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giovedì 30 settembre 2010


Rettorragia (proctorragia)

L´emissione di sangue dall´ano è il sintomo riferito più frequentemente in coloproctologia, anche perché è presente quasi costantemente nella patologia emorroidaria, che è la malattia ano-rettale di più comune osservazione. Una rettorragia, però, può essere espressione di condizioni molto più gravi, soprattutto del carcinoma colo-rettale, e pertanto non deve essere mai sottovalutata.
Il medico a cui per primo il paziente si rivolge dovrà assolutamente evitare diagnosi presuntive, attribuendo la causa del sanguinamento a una ipotetica patologia emorroidaria, senza prima avere attentamente indagato sulle caratteristiche del sintomo, eseguito un esame obiettivo e programmato eventuali ulteriori indagini cliniche.
Le caratteristiche della proctorragia riguardano:
o il suo colore: quello tipico delle affezioni del canale anale e del retto è rosso vivo. Quanto più la fonte del sanguinamento è prossimale, tanto più il sangue può andare incontro a modificazioni e presentarsi quindi più scuro, a volte misto a coaguli, a volte con aspetto simile alla melena;
o il suo rapporto con la defecazione: un sanguinamento che si manifesta con un gocciolamento, a volte abbondante, nella tazza al termine della defecazione è tipico delle emorroidi. Quando il sangue si presenta con sottili striature sulle feci o nella carta igienica, la causa più frequente è una ragade anale. Il sangue commisto alle feci proviene solitamente da una lesione colica o rettale, tipicamente il polipo o il carcinoma. Scariche diarroiche commiste a sangue sono più frequentemente l´espressione delle malattie infiammatorie croniche, in particolare la colite ulcerosa. Un´abbondante enterorragia, anche con emissione di coaguli, spesso senza contemporanea emissione di feci, può essere causata da un´angiodisplasia o da una malattia diverticolare, specie se il soggetto è anziano.

sabato 25 settembre 2010


Colangite acuta

La colangite è un´infezione delle vie biliari che si sviluppa come complicanza di un´ostruzione biliare benigna o maligna. Storicamente la causa più comune di colangite è la coledocolitiasi. Le manipolazioni sulla via biliare, come le metodiche invasive, gli interventi chirurgici e il posizionamento di protesi, sono ritenute le cause più frequenti di colangite; altre cause includono le stenosi della via biliare, i tumori, le cisti del coledoco e la litiasi intraepatica.
La presentazione clinica può essere variabile in base all´eziologia, all´età e alle condizioni generali del paziente. La triade di Charcot (febbre, dolore in ipocondrio destro, ittero) rappresenta la manifestazione clinica caratteristica della colangite; essa è caratterizzata da un esordio brusco con brividi squassanti, un rapido picco febbrile a 39-40° C che dura alcune ore e una caduta della febbre per crisi con profusa sudorazione. La sindrome può ulteriormente aggravarsi quando le tossine batteriche determinano lesioni cerebrali e renali, con un quadro caratterizzato anche da ipotensione e da alterazione dello stato mentale, la cosiddetta pentade di Reynolds.
I batteri più comunemente identificati sono di origine intestinale, come E. coli, Streptococcus faecalis, Clostridia, Klebsiellae, Enterobacter, Pseudomonas e Proteus. Essi probabilmente raggiungono la via biliare attraverso una batteriemia portale. Non esiste nessuna correlazione tra la severità delle manifestazioni cliniche e la presenza o assenza di materiale purulento nella via biliare; la colangite suppurativa è comunque associata a un maggior rischio di mortalità.
Dal punto di vista diagnostico in corso di colangite si registrano un innalzamento della bilirubinemia (nei pazienti con ostruzioni di natura maligna l´innalzamento è significativamente maggiore di quelli con ostruzioni benigne), leucocitosi e elevazione della fosfatasi alcalina. L´ecografia è l´indagine strumentale di scelta per la diagnosi.
Terapia: i pazienti affetti da colangite rispondono al trattamento medico con antibiotici a largo spettro (penicilline e cefalosporine di seconda generazione), ma nei casi severi si rende obbligatoria la decompressione della via biliare principale mediante drenaggio endoscopico o chirurgico.

lunedì 20 settembre 2010


pseudocisti epatiche

Sono lesioni localizzate preferenzialmente in sede sottocapsulare, e costituiscono quasi sempre l´esito di pregressi traumi epatici occorsi molto tempo addietro. Si tratta di cavità sferoidali o lenticolari, di consistenza molle, a contenuto liquido o gelatinoso di colore variabile dal citrino al bruno. La parete è costituita solo da un sottile strato fibroso. Si ritiene che le pseudocisti derivino dall´evoluzione di ematomi, di aree di colliquazione tissutale o di stravasi biliari post-traumatici. L´ecografia mostra un´immagine transonica o marcatamente ipoecogena, a pareti lisce. All´esame TC le pseudocisti possono talvolta essere scambiate per lesioni metastatiche; a differenza di queste però, non mostrano aumento di densità dopo infusione endovenosa di mezzo di contrasto. Nei casi dubbi la diagnosi definitiva viene raggiunta tramite biopsia ecoguidata.
Terapia: la chirurgica risulta necessaria solo in presenza di gravi disturbi o sintomi da compressione. L´intervento solitamente eseguito, vista la localizzazione superficiale delle lesioni, è la marsupializzazione.

mercoledì 15 settembre 2010


Cisti epatica da echinococco (idatidea)

Il 50-70% delle cisti da echinococco nell´uomo si localizza a livello epatico.
A causa del ciclo di vita del parassita la malattia è più comune in nazioni i cui abitanti sono dediti alla pastorizia: Australia, Argentina, Iran e Grecia, Italia, Francia e Spagna tra le nazioni europee. In Italia la malattia è endemica in Sardegna, Sicilia, Campania e Puglia.
Il parassita esiste in due forme distinte a seconda dell´ospite in cui si annida. L´ospite primario appartiene generalmente alla razza canina (cani, lupi, volpi). Nel cane il parassita ha la forma di un cestode di 4-6 mm di lunghezza, con 4-5 segmenti al di sotto della testa. La testa si annida nella parete dell´intestino mentre la coda gravida sporge nel lume intestinale. Quando gli embrioni vengono eliminati con le feci, essi possono contaminare l´erba e la terra infettando i ruminanti (pecore, mucche) qualora vengano ingeriti durante il pascolo; questi animali costituiscono i cosiddetti ospiti intermedi. Un cane che si cibi di visceri di animali infetti ristabilisce il ciclo di vita dell´echinococco.
L´uomo costituisce un ospite intermedio occasionale qualora contragga la malattia tramite il contatto con cani infetti o feci di animali infetti. Le mani sporche portate alla bocca consentiranno al parassita di penetrare nell´intestino dell´uomo. I succhi gastrici e pancreatici sciolgono la membrana esterna dell´embrione che diviene attivo e penetra la parete dello stomaco e dell´intestino. Il parassita raggiunge quindi il circolo portale ed il distretto capillare epatico, dove dà luogo ad una reazione infiammatoria con richiamo di cellule mononucleate ed eosinofili. La maggior parte dei parassiti viene distrutta, ma gli elementi che sopravvivono danno luogo immancabilmente alla formazione delle cisti.
La cisti idatidea è circoscritta da una parete costituita da tre strati concentrici.

• Lo strato periferico, detto pericistio, è una membrana fibrosa costituita dalla proliferazione di fibroblasti del fegato e contenente cellule giganti, macrofagi ed eosinofili. Esso rappresenta la risposta infiammatoria del fegato alla presenza del parassita.
• Lo strato intermedio, o membrana chitinosa, è costituito dalla deposizione di materiale amorfo prodotto dal parassita e disposto in una struttura lamellare concentrica, facilmente disseccabile.
• Lo strato interno, o germinativo, è rappresentato da un unico strato di cellule parassitarie, costituenti la cosiddetta membrana proligera. Dalla proliferazione di questi elementi nucleati si originano proiezioni digitiformi, che vanno incontro a successiva cavitazione. All´interno delle vescicole proligere che così si costituiscono avviene lo sviluppo degli scolici del parassita.

Le vescicole proligere si rompono nel lume della cisti, riversando in essa gli scolici maturi, i quali, insieme ai residui delle cisti proligere, vanno a costituire sul fondo della cisti un precipitato di aspetto sabbioso (sabbia idatidea). Il distacco dalla membrana proligera di frammenti dell´epitelio germinativo, che vanno poi incontro a proliferazione, comporta la formazione di cisti figlie endogene, fluttuanti nel lume della cisti principale.
L´aumento di volume dell´idatide può comportare lo stiramento e l´assottigliamento del pericistio, così da rendere possibile la protrusione della membrana chitinosa e dell´epitelio germinale, e la formazione di cisti figlie esogene.
Il liquido idatideo contenuto nella cisti è limpido ed incolore. In caso di morte del parassita esso diviene però denso e poltaceo.
Nel caso di infezione da echinococco granuloso i meccanismi di difesa dell´organismo appaiono in grado di contrastare piuttosto efficacemente la crescita del parassita, e lo sviluppo delle cisti è lento. In alcuni casi lo sviluppo si arresta in seguito alla morte del parassita ed alla successiva calcificazione della parete della cisti; ciò si verifica frequentemente in conseguenza di necrosi asettica o di superinfezione batterica della cisti, cui segue il distacco degli strati più interni dal pericistio, la scomparsa dell´epitelio germinativo e la deposizione di sali di calcio nella membrana chitinosa. Le cisti da echinococco granuloso hanno uno sviluppo graduale e progressivo, e possono raggiungere dimensioni cospicue (25 cm).
All´infezione da echinococco multiloculare, più diffusa nelle regioni centroeuropee, consegue la formazione di cisti multiple tendenti ad invadere il parenchima epatico e ad erodere l´albero biliare ed i vasi sanguigni, tramite i quali può diffondere anche a distanza.
Il coinvolgimento dei dotti biliari può comportare la frequente insorgenza di ittero. Le cisti, dal contenuto gelatinoso, sono di diametro modesto e la reazione fibroblastica circostante è estremamente povera. La progressione della malattia è nettamente più rapida di quella dell´echinococco granuloso.
Diagnosi clinica e strumentale: il 25% dei pazienti è asintomatico. Talvolta l´idatide è palpabile direttamente in ipocondrio destro. Più spesso però la cisti si sviluppa spingendo verso il basso il fegato, il cui margine deborda dall´arcata costale.
I pazienti riferiscono dolore persistente e sensazione di peso in ipocondrio destro o alla porzione inferiore dell´emitorace destro. In una piccola percentuale di pazienti la malattia esordisce con sintomatologia allergica: prurito generalizzato, rush orticarioide, episodi di asma bronchiale, shock anafilattico conseguente alla rottura accidentale della cisti. L´ittero è raro in assenza di complicanze. Il sospetto di idatidosi può essere formulato in base all´anamnesi ed alla provenienza geografica del paziente, e nel caso di riscontro di due o più cisti epatiche.
L´intradermoreazione di Casoni è attualmente considerata un esame superato, ed il riscontro di eosinofilia si ha solo nel 40% dei soggetti; la diagnosi strumentale viene quindi suffragata con l´esecuzione di test sierologici specifici (ELISA, RAST), che possono però risultare negativi se il parassita è morto. Una radiografia diretta dell´addome può evidenziare la presenza di calcificazioni a contorni circolari che si proiettano a livello dell´aia epatica nel caso di cisti di vecchia data a parete calcifica.
L´aspetto all´ecografia ed alla TC delle cisti da echinococco è variabile (Fig. 11.23): le cisti di recente formazione possono risultare del tutto simili alle cisti epatiche semplici, mentre quelle di più vecchia origine presentano modificazioni nello spessore della parete, che può assumere un aspetto pluristratificato o divenire calcifica, e mostrano frequentemente la presenza di cisti figlie endogene o esogene e di sabbia idatidea.
All´esame TC le cisti idatidee non captano il contrasto iodato e mostrano quindi densità invariata nelle scansioni eseguite prima e dopo l´iniezione del contrasto.
Nel sospetto di malattia attribuibile all´echinococco multiloculare va eseguita anche un´angiografia, al fine di evidenziare eventuali coinvolgimenti della rete vasale epatica.
Complicanze: la presenza di cisti idatidee epatiche può esporre il paziente al rischio di diverse complicanze.
In seguito a traumi toraco-addominali, le cisti, soprattutto quelle adiacenti alla superficie del fegato, possono rompersi direttamente nella cavità peritoneale, causando gravi reazioni anafilattiche e la disseminazione della malattia all´intera cavità sierosa.
Analoghi effetti possono conseguire allo spandimento di liquido idatideo in corso di laparotomia o di puntura esplorativa della cisti.
Alcune cisti localizzate nei segmenti epatici adesi al diaframma possono erodere la struttura muscolare e la pleura, obliterata in seguito alla reazione infiammatoria, e rompersi all´interno di un bronco; a ciò fa seguito costantemente la formazione di una fistola broncobiliare. Più frequente però è la rottura della cisti nell´albero biliare, segnalata dalla comparsa di colica biliare ed ittero colestatico e frequentemente seguita dallo sviluppo di colangite. In seguito si verifica spesso la colonizzazione batterica della cisti, con formazione di un ascesso epatico.
La rottura della cisti e la colonizzazione batterica si accompagnano in genere alla morte del parassita. Nei pazienti affetti da idatidosi può svilupparsi glomerulonefrite, conseguente alla deposizione di antigeni idatidei a livello renale.
Terapia: il trattamento delle cisti epatiche da echinococco varia a seconda dei casi. Cisti piccole e profondamente indovate nel parenchima del fegato richiedono in genere un atteggiamento conservativo. Anche le cisti calcificate non richiedono l´intervento chirurgico se non sintomatiche, perché considerate non attive. Il trattamento medico con farmaci benzimidazolici (mebendazolo, albendazolo, flubendazolo) ad alte dosi si è dimostrato discretamente efficace nell´indurre un miglioramento clinico, contenendo lo sviluppo numerico e dimensionale delle cisti. L´intervento chirurgico appare necessario per le cisti in posizione sottocapsulare o molto voluminose, esposte ad un maggior rischio di complicanze, ed in pazienti giovani in buone condizioni generali.

venerdì 10 settembre 2010


Malattia policistica del fegato

È una malattia a carattere ereditario trasmessa con modalità mendeliana. La presenza di fegato policistico si riscontra sempre in associazione con una o più delle seguenti lesioni epatiche: microamartomi (complessi di von Meyenberg), fibrosi epatica congenita, malattia di Caroli, coledococele. Nel 50% dei casi si associa a policistosi renale, e spesso alla presenza di lesioni cistiche anche in altri organi: pancreas, polmone, milza, ovaio.
Le cisti hanno dimensioni variabili da pochi millimetri a qualche centimetro, e possono coinvolgere diffusamente il parenchima epatico, oppure limitarsi a settori di esso. Sono limitate da una sottile parete epiteliale e circondate da una capsula fibrosa. Le cisti di diametro maggiore di 10 cm risultano in genere dalla confluenza di cisti più piccole, dopo la rottura dei setti di divisione. Il contenuto delle cisti è rappresentato da un liquido di colore variabile dal chiaro al bruno, con composizione elettrolitica simile a quella della bile.
Diagnosi clinica e strumentale: in molti pazienti il decorso è asintomatico. Nelle forme autosomiche recessive la malattia può essere evidente già alla nascita o manifestarsi nella prima infanzia; in questi casi la prognosi è legata alla gravità della fibrosi epatica e dell´interessamento renale, che risultano costantemente presenti.
Nelle forme ad eredità autosomica dominante, la sintomatologia insorge di solito nella IV o V decade di vita, ed è rappresentata da dolore e senso di peso in ipocondrio destro, talvolta associati a dispepsia. Raramente la compressione delle vie biliari può determinare la comparsa di ittero. I segni di insufficienza epatica e di ipertensione portale sono di solito assenti. All´esame obiettivo il fegato può apparire di volume normale o aumentato, con superficie irregolare. La diagnosi può essere sospettata in base alla familiarità ed al riscontro di un fegato aumentato di volume o dal margine irregolare in un paziente con funzionalità epatica normale. La conferma si ottiene con un´indagine ecografica che ben evidenzia la presenza di formazioni dotate di sottile capsula, a contenuto liquido, presenti nei due lobi epatici, nei reni e talvolta in altri organi. La prognosi è generalmente buona e dipende sostanzialmente dalla gravità delle lesioni renali associate.
Terapia: In presenza di sintomi, l´aspirazione ecoguidata del contenuto delle cisti di maggiori dimensioni può dare sollievo al paziente; raramente però le cisti raggiungono dimensioni tali da giustificarne il drenaggio. Inoltre l´evacuazione può essere resa difficile dal fatto che ciò che all´esame ecografico appare come un´ampia lesione cistica, può in realtà essere un ammasso di cisti piccole e separate da sepimenti sottili. L´intervento chirurgico va riservato alle cisti di diametro maggiore di 10 cm, sintomatiche e facilmente accessibili per il chirurgo.

domenica 5 settembre 2010


Cisti epatiche sierose

Si riscontrano in circa l´1% della popolazione. Si tratta di lesioni solitarie, asintomatiche, uniloculari, di diametro variabile da pochi millimetri a parecchi centimetri, delimitate da un epitelio cuboidale monostratificato e circondate da una scarsa reazione connettivale. Macroscopicamente appaiono di colore dal bianco al bluastro e di consistenza molle. La loro localizzazione all´interno del parenchima epatico non è caratteristica. Il contenuto delle cisti è rappresentato da liquido di colore variabile dal citrino al marrone scuro, acellulare, dalle caratteristiche compositive simili a quelle della linfa o della bile.
Le cisti sono solitamente di diametro modesto; in alcuni casi però possono raggiungere dimensioni tali da divenire palpabili e causare la comparsa di sensazione di peso e dolore in ipocondrio destro. Voluminose cisti possono causare compressione delle vie biliari con comparsa di ittero colestatico. Raramente si può presentare una rottura intraperitoneale della cisti o un´emorragia intracistica.
Il follow-up ecografico di queste lesioni ha dimostrato che raramente tendono ad aumentare di volume, ma il motivo per cui alcune lesioni cistiche assumono dimensioni cospicue non è noto; è quindi difficile poter stabilire con certezza l´evoluzione di queste neoformazioni.
Diagnosi clinica e strumentale: la funzionalità epatica non appare alterata, anche nei pazienti portatori di cisti di grosse dimensioni. L´individuazione delle cisti epatiche spesso è occasionale nel corso di un esame ecografico o TC dell´addome, richiesto per altri motivi.
All´ecografia appaiono come strutture anecogene, dai contorni regolari e ben definiti, con un incremento posteriore degli echi dovuto alla più facile penetrazione del fascio di ultrasuoni attraverso il contenuto liquido. La forma è solitamente sferoidale; la presenza di irregolarità dei profili è quasi sempre attribuibile alla presenza di cisti più piccole nelle immediate adiacenze di quella maggiore.
All´esame TC le cisti appaiono come lesioni dai contorni regolari e francamente ipodense, che restano immodificate dopo la somministrazione del contrasto endovenoso.
La diagnosi differenziale include le cisti idatidee, la malattia policistica epatorenale, il cistoadenoma ed il cistoadenocarcinoma, le pseudocisti epatiche, e le lesioni maligne primitive o secondarie del fegato contenenti aree di colliquazione necrotica. Il melanoma, i tumori carcinoidi ed i tumori dell´ovaio possono talvolta dare origine a metastasi epatiche di natura cistica; esse però sono sempre associate alla presenza di metastasi solide. Allo stato attuale delle conoscenze non sembra necessario procedere all´agoaspirazione ed alla biopsia di tutte le cisti epatiche.
L´esame ecografico e l´esame TC sono in genere sufficienti per definire i caratteri di benignità di una lesione cistica.
Terapia: l´evacuazione del contenuto liquido della cisti, condotta mediante l´introduzione di un ago sotto guida ecografica, non appare terapeutica, poiché quasi sempre si ha riformazione del liquido. L´aspirazione del liquido cistico andrebbe quindi riservata al caso di pazienti sintomatici con rischio operatorio troppo elevato. Le cisti di piccole dimensioni richiedono solo di essere controllate nel tempo con l´esecuzione di ecografie periodiche. Le formazioni di grosse dimensioni o francamente sintomatiche vengono trattate chirurgicamente mediante marsupializzazione. Solo in casi selezionati si rende necessaria la resezione epatica