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lunedì 27 dicembre 2010


Retinopatia aterosclerotica

Si osserva con una certa frequenza nei soggetti anziani,spesso associata alle alterazioni tipiche dell'ipertensione.
Sono tipici il restringimento localizzato del calibro arterioso con perdita della trasparenza e segni di incrocio artero-venoso. Si può associare ad una sclerosi anche del distretto coroideale che fa assumere al fondo un aspetto tigrato.
La terapia della retinopatia aterosclerotica spetta sostanzialmente all'internista.

mercoledì 22 dicembre 2010


Congiuntivite primaverile

E' una infiammazione bilaterale della congiuntiva, ad andamento cronico, ma con esacerbazioni stagionali nel periodo primaverile o nei mesi caldi. E' caratterizzata da sintomatologia soggettiva simile a quella della rinocongiuntivite, ma assai più marcata, dominata da un intenso prurito e accompagnata da lacrimazione, fotofobia, e senso di corpo estraneo. I segni obiettivi sono importanti; la congiuntiva per la chemosi assume un aspetto lattescente e si formano papille che possono interessare l'area limbale o, più spesso la congiuntiva tarsale superiore (le due forme si distinguono solo per la sede delle vegetazioni ipertrofiche); nelle forme più gravi le papille voluminose e ravvicinate assumono il tipico aspetto ad acciottolato romano. Frequentemente si verifica un interessamento corneale sotto forma di cheratite puntata o di ulcere. Al limbus possono formarsi i cosiddetti noduli di Trantas, concrezioni biancastre, calcaree, puntiformi provocate da accumuli di eosinofili. Colpisce soprattutto i bambini di sesso maschile, dura 5-10 anni per poi risolversi spontaneamente. L'ipertrofia delle papille è la manifestazione caratteristica di questa forma: istologicamente si tratta di un ispessimento diffuso dell'epitelio e dello stroma associato a un marcato processo infiltrativo (eosinofili e basofili). Da un punto di vista immunologico eè probabile che la malattia si instauri con un meccanismo mediato delle IgE come la forma precedente e quindi si automantenga nel tempo sino a derminare uno stato di iperattività della mucosa congiuntivale che reagisce anche a stimoli aspecifici (vento, sole, polvere,ecc). Il trattamento di questa forma non è facile: i sintomi possono essere trattati con colliri vasocostrittori, antistaminici e antiallergici quali il cromoglicato, la levocabastina e la lodoxamide. Talvolta può essere utile l'uso associato di colliri antinfiammatori non steroidei (FANS) quali il diclofenac e il ketorolac. In casi particolari, sotto stretto controllo oftalmologico, possono essere usati i cortisonici locali (da fluorometolone al prednisolone) e antistaminici per via sistemica.

sabato 18 dicembre 2010


Caratteristiche della retina all'esame retinografico

Lo studio della alterazioni retiniche associate alle malattie circolatorie sistemiche, risulta importante in quantoil dato oftalmoscopico fornisce indicazioni circa le condizioni vascolari specialmente dei distretti cerebrali e renali. Esistono una serie di segni generali da ricercare nell'osservazione dei vasi retinici.
Normalmente i vasi appaiono quasi trasparenti, soprattutto nei soggetti giovani, ma tale caratteristica viene persa durante gli anni, per quei fenomeni di sclerosi vasale che avvengono fisiologicamente. La parete arteriosa nei punti d'incrocio artero-venoso non permette più, nel tempo, di vedere la sottostante vena.
Quando il fenomeno di sclerosi aumenta, nei punti d'incrocio si osserva uno schiacciamento della parete venosa che assume una sinuosità ad "S"(segno di Salus), fino, in caso di ulteriore schiacciamento, a sparire, quasi fosse interrotta, in corrispondenza dell'incrocio per poi ricomparire dilatata a valle di questo (segno di Gunn).
Anche a carico del distretto arterioso sono comuni le alterazioni con un restringimento segmentario o generalizzato. Il primo è dovuto a un ispessimento della parete arteriosa, il secondo è legato ad uno spasmo tonico (da ipertensione cronica o aterosclerosi diffusa).
Le arterie vanno incontro ad un aumento della tortuosità che, se pronunciata, è spesso legata ad ipertensione con arteriosclerosi.
Il riflesso vasale è dovuto alla parziale riflessione della luce da parte della colonna eritrocitaria e della parete del vaso. I fenomeni di sclerosi portano ad una variazione di tale riflesso che appare dapprima rameico (arterie a filo di rame) per degenerazione ialina della tonaca media, ed infine color argento (arterie a filo d'argento) per ispessimento della parete.

lunedì 13 dicembre 2010


La corioretinopatia sierosa centrale

La corioretinopatia sierosa centrale (CSC) è descritta come una condizione a presentazione acuta, caratterizzata da un distacco sieroso della retina neurosensoriale nella regione maculare, che colpisce preferenzialmente i giovani maschi tra i 25 e 45 anni.
Di solito esordisce in un occhio solo, mentre una presentazione bilaterale e simmetrica della malattia, è riportata soltanto nel 10% dei casi. La recidiva è stata documentata in più del 50% dei casi. Molti individui con CSC non riportano una storia familiare nè segni o sintomi sistemici. Al contrario, se il distacco avviene nell'area centrale della macula, i pazienti possono tipicamente sviluppare visione appannata, metamorfopsie e scotoma centrale. Ulteriori alterazioni retiniche, che si possono studiare con precisione con la fluorangiografia, l'angiografia con verde di indocianina, l'OCT (Optical Coherence Tomography) e l'autofluorescenza, includono il distacco dell'epitelio pigmentato della retina (EPR), zone di atrofia dell'EPR, teleangiectasie capillari, neovascolarizzazioni retiniche o coroideali e deposizioni intraretiniche o subretiniche.
Molti casi di CSC si risolvono spontaneamente con il ripristino della funzione visiva. In una piccola percentuale di soggetti, tuttavia, si può sviluppare una malattia cronica o progressiva con una diffusa alterazione dell'EPR e una severa perdita della vista.
Non esistono trattamenti specifici, benchè la terapia fotodinamica, guidata dall'angiografia con verde di indocianina e la fotocoagulazione retinica siano oggi considerate trattamenti efficaci.
La precisa fisiopatologia della CSC è ancora poco conosciuta. La malattia si ritiene essere dovuta ad uno o più distacchi dell'EPR, con conseguente ritenzione di fluidi nello spazio sottoretinico.
E' teorizzato che il danno nei meccanismi di trasporto di fluido nell' EPR, che normalmente mantiene asciutto lo spazio sottoretinico, possa avere un ruolo nella genesi della malattia. Il fumo di sigaretta, l'ipertensione sistemica non controllata, la gravidanza, le malattie respiratorie allergiche, l'uso di alcool e antibiotici, il viagra, la terapia sistemica con corticosteroidi, gli agenti simpaticomimetici, gli anticorpi antifosfolipidi, la retinite pigmentosa, la psoriasi e le disfunzioni endogene di mineralcorticoidi, sono stati riportati come potenziali fattori di rischio per la malattia.
La CSC è stata descritta in pazienti con tumore benigno del surrene, crioglobulinemia, lupus eritematoso sistemico e in soggetti sottoposti trapianto di midollo osseo.
E' stata anche ipotizzata un'origine psicosomatica, in quanto risulta particolarmente frequente in individui aggressivi con personalità di tipo A che mostrano un atteggiamento competitivo.
Kitaya et al. hanno osservato un'iperpermeabilità coroideale, una congestione vasale e piccole aree localizzate ipofluorescenti circondanti regioni con perdita di fluoresceina. Gli autori hanno suggerito che l'ipofluorescenza di aree non perfuse, possa risultare da un'occlusione focale dei vasi coriocapillari.
Prunte e Flammer riportarono una simile interpretazione alcuni anni prima. Considerando che gli agenti antifibrinolitici e l'inibitore dell'attivatore del plasminogeno sono stati ritrovati elevati in pazienti affetti da CSC, e che questa malattia può associarsi all'uso di agenti simpaticomimetici, l'occlusione focale della microcircolazione coroideale, con secondaria ischemia, può risultare da una deficiente fibrinolisi e vasocostizione coroideale.
Un ridotto flusso di sangue coroideale nella regione foveale, dimostrato dall'uso della flussometria doppler laser, supporta la teoria dell'occlusione microcircolatoria coroideale, presente nei pazienti con CSC.
Inoltre, va notato che quasi tutti i soggetti con CSC hanno mostrato una iperfluorescenza coroideale diffusa e bilaterale all'angiografia con verde di indocianina, ma non è chiaro perchè un occhio solo sia di solito affetto, o comunque più affetto dell'altro.
Infatti, l'iperpermeabilità vascolare della coroide, da cui generalmente trae origine la CSC, può probabilmente essere la corretta spiegazione per l'iperfluorescenza, ma non per la manifestazione asimmetrica della malattia.
La asimmentricità di presentazione della malattia in entrambi gli occhi potrebbe essere spiegata dall'aumento della pressione idrostatica nel tessuto coroideale (che, essendo molto maggiore di quella retinica, riduce o arresta il flusso di soluti attraverso un EPR malato).

lunedì 15 novembre 2010


Acque destinate al consumo umano

1) acque trattate o non, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi, bevande, altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, fornite da rete di distribuzione o mediante cisterne, bottiglie,contenitori;
2) acque utilizzate in un’impresa alimentare per fabbricazione,trattamento,conservazione o l’immissione sul mercato di prodotti destinati al consumo umano
Requisiti fondamentali: INNOCUITÀ(inderogabile) GRADEVOLEZZA (auspicabile ma non vincolante)
CRITERI POTABILITÀ ACQUA:
- CRITERI IDROGEOLOGICI Bacino imbrifero, Tipo di alimentazionedelle falde, Grado di protezione fornito dal terreno,Consistenza della provvista idrica ,Mineralizzazione
- Caratteri ORGANOLETTICI Colore Odore Sapore
- Caratteri FISICI Temperatura Torbidità Conducibilità elettrica Radioattività
D.L.2001 47parametri da valutare per dare giudizio di potabilità
- PARAMETRI MICROBIOLOGICI verificare possibilità inquinamento fecale. No ricerca diretta patogeni anche se connessi con escreti, ma INDICATORI FECALI + numerosi e sempre presenti (n/gr feci)
- PARAMETRI FISICO-CHIMICI E DELLE MASSIME CONCENTRAZIONI AMMISSIBILI
1) COMPOSTI NON CANCEROGENI: DGT dose giornaliera tollerabile da cui derivo la concentrazione max ammissibile CMA.CMA=DGTx P x F(Peso corporeo Consumo acqua die F:sostanza in altri alimenti)
2) COMPOSTI CANCEROGENI GENOTOSSICI:valori proposti come limiti sono stima di aumento del rischio K pari a 1/100.000 in sogg. esposti tutta vita(70aa) alla concentrazione studiata.
A) PARAMETRI MICROBIOLOGICI E.Coli;Enterococchi 0/100ml non è pericolo,ma può indicare presenza patogeni.Feci umane-animali Pseudomonas eruzioni cutanee,otiti in acque ricche sostanze organiche
B) PARAMETRI CHIMICI.
ACRILAMMIDE 0,10 (μg/l) 400 mg/l confusione disorientamento turbe memoria e sangue aumento rischio cancro flocculante nel trattamento acqua
ANTIMONIO 5,0 (μg/l) diarrea vomito alterazioni cardiache, riduzione glicemia
ARSENICO 10 (μg/l)DL per l’uomo varia a seconda dei composti arsenicali dolore diarrea vomito aumento rischio cancro, danni cute depositi naturali industrie vetro
DICLOROETANO effetti: snc, fegato, digerente, respiratorio, cardiocircolatorio. Aumento rischio cancro
EPICLORIDRINA irrita mucose e digerente, neurotossico aumento tumori
FLUORURO danni scheletrici e fluorosi dentale
PIOMBO Irritabilità, agitazione motoria, cefalea segni neurologici, crampi addominali, lesioni renali. Rallenta sviluppo psico fisico deficit attenzione adulti problemi renali e IPT.
MERCURIO coliti emorragiche, collasso cardiocircolatorio DL=500mg cloruro mercurio danni rene
NICHEL: nausea vomito diarrea sintomi resp e neuro. Patologia g.i. epatiche renali allergie NITRATI metaemoblobinemia con sintomi resp.fertilizzanti e liquami domestici
NITRITI: più tossici dei nitrati
ANTIPARASSITARI: insetticidi erbicidi fungicidi nematocidi acaricidi….
BENZENE
BENZOPIRENE
BORO
BROMATO
CADMIO
CROMO
RAME
CIANURO
SELENIO
TETRACLOROETILENE
CLORUROVINILE
CLORITO…
C) RADIOATTIVITA’ TRIZIO
PARAMETRI ACCESSORI: alghe batteriofagi nematodi enterovirus funghi protozoi pseudomonas.
Verifica con CONTROLLI di due tipi: controlli ESTERNI (ASL): ispezione impianti fissare punti prelievo campioni da analizzare frequenza campionamenti. Asl comunica a regione e ministero. Comunicazione e provvedimenti per gestore acquedotto; segnalazioni, limiti d’uso agli utenti.INTERNI(gestore.)
TRATTAMENTI POTABILIZZAZIONE: parametri fisici: filtrazione rapida e membrane filtranti
parametri chimici deionizzazione, carboni attivi osmosi inversa resine a scambio ionico parametri microbiologici: disinfezione es: grigliatura- preflocculazione-flocculazione.decantazione-filtraz rapida a sabbia-disinfezione-sterilizzazz intermedia-acqua potabile in rete.
DISINFEZIONE: cloro e ipocloriti, biossido cloro, ozono, raggi u.v., membrane filtranti
Cloro reagisce ossidando sostane organiche e inorganiche e inattivando microrganismi.
Esempio schema potabilizzazione:
1) preflorazione con biossido di cloro
2) chiariflocculazione
3)ozonizzazione
4)filtrazione su sabbia
5)filtrazione su carboni attivi
6) accumulo finale.
Sottoprodotti disinf.: sostanse chimiche org. Inorg. Durante reazione di disinfezione con materiale organico presente naturalm nell’acqua.: THM HAA HAN MX CLORITO
Nuove tecniche nano micro ultra filtrazione e osmosi inversa non aggiungono chimici affidabili pratici.
Acque usate dall’uomo: POTABILI, IN BOTTIGLIA, MINERALI NATURALI, DI SORGENTE.
POTABILI: acquedotti nelle abitazioni BOTTIGLIA:non molto diffuse MINERALI NATURALI: non possono subire trattamenti. Microbiologicam poure alla sorgente, no inquinanti chimici antropogenici, alcuni chimici naturali limiti concentraz. Effetti favorevoli organismo. Noti: T, ph sorgente conducibilità, residuo fisso 180° ossidabilità, CO2 Si HCO3 Na K Ca Mn Fe P Str Li Al Br I. non devono essere presenti:tensioattivi,benzene idrocarburi policiclici aromatici,antiparassitari,…
ACQUE SORGENTE: falde sotterranee protette no trattamenti disinfez né depuraz da sostanze antropogeniche. Limiti max concentraz per sostanze chimiche no effetti favorevoli organismo.

mercoledì 10 novembre 2010


HPV: Papillomavirus

E' causa necessaria per lo sviluppo del carcinoma della cervice: studi di prevalenza dicono che hpv-dna è sempre presente nel Ca.
I tipi a più alto rischio sono 16 e 18: hanno un OD alto probabilità altissima di evoluzione verso il tumore.
Altri tipi comuni sono 45 e 31. Il 6 e 11 causano condilomi.
Nel tumore squamoso l’insieme dei 16 e 18 rappresentano il 70% delle infezioni e nell’adenocarcinoma il 93%.
Metodologia delle prevenzione: 3 eventi importanti
1)momento conoscitivo: conoscere dati epidemiologici sulla diffusione hpv; sul rapporto con le diverse lesioni cervicali e genitali; sull’incidenza e mortalità per k cervice
2)momento degli interventi: invenzione del vaccino e strategia vaccinale per raggiungere obiettivi di sanità pubblica.
3)momento valutativo
Intervento primario: il vaccino contro hpv 16 18 ha ridotto l’incidenza di cin 2/3.
Intervento secondario:screening hpv ha ridotto del 90% l’incidenza di cancro cervice.
I requisiti primari per un intervento di sanità pubblica sono:
a) conoscenze epidemiologiche della malattia
b )disponibilità di vaccini sicuri, tollerabili, immunogeni ed efficaci: particelle simil virali del vaccino mimino la struttura del virus naive; il vaccino generi Anticorpi neutralizzanti; alto livello Anticorpi nel siero per trasudare nel sito di infezione.
d) fattibilità del programma di vaccinazione (risorse..)
Tuttavia non esiste un vero e proprio correlato di protezione cioè livello minimo di Anticorpi che può dare protezione.
I vaccini in uso sono 2: con buon profilo difesa e non sono infettanti(particelle similvirali).
GARVASIL TETRAVALENTE: 6, 11, 16, 18
Le particelle virali sono prodotte dal saccaromicies cerevisiae.
Adiuvante: alluminio idrossifosfato e solfato amorfo (AAHS),
Schedula 0, 2, 6 mesi
Indicazioni terapeutiche: prevenzione lesioni cervicali pre cancerose cin 2/3, cancro al collo dell’utero, k intraepiteliali della vulva vin 2/3 e vagina vain2/3, lesioni genitali esterni causate da hpv 6/11/16/18.
CERVARIX BIVALENTE: 16 e 18 (20/20 μg)
Particelle virali prodotte in cellule di insetto con vettore Baculovirus
Adiuvante: AS 04 (Idrossido di alluminio, 500 μg + monofosforil lipide A - MPL, 50 μg)
Schedula 0, 1, 6 mesi
Indicazioni terapeutiche: lesioni pre cancerose della cervice uterina e cancro alla cervice legato a infezione hpv 16/18.
PROTEZIONE CROCIATA: Anticorpi prodotti dopo la vaccinazione con un tipo di HPV neutralizzano, a livelli variabili, virioni di altri tipi di HPV a patto che siano correlati filogeneticamente.(es.18-45, 16-31)
l’Obiettivo prioritario e primario è la protezione diretta verso i tipi di virus vaccinali, la
possibilità di allargare la protezione grazie all’efficacia su altri tipi di virus è addizionale.
IMMUNOGENICITA’: il livello di Anticorpi post –vaccinazione richiesto per la protezione dalle lesioni (“correlato di protezione”) è sconosciuto.
Entrambi i vaccini sono sicuri, non in regime d monopolio e possono integrare prev primaria e secondaria.
Il Vaccino è “individuale” (le strategie per ora proposte non porteranno all’eradicazione)
-Impatto anti-tumorale previsto a lungo termine
-Impatto a breve termine sulle lesioni pre-cancerose(CIN 2/3 e CIN 1)
-Impatto psicologico
-Impatto sociale ed economico positivo nei modelli di cost-effectiveness
ELEMENTI PER PASSARE DAL VACCINO AD UNA CAMPAGNA VACCINALE:
Frequenza dell’evento prevenibile
- Dati di sorveglianza
- Documentazione alla registrazione
- Letteratura scientifica
- Modelli matematici
- Risorse disponibili
- Consapevolezza politica
Fattori che influiscono sull’outcome degli interventi vaccinali: informazione- conoscenza- valori- costi- elementi strutturali- elementi organizzativi
AVVERTENZE SPECIALI E PRECAUZIONI D’IMPIEGO: non ha effetto terapeutico – non sostituisce lo screening – non si sa quanto dura la protezione
I RISCHI DA EVITARE
-False attese sugli effetti del vaccino
-Falsa sicurezza verso altre infezioni sessualmente trasmesse
-Minore adesione al Pap-test
MESSAGGIO CHIAVE Il vaccino è sicuro ed efficace per prevenire il 70% circa dei tumori della cervice dell’utero, ma non tutti, pertanto è importante che alla vaccinazione si accompagni il
messaggio di aderire ai programmi di screening dedicati
SCOPO VACCINAZIONE IN ITALIA: controllo malattia ( e non sua eliminazione)
% di copertura elevata
vaccinazione raccomandata
risultati visibili tra molti anni.
N.B.: HPV causano tumore alla cervice uterina,ma anche: vagina, vulva, ano, pene, faringe, cavita orale.
In Europa si è stabilito di vaccinare gratuitamente una coorte di femmine di12 anni. Cmq è stato dimostrato che il vaccino rimane efficace per gli hpv per i quali non s è venuti a contatto.
Il vaccino quindi recentemente è stato allargato anche a donne fino a 48anni,non solo 15-26, per gardasil. 15 e 25 con un altro picco tra 40 -48 anni. Probabile latenza , tra infezione e cancro alla cervice, circa quindici anni.

venerdì 5 novembre 2010


HBV: virus dell'epatite B

Secondo l’OMS più di 1/3 della popolazione mondiale è venuta a contatto con il virus e il 5% di chi è stato contagiato diventa portatore. L’unico ospite è l’uomo che rappresenta il serbatoio di infezione. Ci sono zone ad alta media e bassa endemia: l’Italia è a bassa endemia (1-2%) e prevale la trasmissione sessuale.
Nel mondo ci sono 4-5 milioni di nuovi casi all’anno, 370 milioni di portatori e 600.000 morti per patologie associate.
Cosa causa HBV?
-infezione acuta con ittero
- inf. asintomatica o subclinica
- inf. fulminante
- inf. cronica.
Oggi si preferisce parlare di portatore inattivo piuttosto che asintomatico.
Concentrazione virus
- elevata: sangue, siero, essudato delle ferite
- moderata: liquido seminale, vaginale, saliva
- bassa: urine, feci, lacrime, latte, saliva
Trasmissione sessuale, parenterale (trasfusioni, siringhe,piercing, tatuaggi), trasmissione verticale (soprattutto durante il passaggio nel canale del parto).
Perché il numero dei portatori continua ad aumentare? Un ruolo importante è svolto dalla trasmissione verticale dei paesi in via di sviluppo: acquisire il virus nei primi mesi di vita equivale alla probabilità di diventare portatore dell’80%.
SEIEVA (sorveglianza epidemiologica dei casi di HBV in Italia) ha dichiarato che i portatori sono lo 0,6% e quindi l’intervento vaccinale ha funzionato.
Vaccinale: dal ‘91 è iniziata la vaccinazione nei 12enni e nei neonati, nel 2003 si è arrivati alla fusione delle 2 coorti. C’è stato un enorme decremento dei casi di HBV. Oggi stiamo aspettando l’eliminazione dell’infezione. Si è andati a controllare se la protezione del vaccino è a lungo termine:se si è responder e gli Anticorpi cadono si è comunque immuni.
Il livello sieroprotettivo è 10 ma anche se gli Anticorpi scendono si è protetti.
HBV-DNA si valuta per vedere la risposta alla terapia antivirale. Lo si chiede anche quando si sospetta un’infezione occulta, in paziente con epatite di origine sconosciuta e in paziente in attesa di trapianto di fegato e subito dopo l’intervento.
Il vaccino è derivato dal plasma, inizialmente era destinato ai gruppi ad alto rischio. Si cercava l’antiHbsAg nelle gravide e se positivo si vaccinava il neonato.
Nel ‘87 arriva il vaccino ricombinante: derivato dal lievito, si fa in 12 settimane, ha costi più bassi e disponibilità illimitata
È immunogeno: >95% sieroconversione.
La sieroconversione dipende da:
- età (>40aa 84%; >60aa 75%)
- immunosoppressione (i dializzati vaccinati con dose doppia arrivano all’64%)
- obesità
- fumo di tabacco
- i neonati rispondono benissimo
Vaccino sicuro: si.
Eventi avversi: shock anafilattico (1/600.000), guillain barrè, mielite traversa, neurite ottica, convulsione.
L’incidenza temporale con qualche patologia non ci autorizza a dare la colpa al vaccino.

sabato 30 ottobre 2010


Basi epidemiologiche, obiettivi e strategie delle vaccinazioni

Gli aspetti epidemiologici rilevanti nell’interazione ospite patogeno sono:
- Tasso di riproduzione di base del parassita (R0): il num medio di casi secondari prodotti da una infezione primaria in una popolazione interamente suscettibile
- Principio di azione di massa: dipende, in corso di un’epidemia, dalla quota di contatti tra suscettibili e infetti
- Immunità di gregge: resistenza di un gruppo all’attacco di un’infezione verso la quale una grande proporzione dei membri del gruppo è immune
R0= βCD
β = probab di trasmissione per singolo contatto
C= numero medio di contatti per unità di tempo
D= durata del periodo di infettività
R (tasso di riproduzione effettivo di un microrganismo)= R0S(t)
S(t)= frazione suscettibile all’istante di tempo t, ovvero la proporzione di soggetti suscettibili nella popolazione.
L’efficacia di un vaccino è il presupposto per poter avviare una campagna di prevenzione: è considerata la riduzione (percentuale) di frequenza di malattia attribuibile alla vaccinazione
EV(%)= 1 – (incidenza tra vaccinati/incidenza tra non vaccinati)x 100
Finalità dell’immunoprofilassi: aumentare le difese immunitarie specifiche dell’individuo
- Passiva: sieri e Ig (standard o specifiche)
- Attiva=vaccini: microrganismi vivi attenuati, inattivati-uccisi (interi, anatossine, frazioni microbiche purificate), proteine prodotte con rDNA
Le malattie prevenibili sono malattie per cui gli interventi sui serbatoi di contagio e le vie di trasmissione risultano insufficienti a controllarle.
Obiettivi: I vaccini sono preparati biologici ad elevato potere antigenico in grado di indurre uno stato di immunità attiva , atti quindi ad ottenere una memoria immunologica più o meno permanente nel tempo. I fini di un programma vaccinale sono:
- Eradicazione: malattia e agente causale definitivamente eliminati (es vaiolo)
- Eliminazione: scomparsa della malattia per riduzione della circolazione dell’agente causale (es difterite)
- Contenimento: la malattia non costituisce più un problema rilevante di sanità pubblica (es influenza)
Fattibilità scientifica di un programma di eradicazione-eliminazione:
- Trasmissione esclusivamente interumana
- Disponibilità di un vaccino sicuro, efficace, di facile somministrazione e di costo contenuto
- Facilità di diagnosi di malattia
- Assenza di portatori
- Microrganismo geneticamente stabile
Definizione di strategia:
- Popolazione da immunizzare (individuare gli individui target)
- Tasso di Copertura Vaccinale da raggiungere
L’eradicazione è ottenibile anche con una copertura vaccinale < 100% in quanto si ha:
- Protezione diretta: nei soggetti vaccinati
- Protezione indiretta (herd immunity) nei soggetti che vengono a contatto con il vaccinato
Strumenti indispensabili per una buona campagna vaccinale sono:
- Disporre di un sistema sanitario organizzato
- Favorire l’adesione alle vaccinazioni proposte tramite l’obbligatorietà e il convincimento promosso (offerta gratuita, incentivi economici).
Attualmente le vaccinazioni obbligatorie per legge sono 4:
- Difterite
- Tetano
- Poliomielite
- Epatite B

lunedì 25 ottobre 2010


Influenza A

Allarme: 20 aprile 2009. Si è diffuso dal Messico in tutto il mondo. L’OMS l’11 giugno 2009 ha dichiarato lo stato di pandemia (un’epidemia determinata dalla rapida diffusione di una infezione in più aree del mondo, con un elevato numero di casi gravi appartenenti a tutti i gruppi di età) influenzale con il passaggio alla fase di massima allerta (fase 6). Il passaggio dalla fase 5 alla fase 6 era atteso quale conseguenza dell’alta trasmissibilità del virus A nei diversi Stati. Per ora l’infezione non desta preoccupazioni dal punto di vista della gravità in quanto determina una sintomatologia paragonabile a quella dell' influenza stagionale.
Caratteristiche:
- E’ dovuto a un triplo riassortimento di un ceppo aviario, uno suino e uno umano.
- È antigenicamente nuovo quindi la nostra immunità è scarsa
- Si diffonde bene (R0 non elevatissima)
- Trasmissione interumana efficiente
Ha incidenza elevata in Italia. Stanno aumentando i numeri cumulativi di morti perché stanno aumentando il numero di casi settimana per settimana.

mercoledì 20 ottobre 2010


Eziologia, epidemiologia e profilassi malaria

Eziologia
Agente eziologico: protozoi del genere Plasmodium (Falciparum, Vivax, Malariae, Ovale)
Modalità di trasmissione: vettore- zanzara Anopheles
Determina:
- Falciparum: terzana maligna (incubazione breve- febbre, cefalea, nausea, vomito)
- Vivax: terzana benigna
- Ovale: terzana benigna
- Malariae: malaria quartana
Epidemiologia
A rischio: oltre il 40% della pop globale
Casi clinici: 300-500 milioni/anno
Casi letali: 1.5-2 milioni/anno
Più del 90% dei casi e la maggioranza dei decessi si verificano in Africa tropicale.
Profilassi
Completa ed adeguata solo nel 7.5% dei viaggiatori. L’OMS prevede entro il 2025 di sviluppare e autorizzare un vaccino efficace al 50%. Fattori che rendono complesso lo sviluppo del vaccino:
- Dimensioni e complessità genetica del parassita
- Presenza di parassiti in diversi stadi del ciclo vitale
- Sviluppo di strategie in grado di “confondere” il SI dell’ospite
- Possibilità di infezione contemporanea da parte di più ceppi.
Antigeni candidati per un vaccino:
- PRE-ERITROCITICI
proteina ricombinante circumsporozoita del P. Falciparum
vaccini a DNA contro P. Falciparum
vaccini che promuovono risposte protettive delle cellule T CD8
- ERITROCITICI
Antigene ricombinante dei merozoiti (MSA-2)
- MULTIANTIGENI
Virus attenuato del vaiolo vaccino, nel quale sono stati inseriti i geni di tutte le proteine apparteneti alle diverse fasi della vita del parassita.
Dato che non esistono vaccini, la profilassi consta di una prevenzione meccanica (impedire la puntura della zanzara) e di una terapia antibiotica specifica (Meflochina, Clorochina, Doxiciclina).

venerdì 15 ottobre 2010


Eziologia, epidemiologia e profilassi del Colera

Eziologia
Agente infettante: V. Cholerae
Modalità di trasmissione: oro-fecale
Periodo di incubazione: poche ore- 5 gg
Meccanismo di patogenicità: è un bacillo Gram negativo che produce un’enterotossina (presenta 2 subunità : A-monomero e B-pentamero, è tripsina-R, inattivata a 65°C per 30min)
Sierotipi: se ne conoscono 139 e quelli che determinano pandemie sono O1 (con i sottotipi Inaba, Ogawa, Hikojima)e O139
Fattori predisponenti: elevata carica microbica negli alimenti, ph gastrico aumentato, malattie croniche intestinali, malnutrizione, disidratazione, immunodepressione, alterazione flora microbica intestinale
Determina: malattia diarroica acuta con feci ad acqua di riso, algidismo, crampi muscolari, sete intensa. No febbre ne dolori addominali.
Epidemiologia
Si sono susseguite 6 pandemie fino al 1925, attualmente sono in corso la settima e l’ottava. Il 90% dei casi si rilevano nel continente africano. In Europa e USA solo casi sporadici, di importazione
Profilassi
- Evitare situazioni di rischio alimentare
- Indurre attivamente le difese immunitarie tramite vaccinazione. Contro il colera esistono un vaccino parenterale (inattivato, con efficacia protettiva modesta e di breve durata, non in grado di impedire lo stato di portatore) e due vaccini orali – CVD 103 HgR e WC/rBS - (miglioramento in termini di efficacia, durata tollerabilità).
CVD 103 HgR: vibrioni colerici viventi di tipo Inaba incapaci di secernere la subunità A. Non disponib in Italia
WC/rBS: induce la produz di ab contro il corpo batterico e la subunità B. Richiede 2 sommin a distanza di 1-6 setti con richiamo a 2 aa per adulti e bambini >6 aa e a 6 mesi tra 2 e 6 anni. Sciogliere in 150 ml di acqua e bicarbonato. Vantaggio: similitudine tra subunità B e ETEC quindi reazione crociata.

domenica 10 ottobre 2010


Malattia emorroidaria

Le emorroidi sono "cuscinetti" muco-vascolari, costituiti quindi da mucosa, sottomucosa e tessuto vascolare, che fanno parte, solitamente in numero di tre, della normale anatomia della parete del canale anale. È verosimile che la loro protrusione spugnosa nel lume viscerale contribuisca al mantenimento della continenza e alla protezione dell´apparato sfinteriale nel corso della defecazione. La componente vascolare presente in tali cuscinetti è priva di muscolatura propria, ed è quindi di natura sinusoidale e non venosa, come tradizionalmente ritenuto. A conferma di ciò, il sanguinamento che consegue alla lesione di tali sinusoidi, per la sua provenienza arteriolare (presinusoidale), è caratteristicamente rosso vivo.
Nel linguaggio corrente, anche medico, con il termine emorroidi ci si riferisce, invece, alla malattia emorroidaria, e cioè alla sindrome che consegue al deterioramento della normale situazione anatomica sopra descritta.
È questa la condizione patologica ano-rettale benigna più frequentemente diagnosticata, e anche autodiagnosticata dal paziente, che, nella grande maggioranza dei casi, rivolgendosi al proctologo ritiene che le emorroidi siano la causa dei propri sintomi, qualunque sia la natura dell´affezione che verrà poi effettivamente riscontrata. Si valuta che, nei paesi industrializzati, più del 60% della popolazione oltre i 40 anni abbia avuto o avrà, in qualche misura, sintomi riferibili alle emorroidi.
È tale la frequenza con cui questa situazione, da sempre, affligge il genere umano, senza differenze di sesso o classe sociale, che si è creduto di individuarne il motivo nella stessa acquisizione della stazione eretta. In realtà, nonostante si tratti di una patologia così comune, i fattori eziologici e meccanismi con cui si giunge a quel deterioramento anatomo-funzionale emorroidario che produce i sintomi della malattia non sono del tutto chiariti. Sono ritenute favorenti tutte le condizioni nelle quali si esercita un´eccessiva e abituale pressione sulle strutture pelviche, come la stipsi associata a sforzo defecatorio, la gravidanza e soprattutto il periodo del parto, la presenza di masse endopelviche. Data però la grande diffusione delle emorroidi, altri fattori dovrebbero essere in qualche modo responsabili; per lo stesso motivo è difficile attribuire un reale peso alla familiarità, che pure è dimostrabile in circa la metà dei pazienti.
La malattia emorroidaria ha una tendenza evolutiva, che segue il progressivo peggioramento della situazione anatomica delle due strutture coinvolte, e cioè il cuscinetto emorroidario interno (le emorroidi interne), situato nel canale anale, ed il plesso muco-vascolare esterno (le emorroidi esterne), presente alla giunzione muco-cutanea dell´ano. A carico del primo sembra esercitarsi, inizialmente, una pressione che porta alla sua congestione e un´ipertro fia del cuscinetto stesso; il progressivo aumento di questa sovrabbondanza tissutale, in cui in taluni casi pre vale l´eccedenza di mucosa e in altri di tessuto vascolare, porta progressivamente al crollo del cuscinetto, con conseguente prolasso e dislocamento in basso della mucosa retto-anale. Anche il plesso esterno può tumefarsi, per congestione propria, ma più probabilmente come conseguenza della discesa della mucosa del canale anale. In una situazione stabilmente deteriorata possono insorgere episodi acuti, scatenati da un ostacolo al ritorno venoso con conseguente edema ed eventualmente trombosi all´interno del plesso emorroidario
Come esito di questa situazione, particolarmente dolorosa per il paziente, residuano pliche muco-cutanee ridondanti e flaccide, chiamate marische.
Come si è detto, il tessuto emorroidario è solitamente classificato in interno ed esterno.
Le emorroidi interne, ricoperte da epitelio colonnare o transizionale, sono situate prossimamente alla linea dentata e subiscono un deterioramento progressivo, a cui corrispondono quattro successivi gradi evolutivi:
  • I grado: le emorroidi restano all´interno del canale anale;
  • II grado le emorroidi prolassano dall´ano a seguito dello sforzo defecatorio, ma al termine si riposizionano spontaneamente;
  • III grado: le emorroidi prolassano e devono essere riportate manualmente all´interno;
  • IV grado: le emorroidi sono stabilmente prolassate all´esterno e non possono essere ridotte nel canale anale.
Le emorroidi esterne, ricoperte dall´epitelio squamoso modificato dell´anoderma, sono situate nella parte più distale del canale anale, alla giunzione muco-cutanea. Per effetto di sforzi, fisici o defecatori, possono congestionarsi e dar luogo a tumefazioni edematose, nel cui contesto la componente vascolare può andare incontro a trombosi.
La storia della malattia emorroidaria solitamente ha un lungo decorso, inizialmente con lunghi intervalli asintomatici, che diventano via via sempre più brevi con il progredire della malattia stessa. I sintomi, che almeno in parte variano a seconda del grado di sviluppo delle emorroidi, possono non differire da quelli provocati da malattie retto-anali di maggiore gravità e devono pertanto essere obbligatoriamente valutati con un´attenta anamnesi e con l´esame obiettivo ed endoscopico. Il sintomo più frequente è la proctorragia, con emissione di sangue rosso vivo nella tazza del water, spesso in quantità abbondante, tipicamente al momento della defecazione, dopo il passaggio delle feci. L´emorragia si arresta spontaneamente e in breve tempo, ma è tuttavia un elemento che allarma solitamente il paziente e rappresenta quindi, fortunatamente, il motivo per ricorrere alla visita medica. Altri sintomi, anch´essi causati di per sé dalle emorroidi, sono: sensazione di fastidio o di peso anale, solitamente per la congestione del plesso esterno; perdita di muco e/o sierosità, per la discesa di mucosa retto-anale secernente, con conseguente macerazione della cute perianale ("ano umido"), prurito, lesioni da grattamento, che fa-voriscono sovrapposizioni fungine o parassitarie. Le emorroidi di per sé non provocano dolore, se non quando complicate da edema e trombosi. Queste ultime situazioni, infatti, si verificano a carico delle emorroidi esterne, coperte dall´anoderma, riccamente innervato da fibre somatiche sensibili agli stimoli dolorifici, tattili, tensivi e termici.
I pazienti affetti da malattia emorroidaria si lamentano con una certa frequenza di disturbi funzionali, quali sensazione di ostacolo, di incompleto svuotamento, di frequente necessità di evacuare quantità minime di feci o di falso stimolo. Si tratta di modificazioni dell´attività defecatoria che possono derivare sia dall´eccedenza di mucosa nel canale anale, che può causare sintomi di ostruita defecazione, sia dalla possibile coesistenza di altre situazioni patologiche, di per sé potenzialmente sintomatiche, come l´intussuscezione interna, il rettocele, la discesa del perineo.
Diagnosi: nasce da un accurato esame clinico. È inaccettabile che sia formulata una diagnosi di emorroidi e siano prescritte cure sulla sola scorta della storia riferita dal paziente, senza che questi sia stato visitato. È indispensabile verificare con un esame obiettivo ano-rettale completo (comprendente la proctoscopia) la presenza di un quadro emorroidario che giustifichi i sintomi. L´esame endoscopico, almeno del sigma e del retto, è obbligatorio per escludere una patologia infiammatoria o neoplastica, nel caso il paziente riferisca sanguinamento o presenti segni laboratoristici di anemia.
Terapia: la sola presenza di emorroidi, in assenza di sintomi, non rappresenta un´indicazione a particolari trattamenti, se non quello di aggiungere fibre alla dieta, per migliorare eventuali condizioni di stipsi o di sforzo defecatorio. Le emorroidi sintomatiche di I grado possono essere trattate conservativamente con semplice regime igienico-dietetico o, nel caso di frequente emorragia, con legatura elastica o altro metodo di fissazione (fotocoagulazione con raggi infrarossi, iniezioni sclerosanti). La legatura è una procedura molto utilizzata nel trattamento ambulatoriale delle emorroidi interne di I e II grado, talvolta di III grado iniziale, e consiste nel posizionamento di uno o più elastici di gomma alla base di uno o più gruppi emorroidari. La parte di mucosa strozzata dall´elastico va incontro a necrosi, cade e viene eliminata; in quella sede si crea una cicatrice che favorisce la solidarizzazione della mucosa alla parete del canale anale. Questa metodica, che può essere ripetuta più volte fino a eliminare i sintomi, è generalmente ben tollerata e gravata da complicanze non frequenti e solitamente facilmente controllabili. Una buona percentuale di pazienti trattati in questo modo non necessita in seguito di ulteriori trattamenti. Le emorroidi di III e IV grado si accompagnano a un quadro clinico che richiede solitamente una risoluzione chirurgica. Le procedure oggi disponibili sono l´emorroidectomia, che asporta i gruppi emorroidari e l´eccesso di mucosa prolassata, e l´emorroidopessi, che non reseca le emorroidi ma le riposiziona nel canale anale.

martedì 5 ottobre 2010


Ragade anale

La ragade anale è una soluzione di continuo nell´epitelio squamoso del canale anale, di forma tipicamente ovalare, ad asse maggiore cranio-caudale, situata poco al di sopra della giunzione muco-cutanea. In circa l´80% dei casi la sede della ragade è la linea mediana posteriore.

Meno frequentemente la sede è la linea mediana anteriore o entrambe queste sedi contemporaneamente; ancora più raramente, gli altri quadranti anali. La localizzazione della ragade si correla, in linea di massima, con la sua eziologia. La ragade tipica è, infatti, idiopatica, non associata quindi ad altra patologia colo-rettale o sistemica. Lesioni ragadiformi possono osservarsi, molto meno frequentemente, come epifenomeno di una malattia principale, come in corso di malattia di Crohn, colite ulcerosa, tubercolosi, sifilide, neoplasie, patologia HIV-correlata.
La ragade anale, nella la forma cosiddetta idiopatica, è un problema proctologico molto comune (15% delle visite per sintomi ano-rettali). È causa di una sensazione di fastidio doloroso scatenata dalla defecazione, durante la quale il paziente avverte la presenza di una ferita in prossimità dell´ano, che perdura per alcune ore. La sintomatologia ha tendenza alla periodicità, con episodi di particolare esacerbazione del dolore, correlato a uno stato di spasticità (di possibile natura ischemica) dello sfintere interno, che si trova a essere il pavimento della ragade. In questa circostanza il dolore diventa insostenibile e il paziente ne è drammaticamente condizionato nella sua vita quotidiana. Questa sintomatologia dolorosa è tipicamente l´espressione della riacutizzazione di una lesione ormai cronicizzatasi, con scarsa tendenza alla spontanea guarigione anatomica.
L´insorgenza di una ragade anale è spesso correlabile ad alterazioni occasionali nell´atto defecatorio, come episodi di particolare difficoltà ad evacuare feci di consistenza aumentata o, al contrario, di diarrea. La grande propensione a svilupparsi in sede mediana posteriore è attribuita a una debolezza strutturale, o ad alterazioni nell´innervazione e nella vascolarizzazione, o a una non uniforme distribuzione delle forze esercitate nella defecazione a carico di quella sede. Lo sfintere interno, che per la presenza della ragade risulta scoperto, privo della protezione dell´epitelio del canale anale, entra in un stato spastico (esacerbato da qualunque stimolo, come il passaggio delle feci o l´esplorazione digitale) che si traduce nell´ipertono doloroso caratteristico della sintomatologia e dell´esame clinico e manometrico. Lo stato di contrattura dello sfintere interno, sostenuto dal persistere dello stato irritativo, promuove la continua trazione sui margini della ferita, ostacolandone la guarigione. Per tale motivo, i provvedimenti terapeutici basati sulla risoluzione dell´ipertono sfinteriale risultano anche essere i più efficaci nel favorire la guarigione della ragade cronica.
Diagnosi: può essere posta con grande attendibilità già dopo una precisa raccolta dell´anamnesi. Il paziente tipico, spesso un giovane adulto, si rivolge al medico riferendo una situazione dolorosa anale, accompagnata dalla sensazione di avvertire come un taglio al passaggio delle feci, sempre correlata all´atto della defecazione, intensa particolarmente al termine della medesima, che si protrae per alcune ore. L´origine dell´episodio è spesso correlato ad alterazioni dell´alvo, feci particolarmente solide o, al contrario, diarrea.
Nel periodo doloroso postdefecatorio il paziente riferisce solitamente uno spasmo ovvero una sensazione di trafittura, come se fossero presenti tanti spilli, nella sede della ferita. È frequente il rilievo di una minima emissione di sangue, solitamente una stria rossa nel cilindro fecale o nella carta igienica. Questa storia, che solitamente il paziente autodiagnostica come correlata a emorroidi, è in genere sufficiente per fare una diagnosi corretta di ragade. In questo caso è opportuno affrontare l´esame proctologico con molta delicatezza, dapprima divaricando gentilmente in senso laterale la regione perineale per dispiegare la giunzione muco-cutanea e mettendo quindi in evidenza la ragade, subito all´interno dell´ano.
La ricerca della ragade è facilitata dall´eventuale presenza, in sede più esterna ad essa, di una plica muco-cutanea esuberante, detta appunto "emorroide sentinella". Confermata con l´ispezione la presenza della ragade, l´esplorazione digitale, ugualmente molto delicata, metterà in evidenza uno stato di ipertono, a volte così marcato da non consentirne l´esecuzione stessa.
Per lo stesso motivo, nella fase di acuzie, la proctoscopia può essere impraticabile, rendendo quindi necessario procedere all´esame in anestesia.
L´esame endoscopico permette di evidenziare la ragade e, frequentemente, una lesione fibropapillomatosa (papilla ipertrofica di natura infiammatoria), a monte della medesima, oltre che di escludere altra patologia.
Terapia: dipende dalla gravità della sintomatologia, dalle caratteristiche della ragade e dal risultato di eventuali precedenti cure. La maggior parte delle ragadi di recente insorgenza e caratterizzate da sintomi di media intensità risponde alla terapia conservativa. Questa consiste in misure di igiene locale, nella pratica di semicupi tiepidi e nell´assunzione di integratori alimentari con attività idratante fecale (fibre, crusca, psyllium) e, se la sintomatologia dolorosa lo consente, nell´impiego di dilatatori anali. Nel caso di insuccesso di tale regime, sono stati sperimentati provvedimenti potenzialmente in grado di ridurre temporaneamente il tono basale dello sfintere interno: pomate a base di nitroglicerina o di calcioantagonisti, associate o meno ad anestetici, e iniezioni intersfinteriche di tossina botulinica (BTX). I risultati sono solo parzialmente soddisfacenti (in alcuni studi non superiori al placebo): in generale, per l´alta percentuale di recidiva, in alcuni casi per l´insorgenza di effetti collaterali (cefalea dopo applicazione dei nitroderivati), in altri per l´elevato costo (BTX). Il trattamento più efficace nei casi di grave e incoercibile sintomatologia dolorosa, tipica delle lesioni croniche riacutizzate, è rappresentato dalla sfinterotomia interna.

giovedì 30 settembre 2010


Rettorragia (proctorragia)

L´emissione di sangue dall´ano è il sintomo riferito più frequentemente in coloproctologia, anche perché è presente quasi costantemente nella patologia emorroidaria, che è la malattia ano-rettale di più comune osservazione. Una rettorragia, però, può essere espressione di condizioni molto più gravi, soprattutto del carcinoma colo-rettale, e pertanto non deve essere mai sottovalutata.
Il medico a cui per primo il paziente si rivolge dovrà assolutamente evitare diagnosi presuntive, attribuendo la causa del sanguinamento a una ipotetica patologia emorroidaria, senza prima avere attentamente indagato sulle caratteristiche del sintomo, eseguito un esame obiettivo e programmato eventuali ulteriori indagini cliniche.
Le caratteristiche della proctorragia riguardano:
o il suo colore: quello tipico delle affezioni del canale anale e del retto è rosso vivo. Quanto più la fonte del sanguinamento è prossimale, tanto più il sangue può andare incontro a modificazioni e presentarsi quindi più scuro, a volte misto a coaguli, a volte con aspetto simile alla melena;
o il suo rapporto con la defecazione: un sanguinamento che si manifesta con un gocciolamento, a volte abbondante, nella tazza al termine della defecazione è tipico delle emorroidi. Quando il sangue si presenta con sottili striature sulle feci o nella carta igienica, la causa più frequente è una ragade anale. Il sangue commisto alle feci proviene solitamente da una lesione colica o rettale, tipicamente il polipo o il carcinoma. Scariche diarroiche commiste a sangue sono più frequentemente l´espressione delle malattie infiammatorie croniche, in particolare la colite ulcerosa. Un´abbondante enterorragia, anche con emissione di coaguli, spesso senza contemporanea emissione di feci, può essere causata da un´angiodisplasia o da una malattia diverticolare, specie se il soggetto è anziano.

sabato 25 settembre 2010


Colangite acuta

La colangite è un´infezione delle vie biliari che si sviluppa come complicanza di un´ostruzione biliare benigna o maligna. Storicamente la causa più comune di colangite è la coledocolitiasi. Le manipolazioni sulla via biliare, come le metodiche invasive, gli interventi chirurgici e il posizionamento di protesi, sono ritenute le cause più frequenti di colangite; altre cause includono le stenosi della via biliare, i tumori, le cisti del coledoco e la litiasi intraepatica.
La presentazione clinica può essere variabile in base all´eziologia, all´età e alle condizioni generali del paziente. La triade di Charcot (febbre, dolore in ipocondrio destro, ittero) rappresenta la manifestazione clinica caratteristica della colangite; essa è caratterizzata da un esordio brusco con brividi squassanti, un rapido picco febbrile a 39-40° C che dura alcune ore e una caduta della febbre per crisi con profusa sudorazione. La sindrome può ulteriormente aggravarsi quando le tossine batteriche determinano lesioni cerebrali e renali, con un quadro caratterizzato anche da ipotensione e da alterazione dello stato mentale, la cosiddetta pentade di Reynolds.
I batteri più comunemente identificati sono di origine intestinale, come E. coli, Streptococcus faecalis, Clostridia, Klebsiellae, Enterobacter, Pseudomonas e Proteus. Essi probabilmente raggiungono la via biliare attraverso una batteriemia portale. Non esiste nessuna correlazione tra la severità delle manifestazioni cliniche e la presenza o assenza di materiale purulento nella via biliare; la colangite suppurativa è comunque associata a un maggior rischio di mortalità.
Dal punto di vista diagnostico in corso di colangite si registrano un innalzamento della bilirubinemia (nei pazienti con ostruzioni di natura maligna l´innalzamento è significativamente maggiore di quelli con ostruzioni benigne), leucocitosi e elevazione della fosfatasi alcalina. L´ecografia è l´indagine strumentale di scelta per la diagnosi.
Terapia: i pazienti affetti da colangite rispondono al trattamento medico con antibiotici a largo spettro (penicilline e cefalosporine di seconda generazione), ma nei casi severi si rende obbligatoria la decompressione della via biliare principale mediante drenaggio endoscopico o chirurgico.

lunedì 20 settembre 2010


pseudocisti epatiche

Sono lesioni localizzate preferenzialmente in sede sottocapsulare, e costituiscono quasi sempre l´esito di pregressi traumi epatici occorsi molto tempo addietro. Si tratta di cavità sferoidali o lenticolari, di consistenza molle, a contenuto liquido o gelatinoso di colore variabile dal citrino al bruno. La parete è costituita solo da un sottile strato fibroso. Si ritiene che le pseudocisti derivino dall´evoluzione di ematomi, di aree di colliquazione tissutale o di stravasi biliari post-traumatici. L´ecografia mostra un´immagine transonica o marcatamente ipoecogena, a pareti lisce. All´esame TC le pseudocisti possono talvolta essere scambiate per lesioni metastatiche; a differenza di queste però, non mostrano aumento di densità dopo infusione endovenosa di mezzo di contrasto. Nei casi dubbi la diagnosi definitiva viene raggiunta tramite biopsia ecoguidata.
Terapia: la chirurgica risulta necessaria solo in presenza di gravi disturbi o sintomi da compressione. L´intervento solitamente eseguito, vista la localizzazione superficiale delle lesioni, è la marsupializzazione.

mercoledì 15 settembre 2010


Cisti epatica da echinococco (idatidea)

Il 50-70% delle cisti da echinococco nell´uomo si localizza a livello epatico.
A causa del ciclo di vita del parassita la malattia è più comune in nazioni i cui abitanti sono dediti alla pastorizia: Australia, Argentina, Iran e Grecia, Italia, Francia e Spagna tra le nazioni europee. In Italia la malattia è endemica in Sardegna, Sicilia, Campania e Puglia.
Il parassita esiste in due forme distinte a seconda dell´ospite in cui si annida. L´ospite primario appartiene generalmente alla razza canina (cani, lupi, volpi). Nel cane il parassita ha la forma di un cestode di 4-6 mm di lunghezza, con 4-5 segmenti al di sotto della testa. La testa si annida nella parete dell´intestino mentre la coda gravida sporge nel lume intestinale. Quando gli embrioni vengono eliminati con le feci, essi possono contaminare l´erba e la terra infettando i ruminanti (pecore, mucche) qualora vengano ingeriti durante il pascolo; questi animali costituiscono i cosiddetti ospiti intermedi. Un cane che si cibi di visceri di animali infetti ristabilisce il ciclo di vita dell´echinococco.
L´uomo costituisce un ospite intermedio occasionale qualora contragga la malattia tramite il contatto con cani infetti o feci di animali infetti. Le mani sporche portate alla bocca consentiranno al parassita di penetrare nell´intestino dell´uomo. I succhi gastrici e pancreatici sciolgono la membrana esterna dell´embrione che diviene attivo e penetra la parete dello stomaco e dell´intestino. Il parassita raggiunge quindi il circolo portale ed il distretto capillare epatico, dove dà luogo ad una reazione infiammatoria con richiamo di cellule mononucleate ed eosinofili. La maggior parte dei parassiti viene distrutta, ma gli elementi che sopravvivono danno luogo immancabilmente alla formazione delle cisti.
La cisti idatidea è circoscritta da una parete costituita da tre strati concentrici.

• Lo strato periferico, detto pericistio, è una membrana fibrosa costituita dalla proliferazione di fibroblasti del fegato e contenente cellule giganti, macrofagi ed eosinofili. Esso rappresenta la risposta infiammatoria del fegato alla presenza del parassita.
• Lo strato intermedio, o membrana chitinosa, è costituito dalla deposizione di materiale amorfo prodotto dal parassita e disposto in una struttura lamellare concentrica, facilmente disseccabile.
• Lo strato interno, o germinativo, è rappresentato da un unico strato di cellule parassitarie, costituenti la cosiddetta membrana proligera. Dalla proliferazione di questi elementi nucleati si originano proiezioni digitiformi, che vanno incontro a successiva cavitazione. All´interno delle vescicole proligere che così si costituiscono avviene lo sviluppo degli scolici del parassita.

Le vescicole proligere si rompono nel lume della cisti, riversando in essa gli scolici maturi, i quali, insieme ai residui delle cisti proligere, vanno a costituire sul fondo della cisti un precipitato di aspetto sabbioso (sabbia idatidea). Il distacco dalla membrana proligera di frammenti dell´epitelio germinativo, che vanno poi incontro a proliferazione, comporta la formazione di cisti figlie endogene, fluttuanti nel lume della cisti principale.
L´aumento di volume dell´idatide può comportare lo stiramento e l´assottigliamento del pericistio, così da rendere possibile la protrusione della membrana chitinosa e dell´epitelio germinale, e la formazione di cisti figlie esogene.
Il liquido idatideo contenuto nella cisti è limpido ed incolore. In caso di morte del parassita esso diviene però denso e poltaceo.
Nel caso di infezione da echinococco granuloso i meccanismi di difesa dell´organismo appaiono in grado di contrastare piuttosto efficacemente la crescita del parassita, e lo sviluppo delle cisti è lento. In alcuni casi lo sviluppo si arresta in seguito alla morte del parassita ed alla successiva calcificazione della parete della cisti; ciò si verifica frequentemente in conseguenza di necrosi asettica o di superinfezione batterica della cisti, cui segue il distacco degli strati più interni dal pericistio, la scomparsa dell´epitelio germinativo e la deposizione di sali di calcio nella membrana chitinosa. Le cisti da echinococco granuloso hanno uno sviluppo graduale e progressivo, e possono raggiungere dimensioni cospicue (25 cm).
All´infezione da echinococco multiloculare, più diffusa nelle regioni centroeuropee, consegue la formazione di cisti multiple tendenti ad invadere il parenchima epatico e ad erodere l´albero biliare ed i vasi sanguigni, tramite i quali può diffondere anche a distanza.
Il coinvolgimento dei dotti biliari può comportare la frequente insorgenza di ittero. Le cisti, dal contenuto gelatinoso, sono di diametro modesto e la reazione fibroblastica circostante è estremamente povera. La progressione della malattia è nettamente più rapida di quella dell´echinococco granuloso.
Diagnosi clinica e strumentale: il 25% dei pazienti è asintomatico. Talvolta l´idatide è palpabile direttamente in ipocondrio destro. Più spesso però la cisti si sviluppa spingendo verso il basso il fegato, il cui margine deborda dall´arcata costale.
I pazienti riferiscono dolore persistente e sensazione di peso in ipocondrio destro o alla porzione inferiore dell´emitorace destro. In una piccola percentuale di pazienti la malattia esordisce con sintomatologia allergica: prurito generalizzato, rush orticarioide, episodi di asma bronchiale, shock anafilattico conseguente alla rottura accidentale della cisti. L´ittero è raro in assenza di complicanze. Il sospetto di idatidosi può essere formulato in base all´anamnesi ed alla provenienza geografica del paziente, e nel caso di riscontro di due o più cisti epatiche.
L´intradermoreazione di Casoni è attualmente considerata un esame superato, ed il riscontro di eosinofilia si ha solo nel 40% dei soggetti; la diagnosi strumentale viene quindi suffragata con l´esecuzione di test sierologici specifici (ELISA, RAST), che possono però risultare negativi se il parassita è morto. Una radiografia diretta dell´addome può evidenziare la presenza di calcificazioni a contorni circolari che si proiettano a livello dell´aia epatica nel caso di cisti di vecchia data a parete calcifica.
L´aspetto all´ecografia ed alla TC delle cisti da echinococco è variabile (Fig. 11.23): le cisti di recente formazione possono risultare del tutto simili alle cisti epatiche semplici, mentre quelle di più vecchia origine presentano modificazioni nello spessore della parete, che può assumere un aspetto pluristratificato o divenire calcifica, e mostrano frequentemente la presenza di cisti figlie endogene o esogene e di sabbia idatidea.
All´esame TC le cisti idatidee non captano il contrasto iodato e mostrano quindi densità invariata nelle scansioni eseguite prima e dopo l´iniezione del contrasto.
Nel sospetto di malattia attribuibile all´echinococco multiloculare va eseguita anche un´angiografia, al fine di evidenziare eventuali coinvolgimenti della rete vasale epatica.
Complicanze: la presenza di cisti idatidee epatiche può esporre il paziente al rischio di diverse complicanze.
In seguito a traumi toraco-addominali, le cisti, soprattutto quelle adiacenti alla superficie del fegato, possono rompersi direttamente nella cavità peritoneale, causando gravi reazioni anafilattiche e la disseminazione della malattia all´intera cavità sierosa.
Analoghi effetti possono conseguire allo spandimento di liquido idatideo in corso di laparotomia o di puntura esplorativa della cisti.
Alcune cisti localizzate nei segmenti epatici adesi al diaframma possono erodere la struttura muscolare e la pleura, obliterata in seguito alla reazione infiammatoria, e rompersi all´interno di un bronco; a ciò fa seguito costantemente la formazione di una fistola broncobiliare. Più frequente però è la rottura della cisti nell´albero biliare, segnalata dalla comparsa di colica biliare ed ittero colestatico e frequentemente seguita dallo sviluppo di colangite. In seguito si verifica spesso la colonizzazione batterica della cisti, con formazione di un ascesso epatico.
La rottura della cisti e la colonizzazione batterica si accompagnano in genere alla morte del parassita. Nei pazienti affetti da idatidosi può svilupparsi glomerulonefrite, conseguente alla deposizione di antigeni idatidei a livello renale.
Terapia: il trattamento delle cisti epatiche da echinococco varia a seconda dei casi. Cisti piccole e profondamente indovate nel parenchima del fegato richiedono in genere un atteggiamento conservativo. Anche le cisti calcificate non richiedono l´intervento chirurgico se non sintomatiche, perché considerate non attive. Il trattamento medico con farmaci benzimidazolici (mebendazolo, albendazolo, flubendazolo) ad alte dosi si è dimostrato discretamente efficace nell´indurre un miglioramento clinico, contenendo lo sviluppo numerico e dimensionale delle cisti. L´intervento chirurgico appare necessario per le cisti in posizione sottocapsulare o molto voluminose, esposte ad un maggior rischio di complicanze, ed in pazienti giovani in buone condizioni generali.

venerdì 10 settembre 2010


Malattia policistica del fegato

È una malattia a carattere ereditario trasmessa con modalità mendeliana. La presenza di fegato policistico si riscontra sempre in associazione con una o più delle seguenti lesioni epatiche: microamartomi (complessi di von Meyenberg), fibrosi epatica congenita, malattia di Caroli, coledococele. Nel 50% dei casi si associa a policistosi renale, e spesso alla presenza di lesioni cistiche anche in altri organi: pancreas, polmone, milza, ovaio.
Le cisti hanno dimensioni variabili da pochi millimetri a qualche centimetro, e possono coinvolgere diffusamente il parenchima epatico, oppure limitarsi a settori di esso. Sono limitate da una sottile parete epiteliale e circondate da una capsula fibrosa. Le cisti di diametro maggiore di 10 cm risultano in genere dalla confluenza di cisti più piccole, dopo la rottura dei setti di divisione. Il contenuto delle cisti è rappresentato da un liquido di colore variabile dal chiaro al bruno, con composizione elettrolitica simile a quella della bile.
Diagnosi clinica e strumentale: in molti pazienti il decorso è asintomatico. Nelle forme autosomiche recessive la malattia può essere evidente già alla nascita o manifestarsi nella prima infanzia; in questi casi la prognosi è legata alla gravità della fibrosi epatica e dell´interessamento renale, che risultano costantemente presenti.
Nelle forme ad eredità autosomica dominante, la sintomatologia insorge di solito nella IV o V decade di vita, ed è rappresentata da dolore e senso di peso in ipocondrio destro, talvolta associati a dispepsia. Raramente la compressione delle vie biliari può determinare la comparsa di ittero. I segni di insufficienza epatica e di ipertensione portale sono di solito assenti. All´esame obiettivo il fegato può apparire di volume normale o aumentato, con superficie irregolare. La diagnosi può essere sospettata in base alla familiarità ed al riscontro di un fegato aumentato di volume o dal margine irregolare in un paziente con funzionalità epatica normale. La conferma si ottiene con un´indagine ecografica che ben evidenzia la presenza di formazioni dotate di sottile capsula, a contenuto liquido, presenti nei due lobi epatici, nei reni e talvolta in altri organi. La prognosi è generalmente buona e dipende sostanzialmente dalla gravità delle lesioni renali associate.
Terapia: In presenza di sintomi, l´aspirazione ecoguidata del contenuto delle cisti di maggiori dimensioni può dare sollievo al paziente; raramente però le cisti raggiungono dimensioni tali da giustificarne il drenaggio. Inoltre l´evacuazione può essere resa difficile dal fatto che ciò che all´esame ecografico appare come un´ampia lesione cistica, può in realtà essere un ammasso di cisti piccole e separate da sepimenti sottili. L´intervento chirurgico va riservato alle cisti di diametro maggiore di 10 cm, sintomatiche e facilmente accessibili per il chirurgo.

domenica 5 settembre 2010


Cisti epatiche sierose

Si riscontrano in circa l´1% della popolazione. Si tratta di lesioni solitarie, asintomatiche, uniloculari, di diametro variabile da pochi millimetri a parecchi centimetri, delimitate da un epitelio cuboidale monostratificato e circondate da una scarsa reazione connettivale. Macroscopicamente appaiono di colore dal bianco al bluastro e di consistenza molle. La loro localizzazione all´interno del parenchima epatico non è caratteristica. Il contenuto delle cisti è rappresentato da liquido di colore variabile dal citrino al marrone scuro, acellulare, dalle caratteristiche compositive simili a quelle della linfa o della bile.
Le cisti sono solitamente di diametro modesto; in alcuni casi però possono raggiungere dimensioni tali da divenire palpabili e causare la comparsa di sensazione di peso e dolore in ipocondrio destro. Voluminose cisti possono causare compressione delle vie biliari con comparsa di ittero colestatico. Raramente si può presentare una rottura intraperitoneale della cisti o un´emorragia intracistica.
Il follow-up ecografico di queste lesioni ha dimostrato che raramente tendono ad aumentare di volume, ma il motivo per cui alcune lesioni cistiche assumono dimensioni cospicue non è noto; è quindi difficile poter stabilire con certezza l´evoluzione di queste neoformazioni.
Diagnosi clinica e strumentale: la funzionalità epatica non appare alterata, anche nei pazienti portatori di cisti di grosse dimensioni. L´individuazione delle cisti epatiche spesso è occasionale nel corso di un esame ecografico o TC dell´addome, richiesto per altri motivi.
All´ecografia appaiono come strutture anecogene, dai contorni regolari e ben definiti, con un incremento posteriore degli echi dovuto alla più facile penetrazione del fascio di ultrasuoni attraverso il contenuto liquido. La forma è solitamente sferoidale; la presenza di irregolarità dei profili è quasi sempre attribuibile alla presenza di cisti più piccole nelle immediate adiacenze di quella maggiore.
All´esame TC le cisti appaiono come lesioni dai contorni regolari e francamente ipodense, che restano immodificate dopo la somministrazione del contrasto endovenoso.
La diagnosi differenziale include le cisti idatidee, la malattia policistica epatorenale, il cistoadenoma ed il cistoadenocarcinoma, le pseudocisti epatiche, e le lesioni maligne primitive o secondarie del fegato contenenti aree di colliquazione necrotica. Il melanoma, i tumori carcinoidi ed i tumori dell´ovaio possono talvolta dare origine a metastasi epatiche di natura cistica; esse però sono sempre associate alla presenza di metastasi solide. Allo stato attuale delle conoscenze non sembra necessario procedere all´agoaspirazione ed alla biopsia di tutte le cisti epatiche.
L´esame ecografico e l´esame TC sono in genere sufficienti per definire i caratteri di benignità di una lesione cistica.
Terapia: l´evacuazione del contenuto liquido della cisti, condotta mediante l´introduzione di un ago sotto guida ecografica, non appare terapeutica, poiché quasi sempre si ha riformazione del liquido. L´aspirazione del liquido cistico andrebbe quindi riservata al caso di pazienti sintomatici con rischio operatorio troppo elevato. Le cisti di piccole dimensioni richiedono solo di essere controllate nel tempo con l´esecuzione di ecografie periodiche. Le formazioni di grosse dimensioni o francamente sintomatiche vengono trattate chirurgicamente mediante marsupializzazione. Solo in casi selezionati si rende necessaria la resezione epatica

lunedì 30 agosto 2010


Ascesso epatico amebico

L´Entamoeba histolytica può essere isolata con discreta frequenza dall´intestino di pazienti provenienti dalle aree geografiche più disparate, ma particolarmente dalle regioni tropicali e subtropicali.
La massima incidenza è registrata infatti nelle aree economicamente depresse abitate in prevalenza da immigrati provenienti da regioni ad endemia amebica. In ogni caso l´incidenza e la gravità dell´infezione, che si trasmette per via orofecale, sono correlate in maniera diretta con la precarietà delle condizioni igieniche ed il superaffollamento urbano. Le epidemie di dissenteria amebica conseguono solitamente a contaminazione fecale dell´acqua potabile.
Eziopatogenesi: l´insorgenza dell´ascesso amebico è più frequente nella terza-quinta decade di vita. Per ragioni non ancora conosciute la patologia è più frequente nel sesso maschile, con un rapporto maschi: femmine di 10:1. L´infezione amebica avviene tramite l´ingestione di cisti amebiche. I trofozoiti, che rappresentano la forma attiva del parassita e che sono i responsabili delle lesioni tissutali, vengono liberati dalle cisti in corrispondenza del tenue distale e del grosso intestino, dove sopravvivono nutrendosi di batteri commensali e di metaboliti presenti nel contenuto intestinale.
I trofozoiti raggiungono il fegato attraverso il sangue portale, e solitamente vanno incontro a distruzione, non appena raggiunta la rete capillare epatica. L´occlusione trombotica indotta dalla presenza dei parassiti a livello delle più fini diramazioni portali porta a necrosi della parete vascolare e disseminazione intraepatica dei trofozoiti.
Gli enzimi litici e la probabile attività citolitica del parassita causano la colliquazione di piccole aree epatiche, dalla confluenza delle quali origina l´ascesso epatico vero e proprio.
Diagnosi clinica e strumentale: l´esordio clinico dell´ascesso amebico può essere drammatico oppure insidioso, con considerevoli differenze nella intensità e nella durata della sintomatologia.
I sintomi possono insorgere acutamente ed essere presenti da pochi giorni al momento della diagnosi, oppure persistere in maniera sfumata da qualche mese. Formulare il sospetto diagnostico può essere difficile: la ricerca di cisti amebiche e trofozoiti nelle feci può risultare positiva solo nel 15% dei soggetti con localizzazioni epatiche del parassita, rendendo difficile la diagnosi.
Il dolore in ipocondrio o epigastrio, la perdita di peso, la febbre e la compromissione delle condizioni generali sono le manifestazioni cliniche più frequenti. Il dolore, che può essere molto intenso ed è in genere esacerbato dalla palpazione dell´addome, è l´elemento più comune, ed è presente in oltre il 90% dei pazienti; è di tipo continuo, solitamente avvertito in ipocondrio destro, in caso di localizzazione al lobo di destra, o in epigastrio, se l´ascesso si localizza al lobo di sinistra.
Negli ascessi del lobo destro localizzati in prossimità della cupola epatica è frequente l´irradiazione all´arcata costale, alla spalla di destra ed alla regione laterale destra del collo.
La sintomatologia gastrointestinale, dominata da nausea e vomito, è presente nel 15% circa dei casi.
All´esame obiettivo dell´addome il fegato risulta incrementato di volume in oltre la metà dei casi. Talvolta alla palpazione si possono apprezzare in ipocondrio o in epigastrio masse solidali con il fegato.
La sopraelevazione e la ridotta mobilità dell´emidiaframma possono comportare una mancata espansione dei lobi polmonari inferiori, con evidenza all´esame obiettivo di ridotta escursione delle basi polmonari e di riduzione dei rumori respiratori fisiologici. L´ittero, poco frequente, compare praticamente solo in caso di compressione delle vie biliari da parte di una grossa massa ascessuale localizzata sulla superficie inferiore del fegato in corrispondenza dell´ilo epatico.
Una spiccata leucocitosi è presente nel 75% dei casi. Anemia ed ipoalbuminemia compaiono nel 50%. Iperbilirubinemia compare nel 10% dei pazienti con ascesso amebico, ma gli indici di funzionalità epatica appaiono alterati, seppure di poco, almeno nel 25% dei casi. Raramente si assiste ad un aumento significativo delle transaminasi.
I test sierologici per la ricerca di anticorpi contro l´Entamoeba histolytica, eseguiti con la metodica di emoagglutinazione indiretta, fissazione del complemento o gel-diffusione, risultano tutti marcatamente positivi (positività > 98%) in pazienti con ascesso amebico; qualora risultassero negativi, devono far escludere l´origine amebica dell´interessamento epatico. I test di intradermoreazione agli antigeni amebici non si sono rivelati validi dal punto di vista diagnostico.
Gli studi parassitologici finalizzati ad individuare l´Entamoeba histolytica nel pus ascessuale hanno scarso significato, in quanto i trofozoiti non risultano facilmente identificabili nel materiale aspirato dagli ascessi. Tuttavia l´aspirazione di materiale necrotico color cioccolato e privo di batteri, anche nel caso risulti impossibile identificare il parassita nel suo contesto, viene ritenuto sufficiente per la diagnosi di ascesso amebico.
L´esame ecografico e l´esame TC del fegato permettono in genere di rilevare accuratamente la presenza dell´ascesso che però spesso presenta caratteristiche indistinguibili da quelle di un ascesso da piogeni o di una metastasi colliquata; la positività di test sierologici e la rapida risposta alla terapia medica con metronidazolo confermeranno il sospetto diagnostico.
La scintigrafia con tecnezio o con gallio, pur consentendo di rilevare la presenza di lesioni intraparenchimali ipocaptanti, non è specifica per l´ascesso amebico.
In caso di sospetto diagnostico la ricerca del parassita nelle feci andrebbe eseguita più volte, dato l´elevato numero di falsi negativi, possibilmente dopo somministrazione di catartici salini.
Le complicanze dell´ascesso amebico sono frequentemente letali. Se non trattato l´ascesso continua ad estendersi concentricamente, in virtù della scarsa reazione circostante, fino a raggiungere la superficie del fegato ed a rompersi nella cavità peritoneale, oppure estendersi per contiguità agli organi vicini. Le complicanze più frequenti sono quelle pleuropolmonari, e conseguono alla rottura transdiaframmatica dell´ascesso all´interno del cavo pleurico o addirittura dell´albero bronchiale. La rottura dell´ascesso amebico nel peritoneo, che avviene più frequentemente nel caso di ascessi del lobo sinistro date le ridotte dimensioni di esso, si instaura di solito acutamente, con comparsa di addome acuto e shock.
Gli ascessi amebici cerebrali, singoli o multipli, insorgono in seguito alla diffusione ematogena del parassita a partire da un ascesso epatico. Si tratta di una complicanza gravata da altissima mortalità e priva di segni e sintomi distintivi. I segni di ipertensione endocranica o di lesioni neurologiche focali in un paziente con sospetta amebiasi devono far temere subito lo sviluppo di tale drammatica complicanza.
Terapia: Il trattamento dell´ascesso amebico verte sostanzialmente su tre principi:
• utilizzo di farmaci amebicidi in ogni caso di sospetto ascesso amebico prima di ricorrere a qualsiasi manovra invasiva;
• in caso si renda necessaria l´evacuazione dell´ascesso, il drenaggio "chiuso", tramite l´aspirazione del contenuto, rappresenta la procedura di elezione;
• il drenaggio "aperto" va riservato ai casi di superinfezione batterica dell´ascesso.

mercoledì 25 agosto 2010


Ascessi epatici da piogeni

Gli ascessi epatici insorgono generalmente in pazienti di età superiore ai 40 anni e con malattie che compromettono gravemente le condizioni generali. Si tratta di una patologia grave, con mortalità pari al 40%. Le raccolte ascessuali possono essere singole o multiple, e di diametro variabile da pochi millimetri a parecchi centimetri.
A livello epatico l´ascesso non insorge sempre come lesione primitiva, ma può essere la conseguenza di un´infezione di una cisti da echinococco, di ematomi intraepatici o di aree necrotiche all´interno di lesioni neoplastiche. Talvolta non è possibile identificare alcun fatto settico precedente l´insorgenza dell´ascesso, né riconoscere la modalità di contaminazione del fegato da parte dei piogeni; in questi casi l´ascesso epatico viene definito criptogenetico
L´insorgenza di ascessi epatici può correlarsi anche con un deficit del sistema immunitario, come dimostrato dalla maggior incidenza nei soggetti affetti da granulomatosi cronica, leucemia, diabete mellito, AIDS.
In passato la maggior parte degli ascessi epatici conseguiva all´embolizzazione epatica di piogeni provenienti con il sangue portale da focolai settici addominali. Attualmente il più comune meccanismo di infezione epatica da piogeni è rappresentato dalla colangite suppurativa associata all´ostruzione delle vie biliari indotta da neoplasie benigne o maligne.
I microrganismi più frequentemente isolati in caso di ascesso epatico sono: l´Escherichia coli (30%), gli streptococchi Gram+ (20%), lo Staphylococcus aureus (20%); infezioni polimicrobiche con presenza di anaerobi (Bacteroides) nei restanti casi.
La distribuzione maschi/femmine è all´incirca uguale. L´età di massima incidenza è attualmente rappresentata dalla VI-VII decade di vita.
I germi piogeni possono raggiungere il fegato con diversi meccanismi:
• per diffusione diretta da focolai settici contigui, come le linfoadeniti suppurative dell´ilo epatico, l´empiema pleurico destro, l´ascesso perirenale destro, ecc.;
• per via ascendente lungo le vie biliari, in corso di colangite suppurativa;
• per diffusione ematogena attraverso l´arteria epatica, in corso di endocardite batterica, ascessi polmonari, batteriemie e setticemie conseguenti alla presenza di altri focolai suppurativi;
• per diffusione con il sangue portale, in pazienti con appendicite acuta flemmonosa, colecistite acuta suppurativa, enterite regionale, peritoniti da perforazione gastrica o colica, diverticoliti acute;
• da contaminazione esterna per ferite penetranti del fegato o in conseguenza di traumi;
• per infezione del cordone ombelicale nel neonato.
L´ascesso da piogeni quando è unico si localizza preferenzialmente nel lobo epatico destro a livello del segmento postero-superiore (VII) in stretta vicinanza del diaframma. Il lobo sinistro è sede di ascessi solo nel 5% dei casi. Ascessi multipli sono presenti nel 40% dei casi.
Diagnosi clinica e strumentale: la sintomatologia caratteristica comprende febbre di tipo settico (remittente o continua), episodi di brivido scuotente, anoressia, dolore in ipocondrio destro irradiato alla spalla destra; vi è, spesso, grave compromissione delle condizioni generali. All´esame obiettivo è frequente a questo stadio il riscontro di aggravamento del dolore alla palpazione in ipocondrio destro con presenza di reazione di difesa della parete addominale, di epatomegalia e, talora, splenomegalia. La comparsa di un versamento pleurico e di segni clinici di colestasi e di insufficienza epatica possono precedere l´insorgenza della sintomatologia dolorosa.
Talvolta però la sintomatologia può risultare estremamente sfumata; in questi casi l´accurata raccolta dell´anamnesi può fornire utili indizi: una storia di recenti infezioni endoaddominali, di colangite, di traumi addominali, di malattie croniche debilitanti o neoplastiche può costituire un indice di sospetto.
L´ascesso epatico può essere all´origine di una febbre di origine sconosciuta.
Le indagini di laboratorio dimostrano la presenza di leucocitosi in 1/3 dei casi; l´assenza di leucocitosi, peraltro, non deve escludere la diagnosi di ascesso epatico. L´innalzamento dei valori delle transaminasi, delle gamma-GT e della fosfatasi alcalina, una ipoalbuminemia ed iperbilirubinemia sono talvolta presenti, soprattutto se la causa è data da un´ostruzione delle vie biliari.
Le emocolture eseguite per la ricerca di aerobi ed anaerobi possono fornire utili suggerimenti sia diagnostici sia terapeutici. Infatti, la natura del microrganismo responsabile e la sua sensibilità agli antibiotici sono informazioni indispensabili per l´impostazione di una corretta antibioticoterapia. Le emocolture devono essere eseguite in corrispondenza degli episodi batteriemici (brivido).
L´esame radiologico del torace può evidenziare atelettasia basale destra, sopraelevazione e ridotta mobilità dell´emidiaframma di destra, e l´eventuale presenza di versamento pleurico.
L´esame radiologico diretto dell´addome superiore può evidenziare una epatomegalia e, talvolta, la presenza di un´immagine di livello idroaereo nel contesto del parenchima epatico.
All´ecografia gli ascessi epatici appaiono come lesioni ipoecogene, di aspetto disomogeneo, dai margini irregolari e mal definiti, contenenti spesso numerose sepimentazioni. Talvolta può essere riscontrata la presenza di contenuto gassoso.
L´esame TC è utile per precisare la localizzazione e le dimensioni dell´ascesso e valutare la presenza di altre lesioni eventualmente associate.
La cavità ascessuale può essere facilmente evidenziata con la scintigrafia epatica eseguita con isotopi del gallio o del tecnezio. Anche l´impiego di leucociti autologhi marcati con indio, in grado di concentrarsi a livello dell´ascesso, non appare una metodica altamente sensibile, dato che il normale accumulo di tali cellule nel fegato può interferire con la visualizzazione delle aree ascessuali.
Le complicanze di un ascesso epatico sono legate alla possibilità di contrarre estese aderenze con organi contigui: gli ascessi localizzati sulla superficie superiore del fegato possono dare luogo ad estesi processi infiltrativi nel diaframma e nella pleura; gli ascessi della faccia inferiore del fegato possono aderire al colon ascendente o al rene destro; gli ascessi siti in profondità del parenchima possono provocare compressioni delle vie biliari. La fistolizzazione è evento peraltro raro. La complicanza più temibile è comunque lo scompenso emodinamico con evoluzione in shock settico.
Terapia: è rappresentata dal drenaggio chirurgico della raccolta colliquata e dall´antibioticoterapia eseguita sulla guida dell´antibiogramma. Nell´attesa dell´antibiogramma va istituita una terapia antibiotica ad ampio spettro contro aerobi ed anaerobi.

venerdì 20 agosto 2010


Appendicite cronica

L´appendicite cronica è una diagnosi essenzialmente anatomo-patologica ed è caratterizzata da lesioni sclero-atrofiche a distribuzione non uniforme, a differenza dell´involuzione senile dell´appendice, che presenta una fibrosi diffusa in modo omogeneo. All´origine di questo stato flogistico cronico vi sono verosimilmente episodi di appendicite acuta, regrediti spontaneamente o dopo terapia medica; il ripetersi di questi eventi infiammatori comporta la formazione di aree di retrazione cicatriziale, atrofia del viscere e aderenze con i visceri contigui, la parete addominale e l´omento. Tali modificazioni possono causare l´ostruzione del lume appendicolare ed il ristagno di materiale fecale, fattori favorenti l´infiammazione cronica e le riacutizzazioni.
In caso di occlusione completa del lume alla base dell´appendice, può formarsi il cosiddetto mucocele appendicolare, una dilatazione più o meno uniforme del verme appendicolare per l´accumulo di secrezione mucinosa.
La sintomatologia dell´appendicite cronica è caratterizzata da dolore postprandiale, in genere modesto, localizzato in fossa iliaca destra ed esacerbato dalla palpazione, con nausea, perdita dell´appetito, cefalea.
L´indicazione all´intervento chirurgico è molto discutibile e spesso è l´esito di pressioni da parte del paziente, nel tentativo di risolvere una fastidiosa storia di dolore addominale cronico. Proprio in questi casi è di grande aiuto la tecnica video-laparoscopica, in quanto la procedura chirurgica deve prevedere un´accurata esplorazione del cavo addominale alla ricerca di eventuali altre patologie.

domenica 15 agosto 2010


Appendicite acuta

Epidemiologia: l´appendicite acuta si manifesta a tutte le età con prevalenza nell´infanzia e nell´adolescenza, colpisce di più il sesso maschile ed ha un´incidenza annua dello 0,2%. Si calcola che, nel corso della vita, circa il 14% della popolazione si ammali di appendicite acuta.
Eziopatogenesi e storia naturale: è un´infezione di cui è responsabile una flora batterica polimorfa: un´appendice infiammata presenta sempre un incremento significativo degli anaerobi, che passano dal 25 al 60% dei batteri endoluminali. I germi più frequentemente isolati sono l´Escherichia coli, tra gli aerobi, ed i Bacteroides, tra gli anaerobi.
I germi raggiungono l´appendice solitamente per via enterogena e solo raramente per via ematogena, a partenza da un focolaio suppurativo a distanza (tonsillare, cutaneo), determinando l´infezione in presenza di fattori favorenti, quali l´ostruzione del lume dell´appendice.
L´ostruzione dell´orifizio appendicolare può essere dimostrata nella metà dei casi ed è usualmente dovuta a coproliti. In assenza di questi, frequentemente si riscontra un´iperplasia del tessuto linfoide mucoso e sottomucoso o un´angolatura del verme appendicolare. In una piccola percentuale di casi l´occlusione è causata da corpi estranei (noccioli ingeriti), da elminti, da neoplasie, da stenosi congenite.
L´ostruzione trasforma l´appendice in un diverticolo chiuso ed ostacola i fisiologici meccanismi di difesa: la peristalsi appendicolare, che svuota nel cieco le secrezioni e le cellule sfaldate, il rapido turnover epiteliale, la distruzione e la rimozione dei germi da parte dei follicoli linfatici. All´interno del lume si accumulano le secrezioni mucose ed il trasudato infiammatorio con conseguente aumento della pressione; si compromettono così progressivamente il drenaggio linfatico e la vascolarizzazione, fino all´ischemia della parete appendicolare. Compaiono edema ed erosioni a carico della mucosa; attraverso questa si diffondono i germi contenuti nel lume, che in questa fase si moltiplicano e si virulentano.
Nelle fasi successive l´edema si estende a tutta la parete dell´appendice con il peggioramento della stasi vascolare e la conseguente necrosi dei tessuti; il processo infettivo si può quindi propagare al cavo peritoneale. La perforazione del viscere, in sede di tessuto necrotico, è la complicanza più frequente dell´appendicite acuta e comporta la fuoriuscita del materiale purulento contenuto nel lume, solitamente non accompagnato da liquido enterico per l´ostruzione della base appendicolare.
La comparsa di un quadro di peritonite circoscritta o diffusa dipende dal tempo di propagazione transparietale del processo infettivo, che, quando avviene lentamente, permette la formazione di aderenze con la parete addominale, i visceri circostanti e l´omento, che circoscrivono la peritonite. L´ascesso appendicolare può poi evolvere a peritonite diffusa o può fistolizzarsi alla cute o ai visceri vicini.
Le complicanze più rare da appendicite acuta (l´occlusione intestinale, la sespi, l´ascesso epatico, la pileflebite) sono molto gravi, soprattutto perché colpiscono preferenzialmente bambini e anziani, pazienti più fragili e spesso non in grado di fornire adeguati dettagli anamnestici.
L´appendicite acuta è, con la colecistite e la diverticolite , la prima causa di ascesso epatico da piogeni e di trombosi settica della vena porta (pileflebite).
Quadro clinico
: l´appendicite acuta è caratterizzata da un quadro clinico variabile, in relazione ai diversi aspetti anatomo-patologici e con la posizione dell´appendice nel cavo peritoneale.
  • Inizialmente il paziente riferisce dolore epigastrico, che gradualmente si sposta alla regione periombelicale, e solo successivamente assume la tipica localizzazione in fossa iliaca destra. Tale caratteristica evoluzione dei sintomi è dovuta all´origine embriologica dell´appendice dall´intestino medio, struttura della linea mediana. Il dolore può essere in principio di tipo colico, per la risposta muscolare all´ostruzione del lume appendicolare, ma viene più comunemente descritto come costante, non modificato dal cambiamento di posizione del corpo, dalla minzione o dalla defecazione e, solo saltuariamente, irradiato ai quadranti centrali dell´addome, verso la regione lombare o verso l´arto inferiore omolaterale.
  • Il vomito è più comune nei pazienti giovani e non è mai un sintomo preminente, mentre quasi sempre sono riferite nausea e perdita dell´appetito.
  • L´alvo è tipicamente stitico, fino alla chiusura a feci e gas per paralisi ileale, non di rado, però, nei bambini si assiste a una diarrea iniziale da enterite, per la contiguità con il processo flogogistico.
  • Può essere presente iperpiressia, solitamente di grado modesto, con temperatura rettale che sale rapidamente fino a circa 38-38,5 °C e temperatura cutanea che non subisce rialzi significativi (dissociazione della temperatura interna-esterna).
La diagnosi differenziale va posta con la colica renale e risulta più complessa quando l´infiammazione appendicolare provoca anche disuria e modesta ematuria.
L´evoluzione clinica più frequente dell´appendicite acuta è la peritonite, che talora costituisce il quadro d´esordio o che, più frequentemente, si instaura per un ritardo diagnostico.
La peritonite diffusa da appendicite si presenta con i sintomi ed i segni classici, di solito più accentuati ai quadranti di destra. La diagnosi eziologica può risultare difficoltosa, ma non è comunque essenziale al fine terapeutico.
Diagnosi:La diagnosi di appendicite acuta è essenzialmente clinica, può avvalersi degli esami di laboratorio e, in alcuni casi dubbi, di esami radiologici complementari, ma l´esecuzione di questi non deve mai ritardare la diagnosi.
Esami di laboratorio. L´esame emocromocitometrico in un´appendicite acuta dimostra quasi sempre una leucocitosi a prevalenza neutrofila, che non risulta però correlata alla gravità del quadro anatomopatologico: non infrequenti sono infatti i casi di leucocitosi modesta associata a quadri clinici severi. Nei primi stadi della flogosi la conta leucocitaria può inoltre risultare nella norma, per subire un rialzo successivo; prelievi seriati possono quindi incrementare l´accuratezza del test. Altri indici infiammatori, come la proteina C-reattiva, sono stati studiati e messi in correlazione con l´appendicite acuta, ma sono risultati di bassa specificità.
In caso di discrepanza tra i dati clinici e gli esami di laboratorio, sono sempre i primi che devono indirizzare la diagnosi e la scelta terapeutica.
Allo scopo di porre diagnosi differenziale con altre comuni patologie, è consigliabile eseguire un esame delle urine alla ricerca di sangue o leucociti, indici di litiasi od infezione a carico delle vie urinarie. La misurazione degli enzimi epatici e del livello delle amilasi, nel caso di dolore riferito ai quadranti centroaddominali o in ipocondrio di destra, consente di indirizzarsi verso la patologia epato-biliare e pancreatica, anche se si è riscontrato che nel 3-10% dei casi di appendicite acuta è presente un rialzo dell´amilasemia. Se la paziente è una donna in età fertile, è inoltre necessario dosare la beta-HCG (gonadotropina corionica umana) per escludere una gravidanza ectopica o fisiologica in atto, prima di sottoporre la paziente ad esami radiologici o ad un´anestesia generale.
Esami radiologici
o Rx addome diretto : può risultare utile nella diagnosi differenziale con una perforazione viscerale (pneumoperitoneo) e con una colica renale (litiasi radiopaca in corrispondenza delle vie urinarie.
o Ecografia dell’addome: secondo alcuni studi è un esame che raggiunge una sensibilità dell´85% e una specificità superiore al 90%, ha come limite però la distensione ileale o una importante contrattura di difesa, che ostacolano la visione ecografica. L´appendice può risultare aumentata nel suo diametro (> 7 mm), non comprimibile e con pareti ispessite, si può riscontrare inoltre la presenza di versamento periappendicolare.
o Clisma opaco: è un esame poco utilizzato, che può dimostrare la mancata visualizzazione o l´incompleto riempimento del verme appendicolare, l´irregolarità del margine mediale del cieco o la dislocazione dell´ultima ansa ileale. Si ottiene un falso negativo nel 10% dei casi.
Terapia: l´appendicectomia, eseguita per via laparotomica o laparoscopica, è il solo trattamento indicato per l´appendicite acuta. Spesso il paziente necessita di un´adeguata reidratazione e ripristino dell´equilibrio elettrolitico, prima di essere sottoposto ad intervento.

martedì 10 agosto 2010


Sanguinamenti uterini anomali

Rappresentano uno dei più frequenti problemi ginecologici
Riconoscono questa motivazione
– il 15% delle visite ambulatoriali
– il 25% degli interventi ginecologici
Possono manifestarsi lungo tutto l'arco della vita riproduttiva della donna dalla pubertà alla menopausa, più frequentemente nei periodi in cui si verificano importanti trasformazioni a carico dell' asse ipotalamo-ipofisi-ovaio
– passaggio alla piena maturità sessuale (20% dei casi)
– climaterio (50% dei casi) quando cessa la funzione ciclica dell'ovaio
Il sanguinamento anomalo può manifestarsi in maniera varia
menorragia : eccessivo sanguinamento al momento della mestruazione
menometrorragia: un sanguinamento mestruale eccessivo e prolungato
metrorragie: sanguinamenti abbondanti e prolungati, che si ripetono ad intervalli irregolari
spotting: piccole perdite ematiche del tutto irregolari, che possono verificarsi in una qualunque fase del ciclo mestruale
Sono quasi sempre di natura
– Organica
– Disfunzionale
meno frequentemente
– Iatrogena
– Da patologie extra-genitali
Dal punto di vista clinico qualunque sia l'età della paziente, il primo problema da affrontare sarà quello di distinguere tra origine organica e disfunzionale del sanguinamento stesso.
Una causa specifica tuttavia viene individuata in poco più del 50% dei casi
CAUSE
DISFUNZIONALI
– anovulazione
– insufficienza del corpo luteo
– ipo- iper-estrogenismo
ORGANICHE
– Fibromi
– Polipi endometriali
– Tumori
– Traumi
IATROGENE
– Ormoni esogeni
– Anticoagulanti
– FANS, salicililati
MALATTIE SISTEMICHE
– alterazioni della coagulazione
– malattie epatiche
– alterazioni della tiroide
– malattie del sangue – leucemia
SU BASE DISFUNZIONALE
I sanguinamenti uterini non riconducibili ad una patologia organica si definiscono disfunzionali. La terapia medica rappresenta il trattamento d' elezione, quella chirurgica è indicata solo i casi specifici. Sono di solito associati a:
– anormale funzione ovarica
– assenza di ovulazione (90% circa dei casi)
– alterazione dei livelli degli estrogeni
– alterazione dei livelli del progesterone
– modificazione dei normali rapporti esistenti tra i due ormoni nelle varie fasi del ciclo
Nelle adolescenti i sanguinamenti disfunzionali si associano, per lo più, all'assenza di ovulazione. La fase follicolare del ciclo è prolungata, con una secrezione estrogenica maggiore rispetto a quella di un ciclo normale. L'endometrio, data la produzione continua aciclica di estrogeni conseguente alla mancata formazione del corpo luteo, con successiva mancata produzione di progesterone, va incontro ad una eccessiva crescita (iperplasia), non sostenuta da un adeguato sviluppo dello stroma, il che lo rende molto fragile ed instabile Negli anni che precedono la menopausa: prolungata stimolazione dell'endometrio da parte degli estrogeni la cui azione non viene contrastata dalla presenza di adeguate quantità di progesterone a causa del ripetersi di una condizione di anovularietà dovuta alla declinante capacità funzionale dell'ovaio. Quindi si ha:
• iperestrogenismo relativo
• l'endometrio presenta per lo più un aspetto proliferativo più o meno accentuato
• iperplasia ghiandolare semplice
• iperplasia ghiandolare cistica
• Iperplasia adenomatosa
Il sanguinamento segue di solito la caduta dei livelli estrogenici, che porta all'irregolare sfaldamento dell'endometrio ispessito. In un 10% delle pazienti i sanguinamenti disfunzionali si verificano in donne con cicli ovulatori, normali livelli di LH e FSH, estrogeni e progesterone ed endometrio di aspetto normale. In queste pazienti i sanguinamenti possono essere causati da
• fase luteinica breve
• mancata involuzione del corpo luteo
• anomalie funzionali locali endometriali, con alterazione a carico dei recettori degli estrogeni o del progesterone. L'alterazione recettoriale potrebbe a sua volta indurre un aumentato rilascio locale di prostaglandine F2alfa, con conseguente vasospasmo, ischemia, necrosi della mucosa e sanguinamento
SU BASE ORGANICA
In epoca adolescenziale
– Tumori ovarici ormono secernenti
Nelle donne tra i 20 ed i 50 anni
– miomi, specie se a sviluppo sottomucoso
– polipi endometriali
– l'adenomiosi diffusa
– carcinoma della portio
In peri post-menopausa
– Iperplasie endometriali
– carcinoma dell'endometrio
– carcinoma della portio
– Tumori ovarici ormono secernenti
DIAGNOSI
E' necessario innanzi tutto stabilire la natura organica o funzionale del sanguinamento anomalo. La diagnosi finale di sanguinamento disfunzionale è soltanto una diagnosi di esclusione
– Esame clinico generale
– Anamnesi
– Esame clinico ginecologico
– Ecografia
– Isteroscopia
Se questi accertamenti non mettono in evidenza l’esistenza di una patologia organica a carico degli organi genitali si può ragionevolmente porre l’ipotesi diagnostica di sanguinamento su base disfunzionale.
Nell'anamnesi particolare attenzione deve essere rivolta
• esclusione della gravidanza
• eventuale assunzione di sostanze o farmaci (contraccettivi orali), capaci di agire sull'endometrio
• utilizzazione di IUD
• presenza di malattie sistemiche capaci di alterare la coagulazione (il 20% delle adolescenti con un sanguinamento uterino anormale presenta un difetto della coagulazione)
• malattie endocrine distiroidismo
INDICAZIONI TERAPEUTICHE
Se il quadro metrorragico è acuto e imponente con conseguente riduzione dei livelli di ematocrito e/o di emoglobina si deve intervenire subito cercando di frenare il quadro emorragico.
• Trattamento ormonale
– estrogeni coniugati 20 mg ogni 4-6 ore
– estro-progestinici 2-4 cps/die
– Antifibrinolitici: acido tranxeamico 2-4 g/die
Se la menometrorragia non si arresta entro 24-48 ore, si esegue esame della cavità uterina ( raschiamento ). Superata la fase acuta, si instaura una terapia estro-progestinica di mantenimento (almeno 3 cicli)
Dove non si debba intervenire con i caratteri dell’urgenza:
– combinazioni estroprogestiniche.
• Estrogeni coniugati: 0.625 mg + Progestinico dal 16 al 24 giorno del ciclo
• Pillola ad alto dosaggio
– progestinici
• Dal 5° al 24° giorno del ciclo
• Dal 15° al 24° giorno del ciclo
– Gn Rh analogo
– Ablazione isteroscopica dell’endometrio
– Iud medicati al progesterone