza. Questo uso compulsivo conduce alle cosiddette “binges”, abbuffate durante le quali il soggetto non si alimenta, non dorme, diviene sempre meno euforico, più disforico, agitato ed aggressivo. Le binges durano 2-3giorni e si interrompono con il crollo psicofisico del soggetto che piomba in uno stato di torpore-apatia o per l’insorgenza di uno stato psicotico vero e proprio.
Le Amfetamine e la cocaina stimolano i sistemi noradrenergici e dopaminergici aumentando:
- la vigilanza
- la motilità
- i riflessi
- la sicurezza
- l’umore
- l’aggressività
- la libido
e diminuendo:
- la fame
- la fatica
- il sonno
L’intensità degli effetti sono dose dipendenti e la qualità degli effetti dipende dallo stato individuale, dall’ambiente fisico e sociale.
Al termine dell’effetto si avrà:
- astenia
- adinamia
- depressione
- ipersonnia
- bulimia
EFFETTI INDESIDERATI:
- a livello del SNC: eccesso di iperstimolazione e quindi nervosismo, irritabilità, agitazione, comportamenti violenti, panico, allucinazione, anoressia, insonnia,..
- a livello cardiaco: a livello simpatico tachicardia, ipertensione, alterazioni della termoregolazione, aritmie, collasso, infarto, emorragie,..
- altri: rabdomiolisi, disturbi GI, neurolesioni, eccesso di attività e quindi incidenti ad es. negli sportivi
TOSSICITA’ ACUTA E CRONICA
Può essere per
- massiva stimolazione simpatica con effetti α e β adrenergici: aritmie di vario tipo e grado ma anche ischemia per aumentato consumo di ossigeno e ridotto flusso coronarico. Si può giungere fino all’infarto per spasmi sia coronarici che in altri distretti (polmone, cervello,..). crisi ipertensive per vasocostrizione simpatica, perforazione del setto nasale nell’assunzione per via nasale (sono aumentati gli interventi di rinoplastica per questo motivo), ipertensione ed edema polmonare associati ad una sindrome detta “polmone da crack” con sintomi simil-polmonite (dolore toracico, difficoltà respiratoria, iperpiresia). L’uso cronico della cocaina può infine portare, diminuendo le scorte di DA, a iperprolattinemia con ginecomastia, galattorrea, amenorrea. La libido è diminuita con riduzione della performance sessuale, impotenza nell’uomo e anorgasmia nella donna (ricorda che non nell’intossicazione la performance sessuale migliora con l’assunzione di cocaina, uno dei motivi per cui è così tanto abusata).
- Disturbi psichici e quadri psicotici: alterata trasmissione dopaminergica (attivazione in acuto e carenza nel cronico). La cocaina è anche agente epilettogeno (anestetico locale, sensibilità al blocco di canali del sodio voltaggoi-dipendenti di piccole fibre gabaergiche)
Per quanto riguarda l’uso compulsivo della cocaina: nei ratti usati nelle sperimentazioni è possibile dimostrare, esponendoli alla libera assunzione di sostanze di abuso, che circa il 15% dei soggetti è particolarmente vulnerabile, vale a dire tende a diventare facilmente dipendente dalla sostanza e vuole continuare ad assumerla. Quindi alcuni autori sostengono che c’è un genotipo che associato ad una lunga esposizione alla sostanza da origine ad una compulsione “inflessibile”.
DIPENDENZA: vi sono vari tentativi sperimentali, non applicati in clinica, per onvviare all'inefficacia delle terapie farmacologiche:
- Hanno provato ad introdurre degli anticorpi leganti la cocaina per tentare un’immunizzazione.
- Hanno provato a fornire degli anticorpi catalitici in grado di aumentare l’attività delle esterasi che idrolizzano la cocaina e la inattivano.
- Hanno provato a iniettare una colinesterasi plasmatica.
La riduzione degli effetti non s’è dimostrata sostanziale.

La schizofrenia

Tradizionalmente fu classificata un po’ di anni fa in vari sottotipi:
- simplex
- ebefrenica
- catatonica
- paranoide
C’è dissociazione, autismo, ambivalenza affettiva.
• Nella forma paranoide sono presenti sintomi positivi come deliri, allucinazioni uditive ecc..
• Nella forma catatonica ci sono anche sintomi negativi come arresto motorio, negativismo estremo, mutacismo, posture fisse, movimenti stereotipi,..
Poi ci sono altre forme:
• Nella forma disorganizzata si ha disorganizzazione dell’eloquio, del comportamento, emotività inadeguata,..
• Forma residua
in questa malattia è coinvolta la cognizione, l’emotività e il comportamento.
Bisogna fare una distinzione tra sintomi positivi e sintomi negativi. Questa distinzione, per il farmacologo, è molto importante perchè è più facile trattare i sintomi positivi con i neurolettici o antipsicotici, che hanno essenzialmente un’azione sedativa, piuttosto che i sintomi negativi.
- sintomi positivi: distorsione della realtà e disorganizzazione del pensiero (allucinazioni, deliri, comportamento bizzarro)
- sintomi negativi: appiattimento affettivo ed ideomotorio (impoverimento affettivo, alogia, abulia, apatia, asocialità, anedonia)
- disturbi cognitivi: deficit della memoria di lavoro, del mantenimento dell’attenzione, delle funzioni esecutive.
La malattia ha un picco d’esordio in età giovanile con sintomi positivi. È un disturbo cronico:
• nel 20% recupero
• nel 70% recidivante (remittente o progressivo).
I sintomi negativi rispondono meno alla terapia con antipsicotici tipici infatti con l’antagonismo dei recettori della dopamina viene a mancare l’effetto attivante di questo neurotrasmettitore. Sono più idonei quindi gli antipsicotici atipici in quanto non sono così efficaci nell’antagonizzare questi recettori.
L’eziologia è multidimensionale:
- predisposizione genetica
• nei gemelli monozigoti il tasso di concordanza è del 47% mentre nei dizigoti è del 17%.
• Vi sono teorie monogeniche, oligogeniche e poligeniche
• la schizofrenia è geneticamente eterogenea
- teorie sociali
• patogenesi famigliare: ci sono forme schizofrenogenetiche
• madre schizofrenogenetica
• paziente designato
• comunicazione ambivalente: non può rispondere in nessun modo e risponde con una patologia
- teorie psicodinamiche: meccanismi regressivi di proiezione,, negazione, scissione
- teorie biologiche: alterazioni della neurotrasmissione
Il trattamento è multidimensionale con farmaci, supporto psicoterapico, comunità, terapia famigliare,...
Il trattamento farmacologico è incentrato sugli antipsicotici (neurolettici) chiamati fino a 40anni fa tranquillanti maggiori (quelli minori erano le B.) i quali antagonizzano i recettori D2 della dopamina, i recettori alfa1 adrenergici, recettori muscarinici, istaminergici, serotoninergici 5–HT-2A.

TEORIA DOPAMINERGICA DELLA SCHIZOFRENIA
Basata su:
- criterio ex adiuvantibus (meccanismo d’azione delle sostanze adiuvanti): gli antipsicotici sono anche antagonisti dopaminergici. Si è notato che c’è una stretta correlazione tra le concentrazioni nell’organismo dell’antipsicotico e la loro capacità in vitro di legarsi e antagonizzare il legame della dopamina ai recettori D2 (questo non è vero per i recettori D1).
- Psicosi da amfetamina: soggetti che sono andati in sovradosaggio da amfetamina (è in grado di liberare dopamina nel SNC) manifestano, nell’intossicazione acuta, dei sintomi di agitazione, paranoia e deliri che, a volte, anche psichiatri esperti non riescono a distinguere da una crisi di agitazione schizofrenica. Quindi la dopamina risulta coinvolta in questa malattia.
Possono essere coinvolti anche altri neurotrasmettitori:
• glutammato: è un neurotrasmettitore eccitatorio. Nella schizofrenia ci sono allucinazioni. Tra le sostanze allucinogene ci sono sostanze che sono antagoniste dei recettori NMDA del glutammato come la Ketamina e la Fenciclidina
• GABA: è stato proposto che ci sia un deficit selettivo di GABA nella corteccia frontale così che questi soggetti sarebbero invasi da stimoli esterni che non vengono correttamente filtrati con conseguente perdita di attenzione selettiva. Negli anni ’70 in Germania tentarono di potenziare l’attività gabaergica per frenare la schizofrenia.
• serotonina: gli antipsicotici atipici sono antagonisti per il recettore della serotonina 5-HT-2°. Inoltre ci sono degli allucinogeni come la LSD che sono agonisti di questo recettore.
La schizofrenia è una patologia estremamente eterogenea, sotto la cui denominazione vengono racchiusi disturbi caratterizzati da sintomi molto diversi tra loro (sintomi positivi, sintomi negativi e disturbi cognitivi). Non può essere considerata una malattia di un singolo sistema neurotrasmettitoriale: è plausibile ipotizzare che alterazioni a carico di diversi neurotrasmettitori e soprattutto variazioni nella reciproca modulazione di tali sistemi possano determinare le disfunzioni che caratterizzano la malattia. È lecito presupporre che i differenti sintomi siano imputabili a disfunzioni biologiche a carico di neurotrsmettitori quali dopamina, serotonina, glutammato e GABA in specifiche strutture cerebrali. I sintomi positivi, delirio e allucinazioni sono caratteristici della schizofrenia, ma vengono anche in altre patologie psichiatriche, che includono il disturbo bipolare (psicosi maniaco-depressiva) e la mania, il disturbo schizoaffettivo, la depressione psicotica, le psicosi da sostanze d’abuso (psicostimolanti) e neurologiche come la malattia di Alzheimer. I sintomi negativi (ritiro sociale, mancanza di iniziativa,..)sono riscontrati nella depressione maggiore e nelle fasi depressive del disturbo bipolare, nella schizofrenia, nel disturbo schizoaffettivo.
La DOPAMINA è una catecolamina (è la prima nella sintesi)che viene sintetizzata a partire dalla tirosina ad opera della tirosina-idrossilasi (nei neuroni catecolaminergici della midollare del surrene), interviene la decarbossilasi e si forma la L-DOPA (aminoacido diretto precursore della dopamina) che viene convertita in dopamina ad opera di un’altra decarbossilasi nel neurone dopaminergico (la dopamina beta-idrossilasi nel neurone noradrenergico la trasforma in noradrenalina). La dopamina liberata agisce su recettori dopaminergici:
- D2, D3, D4 sono accoppiati ad una proteina G inibitoria con conseguente ridotta produzione di cAMP (presinaptici inibitori)
- D1, D5 aumentano la produzione di cAMP.
Le funzioni della dopamina:
♦ in periferia funge essenzialmente da precursore della noradrenalina (nervi simpatici) e adrenalina (midollare del surrene). Possibile interazione in certi distretti.
- effetti cardiovascolari:
• recettori D1 su miociti di vasi renali e splacnici (aumenta cAMP e vasodilatazione)
• recettori D2 presinaptici su neuroni simpatici diminuiscono il cAMP e inibiscono la liberazione di noradrenalina quindi danno vasodilatazione; a livello del surrene inibisce il rilascio di aldosterone indotto dall’angiotensina 2 e quindi ha effetto natriuretico. Questi recettori si trovano anche a livello delle terminazioni colinergiche e quindi inibiscono la motilità intestinale. Gli antagonisti sono quindi procinetici (domperidone).
A concentrazioni elevate la dopamina stimola anche recettori beta a livello cardiaco e a concentrazioni ancora maggiori i recettori alfa adrenergici.
L’effetto della dopamina termina rapidamente perchè:
- viene ricaptata con un trasportatore specifico da un neurone dopaminergico
- viene metabolizzata a livello sinaptico dalle cotecolamin-metiltransferasi che la metossilano e diventa metossietilamina che è inattiva. Nei neuroni può venire metabolizzata anche dalle MAO B che la deaminano (nel Parkinson possono essere utilizzati inibitori delle MAO B)
♦ Le vie monoaminergiche centrali (le principali monoamine sono dopamina, noradrenalina e serotonina) sono delle vie a proiezione diffusa cioè a partire dal tronco encefalico proiettano a varie aree cerebrali. Qui i neuroni sono pochissimi (qualche decina di migliaia) ma, proiettando a tutte le aree cerebrali e avendo varie varicosità lungo il percorso, controllano o modulano la funzione di numerose cellule e numerose funzioni vitali mediante stimolazione di specifici recettori che di solito sono accoppiati a proteine G (ad eccezione del recettore per la serotonina 5-HT-3). È una sorta di modulazione a lunga scadenza rispetto ai fenomeni di neurotrasmissione superveloci che avvengono, ad esempio, a livello della trasmissione colinergica o del glutammato o gabaergica. La trasmissione monoaminergica in generale è il target di importanti psicofarmaci e anche neurofarmaci.
A partire dal mesencefalo, da vari nuclei neuronali chiamati A8, A9, A10, A12, vi sono corpi cellulari di cellule monoaminergiche che mandano fibre che vanno:
- allo striato (via extrapiramidale) ai gangli della base. Qui la dopamina facilita il movimento. La carenza di dopamina dà sintomi tipo-Parkinson (si ha vero Parkinson se i neuroni degenerano).
- sistema mesolimbico: dal tetto del mesencefalo partono fibre dopaminergiche che vanno al nucleo acumbens, che è al limite tra sistema limbico e lo striato (probabilmente fa parte dello striato), chiamato “centro del piacere” coinvolto nel provare sensazioni piacevoli, nella ricerca di sensazioni piacevoli e nella iniziazione di azioni finalizzate alla ricerca di una soddisfazione. È coinvolto anche nel tono dell’umore infatti nella depressione c’è una tipica incapacità di provare piacere. Sostanze in grado di aumentare la stimolazione a livello di recettori D2 dopaminergici in questa sede (ad esempio cocaina e amfetamina) danno euforia.
- alla corteccia (sistema meso-corticale) coinvolta in processi ideativi e cognitivi. Aumenta la vigilanza e, a livello sia extrapiramidale che mesocorticale, è coinvolta in comportamenti stereotipi, aggressivi (eccessiva liberazione di dopamina dà aggressività) e manifestazioni di tipo paranoico(esempio nelle allucinazioni da farmaci).
- all’ipotalamo: importanti funzioni basilari per l’organismo:
• controllo del consumo di cibo: sia la stimolazione dopaminergica che serotoninergica riducono il consumo di cibo ma con una differenza: la dopamina inibisce la fame (farmaci anoressizzanti come i derivati amfetaminici agiscono con lo stesso meccanismo d’azione-fentarmina); la serotonina invece stimola la sazietà (il soggetto inizia a mangiare ma si ferma abbastanza presto).
Riguardo al controllo di altre azioni dopamina e serotonina sono opposte.
• riduce la temperatura corporea alterando il set-point del centro termoregolatore. Al contrario la serotonina innalza la temperatura corporea.
• aumenta la libido e l’attività sessuale. Un aumento di stimolazione serotoninergica invece, la riduce
- all’ipofisi: la dopamina controlla, tramite il recettore D2, la sintesi e la liberazione di prolattina. La dopamina arriva dall’eminenza mediana liberata da terminazioni dopaminergiche nei capillari e va nel circolo portale raggiungendo l’ipofisi dove inibisce la produzione di prolattina. Nei prolattinomi si può intraprendere una terapia con un agonista dopaminergico per inibire l’eccessiva produzione di prolattina.
- all’area postrema: la dopamina stimola il centro del vomito (farmaci antiemetici sono antagonisti dei recettori dopaminergici).

ADHD Attention Deficit Hyperactivity Disorder

Attention Deficit Hyperactivity Disorder o disturbo da deficit attentivo con iperattività. È caratterizzato da due gruppi di sintomi o dimensioni psicopatologiche: l’inattenzione e l’iperattività o impulsività. Non sono causate da un deficit cognitivo (ritardo mentale) ma da difficoltà nell’autocontrollo e nella capacità di pianificazione. Probabilmente è presente un disturbo neurobiologico della corteccia prefrontale e dei nuclei della base che si manifesta come alterazione nell’elaborazione delle risposte agli stimoli. Alla RMN sembrerebbe che ci sia una riduzione delle dimensioni della corteccia prefrontale e dei nuclei della base soprattutto a livello dell’emisfero destro. Hanno tempi di attivazione più lenti e consumano meno ossigeno. I fattori genetici sono determinanti per la comparsa del disturbo ed è modulata da fattori ambientali. Vi è una debole associazione con varianti di geni che codificano per il trasportatore della Dopamina e per recettori D4 e D5 e il trasportatore per la Serotonina 5-HTT. Gli approcci sono di tipo psicosociale, terapie comportamentali,.. Nelle forme molto gravi è dimostrato che l’utilizzo di psicostimolanti (in particolare il Metilfenidato) può essere utile in un piano multimodale di trattamento. Esiste una scala per l’individuazione di comportamenti di disattenzione e iperattività che si chiama SDAI

La tubercolosi polmonare

In Italia negli anni ’60 la malattia fu quasi del tutto debellata con l’avvento dei farmaci antitubercolari, il miglioramento delle condizioni igieniche e l’intenso sforzo sanitario che ha contribuito a diminuirne l’incidenza. Nonostante ciò, i recenti flussi migratori verso il nostro paese e l’infoltirsi dei viaggi umanitari in paesi in cui è endemica hanno causato la ricomparsa della malattia anche nel nostro paese.
EZIOLOGIA: il Mycobacterium tubercolosis ( varietà Hominis) fu individuato da Koch come responsabile della malattia intorno al 1800.
Il bacillo di Koch è un bacillo a crescita molto lenta e resistente al calore. La sua struttura lo rende alcol-acido resistente, caratteristica che non lo rende colorabile con la comune colorazione di Gram ma per la quale è stata messa a punto una colorazione specifica: la Ziehl Nielsen che li fa apparire di colore rosso su uno sfondo blu.
PATOGENESI: la via di infezione del bacillo è la via aerogena. I fattori individuali di rischio sono:
- la razza (nera)
- terapie immunosoppressive
- malattie concomitanti (silicosi,diabete,…)
- malnutrizione.
La risposta immunitaria è rappresentata dalla risposta cellulo-mediata: la fagocitosi dai bacilli da parte dei macrofagi, l’alaborazione delle componenti antigeniche a seguito della loro processazione, la loro presentazione ai linfociti T, l’attivazione linfocitaria e il successivo “arming” macrofagico. La risposta anticorpale è di scarsa rilevanza. L’evoluzione della malattia è totalmente dipendente dalla variabilità individuale e i quadri clinici sono strettamente dipendenti da questo fattore:
- una elevata resistenza individuale con una ridotta carica batterica causano una distruzione immediata del bacillo e una rapida guarigione.
- A reazione immunologia abnorme (da Ipersensibilità) in risposta ad una carica ridotta consegue la formazione del tubercolo ( o GRANULOMA TUBERCOLARE) caratterizzato da una ridotta necrosi caseosa centrale con macrofagi e cellule epitelioidi giganti circondate da un vallo linfocitario ricco di tessuto connettivo e fibroblasti.
- Se la reazione immunologia massiva si ha in seguito ad ingente carica batterica si può assistere ad un maggiore processo di caseificazione che corrisponde adun ulteriore tentativo da parte dell’organismo di limitare la diffusione batterica. I focolai caseosi possono andare incontro ad un processo di calcificazione.
- Nel caso di bassa risposta immunologia nonostante un’elevata carica batterica si può sviluppare una tubercolosi essudativa o nodulare caratterizzata da un manifestarsi di fenomeni essudativi circostanti con infiltrazione neutrofila. I lipidi e le proteine del "caseum” vengono idrolizzati con svuotamento nelle vie bronchiali,cui può conseguire disseminazione per via broncogena e possibile broncopolmonite tubercolare; possono formarsi inoltre ampie cavità (TISI) nelle quali la moltiplicazione del bacillo di Koch avviene con estrema facilità.
CLINICA: la TBC viene suddivisa in:
• TBC primaria: conseguente al primo contatto con il bacillo. Decorre prevalentemente in forma asintomatica o paucisintomatica (febbricola, astenia,tosse), più raramente si manifesta con sintomi importanti.
La prima infezione scatena una risposta immunitaria efficiente che elimina definitivamente il batterio. Il primo contatto dà origine al complesso primario caratterizzato da alveolite aspecifica, essudazione necrosi caseosa e adenopatia ilare. Nella maggioranza dei casi il complesso primario va incontro a guarigione spontanea senza esiti o con siti calcifici nei quali i micobatteri possono sopravvive e riattivarsi in casi di immunosoppressione
• TBC post-primaria: può essere secondaria a riattivazione endogena o a reinfezione. La sintomatologia presenta: astenia, febbricola, tosse produttiva talora con emoftoe (striature di sangue)
possibile conseguenza alla tubercolosi è la pleurite tubercolare secondaria a rottura del cavo pleurico. Tale fenomeno evoca lo sviluppo di una reazione immunologia di tipo IV o ritardata con infiammazione e compromissione del drenaggio linfatico. La sintomatologia è, in questo caso, aspecifica : febbre, calo ponderale, ecc..
DIAGNOSI:
- intradermoreazione tubercolinica: implica un areazione ritardata di fase IV. La positività valuta l’avvenuto contatto dell’organismo con il bacillo in questione. Non è diagnostico di malattia in atto ma solo di pregressa infezione. Si inocula sottocute una miscela di proteine antigeniche purificate ( reazione di Mantoux) e dopo 48-72 ore si verifica la presenza di eritema, papule, infiltrato o indurimento indicativi della avvenuta sensibilizzazione al bacillo.
- Diagnosi batteriologica: si evidenzia la presenza dell’agente patogeno in determinati campioni biologici (escreato, lavaggio bronchiale, liquido pleurico, urine, feci, ecc…).
- Rx torace
- PCR (polymerase chain reaction) si studia con specifiche sonde il materiale genetico del Mycobacterium
- INF gamma ne valuto la concentrazione per verificare l’attivazione linfiocitaria.
TERAPIA: la terapia farmacologia d’attacco prevede l’utilizzo contemporaneo di 4 farmaci per 2 mesi:
- Isoniazide ( o Idrazide dell’acido isonicotinico)
- Rifampicina
- Etambutolo
- Pirizinamide
La terapia di mantenimento va continuata per i successivi 4 mesi e prevede la combinazione di Isoniazide e Rifampicina.

Le chemochine

Il sisitema immunitario è un esercito mobile che deve andare a cercare i possibili invasori attraverso due vie: il sangue e la linfa; le cellule tuttavia si muovono anche nei tessuti soprattutto quando si ha stato infiammatorio. Cosa regola il circolo delle cellule immunitarie? In realtà è regolato da una serie di segnali che attraggono particolari cellule; questi segnali sono dovuti a messaggeri solubili chiamati chemochine. In un sito, bersaglio di invasione batterica, sono costitutivamente presenti cellule dell’immunità innata che rallentano l’avanzare del nemico producendo messaggeri solubili responsabili della risposta infiammatoria. Queste sostanze sono le citochine pro infiammatorie primarie: Tumor Necrosis Factor alfa, IL1, IL6; esse cioè causano l’infiammazione acuta. Sono inoltre responsabili della produzione di particolari messaggeri (chemochine) che regolano il traffico delle cellule difensive; alcune agiscono su certe cellule altre su altre in base al tipo di recettore che queste cellule possiedono; se ne conoscono oltre 50 con 16 recettori riconosciuti. In sostanza potranno rispondere a quella chemochina solo le cellule che hanno il recettore specifico per la stessa. Quindi la possibilità di migrare dipende da questi fattori. Importante ricordare che alcune chemochine sono prodotte in seguito a stimoli precisi legati all’infezione (chemochine inducibili)e queste sarnno in grado di richiamare solo una particolare popolazione (p.es. IL8 secreta da macrofagi e cell endoteliali richiama soprattutto neutrofili e cellule T perchè hanno recettori specifici per IL8). Esistono poi chemochine prodotte in maniera costitutiva ,cioè sempre, che regolano l’afflusso di linfociti T e cellule dendritiche immature ( che hanno il recettore CCR7)ai linfonodi. Esse sono CCL 19 e CCL21 prodotte dalle cellule ad endotelio alto del linfonodo oppure da cellule dendritiche mature già presenti. Quindi si capisce come il traffico dei leucociti sia estremamente regolato ed arriveranno in un dato sito solo le cellule necessarie.

BPCO La broncopneumopatia cronica ostruttiva

“E’ una condizione clinica eterogenea e complessa, caratterizzata da diffusa limitazione al flusso aereo espiratorio, irreversibile o scarsamente reversibile, lentamente progressiva nel corso degli anni, associata a bronchite cronica ed enfisema in varia misura coesistenti”.
E’ evidente che la bronchite cronica e l’enfisema rappresentano due aspetti fondamentali di tale condizione clinica.
La bronchite cronica è universalmente definita come una condizione caratterizzata da tosse con espettorazione per almeno 3 mesi all’anno e per 2 anni consecutivi non attribuibile ad altra patologia polmonare o cardiaca. Con il termine enfisema invece si definisce l’aumento permanente del contenuto aereo a valle dei bronchioli terminali con distruzione dei setti intralveolari, senza fibrosi.
EZIOLOGIA: non esiste un’unica teoria che possa spiegare l’insorgere di tale condizione clinica tuttavia si sono chiaramente dimostrati di notevole importanza, quali possibili agenti predisponenti, numerosi fattori individuali e ambientali. Al primo posto come fattore di rischio c’è certamente il fumo di tabacco imputato di far ammalare di BPCO il 20% dei fumatori esenti da fattori protettivi. Da non dimenticare sono comunque gli inalanti professionali ed urbani e le polveri organiche irritanti. Per quel che riguarda i fattori legati all’ospite, un chiaro ruolo eziologico è da attribuire al deficit di ά1-antitripsina (che tempona gli effetti dell’infiammazione neutrofila scindendo le proteasi prodotte) nonché pregresse infezioni respiratorie.a questo proposito sono nate diverse teorie patogenetiche :
- Teoria anglossassone prende in considerazione come specifico agente eziologico le ripetute infezioni e irritazioni respiratorie.
- Teoria olandese: afferma che la predisposizione genetica (deficit di antitripsina) connessa a una maggiore suscettibilità a bronchi iperattivi giochi un ruolo chiave nel perpetuarsi dell’infiammazione.
- Teoria unitaria: entrambe le teorie sopra citate concorrono allo sbilanciamento tra sistema che produca sostanze ossidanti esd enzimi lisanti (proteasi) e sistema che produca sostanze che li inibiscono (antiproteasi)
Nonostante questo si è concordi nell’affermare che tale condizione diventa più pronunciata con l’avanzare dell’atà e che non esiste terapia efficace nel combatterla; l’unico mezzo è la sospensione dell’abuso di tabacco.
PATOGENESI: la malattia si instaura come una semplice ipersecrezione mucosa ma evolve via via all’ostruzione delle piccole vie con ostacolo al flusso espiratorio fino alla distruzione dei setti e all’enfisema.
Nella bronchite cronica il meccanismo principale è l’iperproduzione di muco con riduzione della clearance ciliare che finisce per favorire le sovrainfezioni e l’aggravamento del quadro. Si squilibra in questo modo il rapporto ventilazione/per fusione con conseguente ipossemia (riduzione della concentrazione plasmatica di ossigeno) dapprima lieve e via via sempre più ingravescente. La distruzione dei setti induce riduzione della superficie di scambio e riduzione del ritorno elastico del polmone. A questo livello interviene anche il danno alle arterie polmonari che si comprimono e riducono il loro calibro a seguito dell’ipossemia, condizione che conduce ad ipertensione polmonare e cuore polmonare (dilatazione ventricolo destro) cronico.
L’ipossemia induce maggiore produzione di eritropoietina a livello renale con conseguente poliglobulia che aggrava la cianosi (aumento dei livelli plasmatici di emoglobina ridotta) e aumenta la viscosità ematica. Questo circolo vizioso conduce ad insufficienza respiratoria dapprima ipossica poi ipossica- ipercapnica (aumento della concentrazione plasmatici di anidride carbonica) fino all’acidosi polmonare e al cuore polmonare cronico.
CLINICA: i sintomi più frequenti sono:
- tosse cronica principalmente al mattino e spesso produttiva
- dispnea (difficoltà alla respirazione) inizialmente solo sotto sforzo in seguito anche a riposo
- ipossemia e cianosi (colorazione bluastra di cute e mucose) e successivamente ipercapnia
- cuore polmonare ed edemi declivi
Si può evidenziare un’espirazione prolungata la labbra socchiuse nonché presenza di respiro sibilante. Con il progredire dell’ostruzione appare evidente un aumento del diametro antero-posteriore del torace (torace a botte tipico dell’enfisematoso) e un aumento dell’escreato che assume carattere francamente purulento nel caso di sovrainfezione batterica.
L’enfisema può essere distinto in :
- enfisema centrolobulare: conseguenza di un processo patologico a carico del bronco che drena quegli alveoli in cui sono frequenti cianosi, cuore polmonare edemi e per questo gli specialisti inglesi coniarono il termine di blue bloater (gonfio blu) per identificare questi pazienti
- enfisema panacinoso o panlobulare in cui è assente la cianosi a prezzo di una dispnea evidente. Questi pazienti sono chamati pink puffer (soffiatore rosa ).
L’eccessiva limitazione al flusso in questi due casi è diminuita a seguito di diverse condizioni:
- se l’enfisema è di tipo centrolobulare l’aumento della produzione di muco fa aumentare le resistenze nelle vie aeree con conseguente bronchite.
- Se l’enfisema è del tipo panlobulare non si ha bronchite ma si ha distruzione alveolare riduzione del tessuto elastico con mancata riparazione fibrotica per ridotta sintesi di collageno.
DIAGNOSI:
- Spirometria: per valutare la presenza di ostruzione bronchiale, la valutazione di volumi polmonari e per valutare la stadiazione della malattia.
- EGA (emogasanalisi)
- Rx torace
- Esame batteriologico dell’escreato
- TAC
TERAPIA: la sospensione del fumo è il trattamento più efficace. La terapia farmacologia di fondoè l’uso di farmaci broncodilatatori. In casi particolari può essere proposta la ventilazione meccanica.

Le reazioni di ipersensibilità di tipo 3 e 4

IPERSENSIBILITA' III TIPO
Malattia da immunocomplessi
Le malattie da immunocomplessi le ritroviamo in molte situazioni, sia in malattie infettive dovute a infezione persistente e causate prevalentemente da Antigeni di derivazione batterica, sia nelle malattie autoimmuni. Quindi la persistenza di Antigeni propri e la produzione di Anticorpi diretti contro gli stessi possono formare immunocomplessi che vanno a far danni.
Nella maggior parte dei casi è colpito il rene per la sua funzione di filtrazione del sangue e dove i complessi antigene-anticorpo trovano condizioni adatte alla loro deposizione a livello dei glomeruli. Nel caso delle malattie autoimmuni oltre ad essere sede preferenziale il rene, spesso troviamo zone di deposito a livello delle articolazioni, dei vasi e di cute. La via di penetrazione intravenosa con alte dosi di Antigeni porta come sito preferenziale di deposito degli immunocomplessi le pareti dei vasi e quindi si genereranno situazioni infiammatorie chiamate vasculiti. Naturalmente potremo avere depositi a livello glomerulare con nefriti oppure negli spazi articolari con conseguente artrite. Un altra forma è la penetrazione dell'Antigene sottocute che andrà a scatenare la cosiddetta reazione di Arthus. Nel caso della via inalatoria il sito di deposito dell'immunocomplesso è l'interfaccia alveolo polmonare-capillare, in questo caso abbiamo una patologia nota come polmone del contadino: l'Antigene viene inalato in quanto presente come spore derivate da actinomiceti presenti nel fieno.

Cosa sono gli immunocomplessi? Smaltimento fisiologico
E’ l’insieme di antigene ed anticorpo, quindi tende a formarsi sempre durante una reazione immune, se l'Antigene è solubile. Quindi è un qualcosa di fisiologico. Quando è fisiologico, l'immunocomplesso tende ad essere eliminato facilmente grazie al contributo del complemento e dei fagociti residenti in siti appositi (milza e fegato). A seconda che si abbia eccesso di Antigene o di Anticorpo si possono avere squilibri nello smaltimento degli immunocomplessi..Gli immunocomplessi grossi possono essere facilmente rimossi a livello epatico in quanto possono legare i recettori per Fc presenti sui macrofagi e riescono a fissare agilmente il complemento, mentre se sono piccoli tendono a rimanere più a lungo in circolo e a dare problemi a livello vasale.
Il sito di deposito degli immunocomplessi dipende da 3 fattori:
1) localizzazione dell'Antigene a livello del tessuto
2) dal fatto che per esempio. a livello dei vasi la presenza di immunocomplessi con vari meccanismi può generare un aumento di permeabilità vasale
3) in certi punti del glomerulo ci sono fattori di pressione e turbolenza del sangue elevati che facilitano il blocco dell'immunocomplesso e la sua deposizione
Il complemento è importante per lo smaltimento. In certe malattie autoimmuni come il lupus, il paziente può sviluppare malattia proprio perchè ha un difetto genetico sul complemento. Il compito principale del complemento è di rompere gli immunocomplessi troppo grossi, solubilizzarli e facilitarne così il trasporto dopo legame ai globuli rossi che hanno recettore per il C3b (che è il CR1). Gli immunocomplessi legati al C3b vengono portati alla milza e al fegato dove possono essere eliminati.
Riepilogando gli immunocomplessi grossi vengono rotti e solubilizzati grazie al legame col complemento. I complessi ora più piccoli e legati a C3b possono legarsi ai globuli rossi grazie al CR1 recettore di questi ultimi. Il globulo rosso legando C3b-immunocomplesso arriva al fegato o alla milza dove viene facilmente eliminato
Gli immunocomplessi possono avere dimensioni e stechiometrie diverse. Nelle fasi precoci quando abbiamo pochi Anticorpi e c'è ancora molto Antigene, gli immunocomplessi sono ancora molto piccoli e non fissano il complemento: tendono a persistere quindi in circolo. Nella fase intermedia abbiamo equilibrio: antigeni e anticorpi tendono a compensarsi, gli immunocomplessi sono di struttura ottimale per fissare il complemento e quindi per essere eliminati dal circolo. Nelle fasi terminali i livelli di Antigene stanno diminuendo mentre gli Anticorpi sono ancora in quantità elevata. Quindi anche in questo caso gli immunocomplessi, che hanno dimensione intermedia rispetto ai precedenti, fissano il complemento e possono essere eliminati. Nel caso che siano prodotti Anticorpi con bassa affinità per l’Antigene oppure se l'Antigene di per sè dà una risposta debole, gli immunocomplessi sono più piccoli e diventa più difficile smaltirli e quindi tendono a depositarsi.

Aumento della permeabilità dei vasi e le vasculiti
Una delle sedi in cui è più facile il deposito sono i vasi con generazione di una vasculite. Gli immunocomplessi quando si ha un'infiammazione dei vasi tendono a dare stimolo sia sui basofili sia sulle piastrine alla liberazione di istamina e serotonina. Queste amine vasoattive provocano retrazione delle cellule endoteliali ed aumento della permeabilità vasale. Si innesca quindi, attraverso il deposito degli immunocomplessi, una reazione infiammatoria, naturalmente questo avviene in condizioni anomale in cui gli immunocomplessi non riescono ad essere efficientemente eliminati. La vasculite è una situazione di infiammazione della parete vasale in presenza di eccesso di Antigeni con immunocomplessi solubili e circolanti. Aumentando la permeabilità non c'è solo edema, ma anche una maggior facilità per gli immunocomplessi a depositarsi sulla parete del vaso. Qui stimolano il complemento e vengono prodotti C3a e C5a. Questi fattori attivano i basofili che rilasciano le amine vasoattive. Questa stimolazione abbiamo detto vale anche per le piastrine. Questo deposito di immunocomplessi nella parete induce anche aggregazione piastrinica che tende a formare microtrombi a livello del collAntigeneene che a questo punto è più esposto perchè c'è stata la retrazione dell'endotelio. Successivamente prodotti del complemento come C3a e C5a richiamano per chemiotassi neutrofili circolanti. Essi vengono attratti proprio dove c'è il deposito e tendono ad attaccare l’Fc delle IgG dell'immunocomplesso, ma dato che l’immunocomplesso è intrappolato sulla parete del vaso anche per la presenza dei microtrombi, i neutrofili si attivano per fAntigeneocitarli ma non riuscendoci rilasciano i loro enzimi litici, aggravando lo stato infiammatorio.

Reazione di Arthus
Una reazione di deposito di immunocomplessi può essere osservata in maniera localizzata a livello cutaneo; lo studio della reazione di Arthus e dei suoi stadi sono stati studiati nell'animale immunizzato con un dato Antigene per fargli produrre molti Anticorpi. Per analizzare la reazione localizzata sulla cute, si prende l'Antigene nell'animale iperimmune che ha in circolo un eccesso di Anticorpi e si inocula di nuovo l’Antigene a livello della cute. L'inoculo determina passaggio dai vasi di Anticorpi prodotti in grande quantità: in questa sede l'incontro Antigene-Anticorpi determina formazione di immunocomplessi. Il meccanismo poi è simile a quello della vasculite ma è localizzato nella zona sottocute. In questo caso la presenza degli immunocomplessi oltre a stimolare il complemento e ad attrarre i neutrofili ha anche un effetto diretto sui vasi determinando aumento della permeabilità e aggregazione piastrinica. A livello cutaneo ci sono molte mastcellule, l'attività quindi sarà più verso i mastociti che a carico dei macrofagi. Può esserci anche emorragia cutanea perchè c'è un passaggio dai vasi al tessuto di globuli rossi. La reazione ha un picco dopo circa 4-10 ore, mentre dopo 48 ore tende a scomparire perchè gli immunocomplessi sono gradatamente smaltiti.
Per avere lo sviluppo di reazione di Arthus più che il complemento sembra importante la presenza di cellule dotate di recettore per Fc delle IgG. Nel topo con deficit del complemento, possiamo ugualmente indurre la reazione di A., ma non si riesce in caso di difetti dell'espressione dei recettori per Fc delle IgG. Importanti quindi sono monociti-macrofagi e granulociti neutrofili.
Nell'uomo quando si ha la reazione, questa tende a localizzarsi sia a livello cutaneo sia intorno alle pareti dei vasi. Possiamo avere necrosi tissutale che tende a sparire in un giorno.
Una forma localizzata molto simile è l'inalatoria o polmone del contadino. Gli immunocomplessi si depositano a livello dell'alveolo polmonare provocando infiammazione, fibrosi e alla lunga portano a difficoltà respiratoria. Gli Anticorpi sono contro Antigeni derivati dagli Actinomiceti le cui spore sono frequenti nel fieno.

Malattia da siero
Per fare un esempio di malattia da immunocomplessi di tipo sistemico, possiamo considerare la malattia da siero , dovuta alla produzione di Anticorpi contro proteine eterologhe. Oggi è rara. Un tempo era frequente perchè insorgeva in soggetti che ricevevano siero di animale (eterologo) per essere protetti contro tetano. Un tempo si immunizzavano ad es. i cavalli con l'Antigene, si producevano sieri eterologhi che venivano somministrati per la terapia di tetano o difterite. Non si davano Ig purificate ma si dava tutto il siero che conteneva altre proteine, verso le quali il paziente produceva anticorpi. La produzione di Anticorpi generava grandi quantità di immunocomplessi. La reazione si sviluppa in presenza di un eccesso di Antigene. Gli immunocomplessi sono piccoli e persistono in circolo con sintomi quali brividi, febbre e si può avere eruzione cutanea, artiti, vasculiti. Tutti i distretti tipici degli immunocomplessi sono coinvolti in questa reazione. Oggi la causa classica non c'è più naturalmente, ma si può avere in seguito alla produzione di Anticorpi monoclonali murini specifici per strutture dei linfociti T utilizzati per prevenire il rigetto di trapianti oppure a farmaci come streptochinasi (nel trattamento dell'infarto miocardico) e penicillina. A questo proposito è curioso notare come la penicillina può indurre nell'uomo tutti e quattro i tipi di ipersensibilità. Oggi anticorpi monoclonali vengono impiegati contro certi tumori per colpire selettivamente recettori presenti su cellule neoplastiche. Attraverso l'ingegneria genetica si riesce ad ottenere Anticorpi umanizzati quindi non capaci di dare reazione che si verifica solo per Anticorpi eterologhi. La malattia da siero si può invece avere durante infezioni quando i patogeni tendono a persistere: ad es. l'endocardite batterica subacuta o l'epatite virale cronica.

Deposito di immunocomplessi nel rene
Gli immunocomplessi si depositano facilmente a livello renale. Qui la modalità dipende dalle loro dimensioni: se grandi si depositano a livello delle membrane basali del glomerulo, se più piccoli tendono a passare la membrana basale e vanno sul lato epiteliale. I fattori strettamente funzionali del rene che facilitano il deposito di immunocomplessi sono l'altra pressione del sangue a livello glomerulare ed i fenomeni di turbolenza che si hanno a livello delle curve e delle biforcazioni dei vasi del glomerulo. Gli immunocomplessi rallentano e tendono a fermarsi.


IPERSENSIBILITA' DI TIPO IV – RITARDATA
E' detta ritardata per la più lunga latenza, può manifestarsi nei confronti di Antigene proteici come veleni di insetti o proteine batteriche. Le manifestazioni cliniche sono fenomeni di edema localizzato cutaneo, eritema e indurimento. A livello istologico abbiamo la formazione di un granuloma che presenta un infiltrato prevalentemente costituito da Th1 (detti anche DTH) e macrofagi. Nel granuloma tubercolare vero e proprio ci sono anche macrofagi modificati, dovuti al fatto che spesso il macrofago non riesce ad eliminare il micobatterio.
Un esempio comune di ipersensibilità ritardata è quella da contatto: quella normalmente chiamata allergia ad esempio al nichel, al cromo, al lattice. Gli Antigeni sono in realtà aptèni, solitamente non proteici quindi uno ione metallico o sostanze di derivazione vegetale. Possiamo definirli Antigeni perchè estranei ma non possono da soli essere immunogeni; perciò devono collegarsi ad un vettore proteico che l'aptene incontra sulla cute. La reazione da contatto avviene perchè l'aptene viene assorbito a livello cutaneo e passa nello strato sottostante dove si coniuga al carrier proteico. La reazione locale è la dermatite da contatto.
Altro esempio è l'enteropatia, come la malattia celiaca, atrofia villosa del tenue con malassorbimento; però è anche inseribile tra le malattie autoimmuni.
Noi faremo 3 esempi di IV tipo: l'ipersensibilità da contatto, la reazione alla tubercolina che avviene a livello intradermico ed infine la reazione granulomatosa che clinicamente è la più importante. I tempi di latenza della reazione da contatto e tubercolinica sono tra 48 e 72 ore; la formazione del granuloma richiede 21-28 giorni.

Ipersensibilità da contatto
Le reazioni da contatto sono perlopiù dovute ad aptèni. L'aptene penetrato a livello cutaneo può legare gruppi NH2 di proteine derivate dalla cute e formare il complesso aptene-carrier che viene captato dalle cellule di Langerhans che lo processano e lo trasportano attraverso i linfatici afferenti ai linfonodi dove, sotto forma di cellule interdigitate, possono presentare peptidi derivati dalla processazione del complesso alle T CD4+. La situazione per questi Antigeni determina la maturazione delle T CD4+ verso Th1. La cellula si attiva in seguito al riconoscimento. L'attivazione della cellula in seguito al riconoscimento antigenico comporta la produzione di citochine come IL2, IFNgamma, GM-CSF e TNFa. Le cellule T a questo punto rilascianti gamma-IFN diventano effettrici e possono tornare al sito di penetrazione. Il gamma IFN aumenta l’espressione di molecole di adesione come ICAM1 e anche di molecole MHC II a livello dei cheratinociti della cute e delle cellule endoteliali. I cheratinociti attivati da IFNgamma rilasciano citochine infiammatorie come IL1, IL6 e GM-CSF che attrae cellule dal sangue. Possono essere attratte anche altre CD4+ anche non-specifiche per l'Antigene che possono essere attivate in questa sede; l'attività chemiotattica riguarda anche i macrofagi anche loro attivati dall'IFN gamma. Essi aumentano quindi la loro capacità fagocitica
La fase di diminuzione graduale della reazione si ha man mano che passa il tempo e ciò inizia quando i macrofagi attivati producono prostaglandine che hanno effetto di spegnimento della reazione infiammatoria perchè determinano l'inibizione della produzione sia di IL1 proinfiammatoria sia di IL2 che attiva i linfociti T. La produzione di PGE, il legame della T attivata ai cheratinociti ed infine la degradazione enzimatica del complesso aptene-carrier sono gli ultimi elementi della reazione che portano alla graduale scomparsa della reazione stessa e alla risoluzione. Non ci sarà più Antigene che sostenga la reazione.

Reazione alla tubercolina
E' simile. E' un test clinico per vedere se un soggetto ha avuto un precedente contatto con gli Antigene del micobatterio; è esempio di risposta di richiamo ad Antigeni solubili che sono stati precedentemente incontrati dal Sistema immunitario durante un'infezione tubercolare che noi potremmo aver avuto senza essercene accorti. Consiste nell'inoculo sottocutaneo di una piccola quantità di proteine estratte dal micobatterio della tubercolosi. Se l'individuo ha sviluppato immunità contro il micobatterio, avremo nella zona di inoculo intradermico una reazione infiammatoria. Anche qui la risposta è mediata da Th1 che riconoscono peptidi specifici derivati dal micobatterio. Partendo dall'inoculo, vediamo i tempi della reazione: abbiamo la solita captazione dell'Antigene da parte delle cellule di Langerhans con relativa presentazione dell'Antigene a livello linfonodale, entro le prime 2 ore aumenta l'espressione delle selectine sui capillari vasali; l'aumento delle selectine facilitano l'avvio dell'extravasazione di cellule; entro le prime 12 ore abbiamo anche espressione di altre molecole di adesione ICAM1 e VCAM1 che legano come controparte LFA1 e VLA4: abbiamo ora migrazione anche di monociti e linfociti quindi nel derma si forma un infiltrato da accumulo di cellule stravasate. L'aumento dell'infiltrato fa sì che le cellule che si ammassano rompano il collagene e aumenti edema; la reazione ha picco a 48ore e si completa con aumento di espressione di MHC II su macrofagi e cheratinociti che facilitano aumento della presentazione Antigene alle Th.

Reazione tubercolare vera e propria: granuloma tubercolare
E' la forma più rilevante dal punto di vista clinico per le complicanze. Il micobatterio tubercolare può sopravvivere e si moltiplica entro i macrofagi. Alcune sue componenti non possono essere adeguatamente presentati alla cellula T come peptidi antigenici: questo è un altro motivo di resistenza. Nonostante i macrofagi che hanno fagocitato i micobatteri si attivino più del solito, non riescono a distruggere tutti i micobatteri. Parte di questi vengono distrutti e i peptidi derivati vengono adeguatamente presentati ai Th, mentre altri no.
Il granuloma immunologico è la classica manifestazione della TBC ma si può trovare anche nella lebbra e nella sarcoidosi. Va distinto dal granuloma non immunologico in cui è presente un corpo estraneo. La differenza fondamentale è la presenza all'interno di linfociti: l'immunologico contiene linfociti, l'altro no. Anche sarcoidosi e morbo di Crohn presentano granuloma immunologico pur non dovute ad alcun patogeno microbico. L'attivazione costante dei macrofagi è dovuta alle Th1 (DTH) che producono gamma-IFN. L'infiammazione tende ad essere circoscritta tuttavia l'attivazione costante determina il rilascio di prodotti tossici nel tessuto, soprattutto reattivi dell'ossigeno e idrolasi acide che vanno a produrre un danno tissutale.
Granuloma e tubercolosi
Quando i micobatteri inalati si insediano nel polmone, i macrofagi li fagocitano ed iniziano a distruggerli, processano molte proteine ed iniziano a presentare peptidi antigenici alle Th. (Siamo ancora in una fase prevalentemente innata). C'è infiammazione a livello dell'alveolo con formazione di un nodulo. La Th1 (DTH) attivata perchè ha riconosciuto Antigene, diventa effettrice e produce IFNgamma, produce anche MCF e il MIF, importante perchè tende a trattenere i macrofagi in situ. A questo punto inizia a formarsi il granuloma tubercolare. Qui possiamo riconoscere cellule T DTH, macrofagi a vari stadi maturativi ma anche altri tipi che derivano da modifiche cui vanno incontro gli stessi. Essi possono allungarsi, perdere la capacità fagocitica e chiamarsi cellule epitelioidi. Altri possono fondersi e dare origine alle cellule giganti multinucleate. I macrofagi morendo liberano all'esterno micobatteri ancora vivi che possono diffondere instaurando un quadro di tubercolosi primaria. I macrofagi muoiono per esaurimento, ma muoiono anche per sostanze tossiche batteriche tubercolari. All'interno del granuloma si forma così necrosi e viene meno anche l'ossigeno. I macrofagi morti tendono a formare una massa amorfa all'interno della massa centrale del granuloma (necrosi caseosa). La necrosi può estendersi al tessuto polmonare circostante e a livello radiologico si può evidenziare. La guarigione inizia quando a livello del tubercolo si depositano sali di calcio (calcificazione). I micobatteri se non c'è sufficiente circoscrizione a livello del tubercolo, possono andare in circolo e anche diffondere a distretti lontani. La tubercolosi miliare è la diffusione estrema.