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martedì 18 settembre 2012


Interpretazione delle analisi del sangue - Metabolismo del ferro


Sideremia: Misura la concentrazione di ferro nel sangue.
- 75 – 160 mcg/dL nell'uomo
- 60 – 150 mcg/dL nella donna
Aumenta per: talassemie, soggetti politrasfusi, alcolismo cronico, epatiti acute.
Diminuisce in caso di:malattie emorragiche, malattie infettive, malattie autoimmuni, celiachia, aumento delle richieste ( ad es. gravidanza )

Transferrina: è la proteina che trasporta il ferro ai depositi e al midollo, perché venga utilizzato per la sintesi dell’emoglobina. Indicativamente la sue concentrazione è inversamente proporzionale alla sideremia, cioè la trasferrina aumenta quando la sideremia si riduce.
200 a 400 mg/dL - % saturazione: 15 – 45%
Aumenta nelle anemie sideropeniche ( o da carenza di ferro), epatiti
Diminuisce nelle neoplasie, nelle infezioni croniche

Ferritina sierica: è la molecola che permette il deposito del ferro nei tessuti. Indica il ferro presente a livello del fegato cioè la riserva in ferro.
- 30 – 300 ng/mL nell'uomo
- 20 – 200 ng/mL nella donna
Aumenta nelle malattie del fegato, infiammazioni croniche, disordini da accumulo di ferro, alcolismo cronico, soggetti politrasfusi, neoplasie, infezioni
Diminuisce in caso di carenza di ferro o di vitamina C

giovedì 13 settembre 2012


Interpretazione delle analisi del sangue - Emocromo (esame emocromocitometrico)


L'esame emocromocitrometrico misura la quantità di tutte le cellule (la parte corpuscolata) presenti nel sangue.

Globuli rossi (RBC) o Eritrociti (GR) o Emazie
- 4,4-5,6 milioni/microlitro nell'uomo
- 3,9-4,9 milioni/microlitro nella donna
Aumentano in caso di: Stati di disidratazione, shock, problemi circolatori
Diminuiscono in: Anemie, emorragie, stati di malnutrizione

Globuli Bianchi (WBC)
4.000-10.800 /microlitro
Aumentano (leucocitosi) in caso di:  Infezione da batteri, gravidanza, condizioni di stress
Diminuiscono (leucopenia) in: Infezioni da batteri, virus, esposizione a radiazioni ionizzanti
Formula leucocitaria: misura il numero e le caratteristiche dei vari tipi di globuli bianchi:
- Granulociti neutrofili: 40-75 % ( 2500 – 7500/mcl). Aumentano in caso di infezioni da batteri , gravidanza, condizioni di stress, mentre diminuiscono per infezioni da virus, esposizione a radiazioni ionizzanti
- Granulociti eosinofili 1-5 % ( 50 – 400/mcl ). Aumentano per allergie, infezioni da parassiti, e diminuiscono in caso di terapie cortisoniche e con corticotropina
- Granulociti basofili 0-1 % ( < 100/mcl ), Un loro aumento è dovuto a tubercolosi, trattamenti farmacologici (ad es. con estrogeni, D-tiroxina), la diminuzione a terapie cortisoniche e con corticotropina, malattie allergiche, gravidanza
- Linfociti 20-45 % (1500 – 3500/mcl). Aumentano perMalattie virali ( mononucleosi infettiva, varicella, epatite virale,..), diminuiscono per Trattamenti farmacologici (cortisone, corticotropina,chemioterapici..), malattie del sistema immunitario (Lupus), AIDS, miastenia
- Monociti 3-7 % ( 200 – 600/mcl), Aumentano in corso di Malattie infettive ( tubercolosi, sifilide, tifo, brucellosi, mononucleosi infettiva), alcuni tipi di leucemie

Piastrine (PLT) 150.000-400.000/microlitro. Un loro aumento è dovuto a Infiammazioni acute e croniche, alcuni tipi di leucemie, emorragie acute, mentre una diminuzione può far pensare ad alcune malattie autoimmunitarie (ad es. porpora idiopatica), infezioni virali.

Emoglobina (HGB): è la proteina contenuta nei globuli rossi che trasporta l’ossigeno dagli alveoli polmonari ai tessuti.
- 13-18 g/dL nell'uomo
- 13 – 15 g/dL nella donna
Aumenta in caso di Policitemia ( eccessiva produzione di globuli rossi), stati di disidratazione e gravi malattie polmonari
Diminuisce in tutte le forme di anemie ( da perdita, da emolisi periferica, da insufficienza midollare,da deficit enzimatici genetici), stati da carenza di ferro e vitamine B6, B9 e B12

Ematocrito (HCT): è la percentuale della parte corpuscolata (globuli rossi, piastrine e globuli bianchi) rispetto al volume di sangue totale.
- 40 – 54% nell'uomo
- 36 – 52% nella donna
Aumenta per: stati di disidratazione, eccessiva produzione di globuli rossi (policitemia) causata da malattie del midollo osseo o da farmaci che stimolano la produzione di globuli rossi.
Diminuisce nelle anemie , soprattutto da carenza di ferro, emorragie.

Volume corpuscolare ( dei globuli rossi) medio (MCV): indica la grandezza dei globuli rossi ed è molto importante nella diagnosi delle varie forme di anemie, 81-96 fl (femtolitri). Aumenta nelle anemie macrocitiche mentre diminuisce nelle microcitiche.

Contenuto emoglobinico corpuscolare medio (MCH): indica la quantità di emoglobina contenuta in un globulo rosso. 27-34 picogrammi. Aumenta nelle anemie macrocitiche ipercromiche e diminuisce in quelle microcitiche ipocromiche

Concentrazione emoglobinica corpuscolare media (MCHC): indica la quantità di emoglobina trasportata da 100 mL di globuli rossi. 31-36 g/dL (%). Aumenta negli stati di disidratazione intensa e prolungata, aumento dell’emoglobina, e diminuisce nelle anemie da carenza di ferro, talassemia, iperidratazione

sabato 8 settembre 2012


Educazione alla salute


L'educazione alla salute è un’attività complessa orientata alla promozione di comportamenti a sostegno della salute e del benessere individuale e collettivo.
L'educazione alla salute non si limita a comunicare le informazioni, ma favorisce anche la motivazione, le capacità e la fiducia, ossia quelle condizioni necessarie per agire nell'ottica di migliorare la salute. Educare alla salute implica comunicare informazioni concernenti le condizioni socioeconomiche e ambientali implicite che incidono sulla salute, altre informazioni riguardanti i fattori individuali di rischio e i comportamenti a rischio, oppure l'uso del sistema di assistenza sanitaria. L'educazione alla salute può, quindi, riguardare la comunicazione di informazioni e lo sviluppo di capacità con lo scopo di accrescere la salute e diminuire le malattie degli individui e dei gruppi, attraverso l’influenza su attitudini e comportamenti. Le finalità dell’ES possono essere sintetizzate come segue:

·         Acquisire coscienza della propria salute; la finalità è quella di far emergere la coscienza dei propri problemi di salute.
·         Aumentare le conoscenze attraverso informazioni e conoscenze specifiche su problemi di cui le persone sono già coscienti, di cui però la conoscenza reale o la comprensione sono limitate.
·         Raggiungere consapevolezza rispetto a un particolare problema o alla salute in generale,  identificando che cosa sia realmente importante.
·         Realizzare un cambiamento di abitudini: si prendono in esame le decisioni personali per il futuro, in generale o su un particolare aspetto della salute. La decisione si basa sulle informazioni, sulle conoscenze più rilevanti e sulla comprensione dei valori coinvolti.
·         Realizzare un cambiamento nei comportamenti, rendendo operativa una decisione, cioè cambiare effettivamente “qualche cosa” in relazione a un problema di salute.
·         Promuovere una modificazione sociale. E’ una finalità abbastanza complessa: vuol rendere più agevoli le scelte di salute attraverso le modificazioni dell’ambiente sociale e fisico, le persone sono stimolate ad adottare comportamenti più sani.
 Nella società attuale, caratterizzata dal grande sviluppo della comunicazione, l’Educazione alla Salute può trovare notevole risalto o, al contrario, scomparire confusa tra messaggi non controllati e contraddittori. In questo contesto è fondamentale il ruolo del mondo sanitario per dare contenuto e visibilità ai messaggi educativi. Nel settore più strettamente sanitario l’Educazione alla Salute abbraccia tutti i tipi di prevenzione: sicuramente la primaria, ma anche la secondaria, fino alle prestazioni terapeutiche e riabilitative

lunedì 3 settembre 2012


Promozione della salute


La promozione della salute è la scienza che, attraverso il coinvolgimento consapevole e responsabile del cittadino, favorisce scelte utili al massimo potenziamento della salute del singolo e della collettività.
Evitare la malattia (prevenzione, diagnosi e cura) ma anche e soprattutto potenziare la salute.
Questa definizione implica:
§  la creazione di ambienti che consentano di offrire un adeguato supporto alle persone per il perseguimento della salute negli ambienti di vita e di lavoro, attraverso condizioni di maggiore sicurezza e gratificazione;
§  il rafforzamento dell'azione delle comunità che devono essere adeguatamente sostenute per poter operare autonome scelte per quanto riguarda i problemi relativi alla salute dei cittadini che vi appartengono;
§  il riorientamento dei servizi sanitari nella logica di renderli più adeguati ad interagire con gli altri settori, in modo tale da svolgere un'azione comune per la salute della comunità di riferimento.
La promozione della salute mira soprattutto a raggiungere l'eguaglianza nelle condizioni di salute. Il suo intervento si prefigge di ridurre le differenziazioni evidenti nell'attuale stratificazione sociale della salute, offrendo a tutti eguali opportunità e risorse per conseguire il massimo potenziale di salute possibile. 
Mentre la prevenzione dice ciò che bisogna evitare, la promozione è propositiva, induce a fare.
Dal mantenimento della salute alla sua ottimizzazione.
Promuovere comportamenti e stili di vita per la salute, contrastare le principali patologie, migliorare il contesto ambientale
La promozione della salute rappresenta un processo socio-politico globale. Esso
investe non soltanto le azioni finalizzate al rafforzamento delle capacità e delle competenze degli individui, ma anche l'azione volta a modificare le condizioni sociali, ambientali e economiche in modo tale da mitigare l'impatto che esse hanno sulla salute del singolo e della collettività. La promozione della salute è il processo che consente alle persone di acquisire un maggior controllo dei fattori
determinanti della salute e, di conseguenza, di migliorare la loro salute.
La Carta di Ottawa individua tre strategie fondamentali per la promozione della salute: perorare la causa della salute per creare quelle condizioni essenziali per la salute citate in precedenza, permettere a tutte le persone di sviluppare al massimo le loro potenzialità di salute e mediare tra i diversi interessi esistenti nella società, al fine di perseguire la salute.

mercoledì 29 agosto 2012


Infezioni trasmesse per via sessuale



Diverse infezioni si trasmettono per contagio diretto da persona a persona durante i rapporti sessuali.
Fra le infezioni sessualmente trasmesse rientrano, ovviamente, le classiche malattie veneree (sifilide, gonorrea, linfogranuloma inguinale, ulcera venerea). A queste vanno aggiunte diverse altre infezioni (candidosi delle mucose genitali, tricomoniasi vaginale, infezioni genitali da Chlamidia trachomatis, herpes genitale, infezioni da papillomavirus umani) che hanno larga diffusione a causa anche del fatto di essere tenute erroneamente in poca considerazione.
In realtà esse hanno un impatto importante sulla salute, specialmente dei giovani, anche per le gravi conseguenze che ne possono derivare. Basta menzionare, al riguardo, le infezioni da papillomavirus umani oncogeni.
La prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse consiste essenzialmente nell’educazione ai comportamenti cauti e responsabili nei rapporti sessuali.
Accanto a queste vanno menzionate alcune infezioni la cui trasmissione interumana avviene sia per via sessuale sia mediante inoculazione transcutanea degli agenti eziologici.
Questo tipo di trasmissione avviene mediante inoculazione di sangue (anche in tracce) o di emoderivati, in occasione di trasfusioni, per lesioni con strumentario medico contaminato, per punture con aghi di siringhe ecc.
Rappresentanti tipici di questa categoria di infezioni sono la sindrome da immunodeficienza acquisita indicata con l’acronimo AIDS (Acquired Immunodeficiency Syndrome), l’epatite virale B e l’epatite virale C.

venerdì 24 agosto 2012


Toxoplasmosi



E’ una zoonosi ubiquitaria, causata da un parassita dei felini, che infetta facilmente l’uomo ed altri animali a sangue caldo come ospiti intermedi. Nell’uomo la malattia si manifesta di rado, ma l’infezione è straordinariamente frequente e diffusa.
Spesso misconosciuta, la toxoplasmosi è oggetto di interesse e di preoccupazione per gli effetti sul prodotto del concepimento se l’infezione avviene durante la gravidanza, tanto che le indagini sierologiche per rivelare indirettamente l’eventuale infezione nella gestante sono entrate nella pratica diagnostica accanto a quelle per rosolia, listeriosi, citomegalovirus, herpesvirus).
L’agente eziologico è Toxoplasma gondii, un protozoo parassita endocellulare obbligato che si presenta in tre forme :
-       oocisti, da cui si liberano gli sporozoiti
-       cisti, che si formano nei tessuti e contengono i bradizoiti
-       tachizoiti, che si osservano nell’infezione primaria e nelle riattivazioni come elementi in attiva moltiplicazione intracellulare
Queste forme si osservano nel corso dei due cicli riproduttivi :
-       ciclo sessuato, che si svolge nell’ospite definitivo, il gatto
-       ciclo asessuato, che si svolge in una grande varietà di mammiferi (compreso l’uomo) e di uccelli, che rappresentano altrettanti ospiti intermedi
Il gatto si può infettare con tutte e tre le forme in seguito all’ingestione di piccoli roditori (topi, ratti) e di uccelli parassitati con toxoplasmi in fase di tachizoiti o contenuti nelle cisti (bradizoiti), ma può infettarsi anche ingerendo delle oocisti mature eliminate con le feci da altri gatti. Ognuna delle tre forme può dare inizio al ciclo riproduttivo sessuato (ciclo gametogonico).
Infatti, dopo la penetrazione nelle cellule epiteliali della mucosa dell’intestino tenue, il parassita inizia a riprodursi in forme asessuate e sessuate. Le forme sessuate si trasformano in oocisti, che si liberano nell’intestino e vengono espulse con le feci.
Nell’ambiente, le oocisti vanno incontro a sporulazione, divenendo infettanti.
L’oocisti sporulata contiene due sporocisti, ognuna delle quali contiene 4 sporozoiti; essa può rimanere vitale fino a 18 mesi, sicchè il suolo contaminato da feci di gatti costituisce un serbatoio di infezione di lunga durata.
Nell’uomo e negli altri animali, ospiti intermedi, si svolge il ciclo asessuato a partire, abitualmente, dalle cisti e dalle oocisti.
I bradizoiti liberati dalle cisti o gli sporozoiti liberati dalle oocisti penetrano nelle cellule dell’epitelio intestinale e vi si moltiplicano, invadendo poi tutto l’organismo sotto forma di tachizoiti. A loro volta, i tachizoiti danno luogo alla formazione di cisti nei vari organi.
I tachizoiti si riproducono attivamente durante la fase acuta dell’infezione primaria o nella riattivazione all’interno delle cellule, principalmente del sistema reticolo-endoteliale, del cervello e dei muscoli, provocandone la lisi con la conseguente invasione di nuove cellule. I tachizoiti sono molto labili, vengono distrutti facilmente dagli agenti fisici e chimici e non sopravvivono all’azione del succo gastrico.
La forma cistica si forma dopo la fase iniziale di intensa riproduzione del tachizoita e in concomitanza con la risposta anticorpale, quando la crescita diventa più lenta nelle cellule parassitate; queste non si lisano ma lentamente aumentano di volume e si modificano nella loro struttura, assumendo l’aspetto di cisti (pseudocisti), che contengono centinaia di toxoplasmi (più piccoli, denominati bradizoiti).
Le cisti, proprie dell’infezione latente e della malattia in fase cronica, restano localizzate nei tessuti (in particolare nel cervello, muscoli ed occhio), dove sono capaci di sopravvivere per anni.
Occasionalmente possono rompersi, con conseguente liberazione dei toxoplasmi, invasione moltiplicativa dei tessuti circostanti e riacutizzazione della malattia.
Le cisti resistono all’essiccamento nell’ambiente esterno fino ad 1 giorno e all’azione del succo gastrico per 1 ora; nelle carni sono distrutte dai consueti procedimenti di conservazione (salatura, affumicatura ecc.) e da una buona cottura, mentre resistono a lungo a +4°C ed al congelamento. L’uomo si infetta principalmente in seguito alla ingestione delle cisti o delle oocisti. Queste raggiungono l’intestino tenue, dove si ha la liberazione delle forme infettanti (i bradizoiti dalle cisti e gli sporozoiti dalle oocisti), con invasione delle cellule dell’epitelio intestinale e successiva diffusione per via linfo-ematica in tutti gli organi, nelle cui cellule il parassita, nella forma di tachizoita, si moltiplica provocandone la distruzione (fase acuta, della durata di 8-10 giorni).
In seguito alla comparsa di anticorpi, la fase di intensa moltiplicazione dei tachizoiti si riduce fino ad arrestarsi, tranne eventualmente in quei tessuti (sistema nervoso, muscoli, occhio) dove gli anticorpi non sono presenti in quantità sufficiente (fase subacuta o intermedia).
Si arriva così alla formazione delle cisti che si localizzano soprattutto nel tessuto nervoso e muscolare e non determinano alcun danno (fase cronica), a meno che cause diverse (traumi, decadimento delle difese immunitarie, infezioni intercorrenti) non ne provochino la rottura, potendosi così avere una reinfezione endogena con riacutizzazione della malattia.
La successione di queste fasi è identica sia nella malattia manifesta, sia nella forma inapparente.
La toxoplasmosi acquisita può manifestarsi, dopo un periodo di incubazione variabile da 3 a 10 giorni, con quadri clinici assai diversi tra di loro, più spesso lievi o moderati, a volte gravi, in rapporto alla virulenza dello stipite ma anche alle sue localizzazioni.
L’evenienza abituale è, però, la forma quasi del tutto asintomatica, che colpisce un grandissimo numero di soggetti e che può essere rilevata soltanto dalle indagini sierologiche.
Tra le forme clinicamente manifeste si possono ricordare la linfonodale e quelle generalizzate.
La forma linfonodale colpisce in particolare i soggetti giovani, nei quali si manifesta con febbre seguita a distanza di qualche giorno da una linfoadenopatia benigna, con interessamento in ordine di frequenza dei linfonodi latero-cervicali e sopraclaveari, ascellari, sottomandibolari ecc.
L’adenopatia può rimanere localizzata oppure diffondersi in breve tempo a più stazioni e spesso costituisce da sola la sintomatologia. La frequenza relativa di questa forma è dell’8-15% nell’ambito delle linfoadenopatie.
Le forme generalizzate sono assai rare ma molto gravi e spesso mortali; esse possono presentarsi in persone con grave compromissione del sistema immunitario.
Sono da citare quella esantematica con esantema di tipo maculo-papuloso o emorragico diffuso, la cerebrale, caratterizzata di solito da una meningo-encefalite, la parenchimatosa, con manifestazioni a carico del miocardio, polmoni, fegato ecc., la oculare con corioretinite.
La toxoplasmosi connatale si può verificare quando una donna subisce l’infezione acuta durante la gestazione e, per effetto della parassitemia, si ha la localizzazione e la moltiplicazione dei toxoplasmi nella placenta, con conseguente invasione fetale.
La possibilità di trasmissione al feto è minore nei primi mesi di gravidanza (20-30%), mentre è più frequente nell’ultimo trimestre (oltre il 50%), verosimilmente a causa dell’aumentata permeabilità placentare.
Le conseguenze sono più o meno gravi in rapporto, oltre che con la virulenza dello stipite e la risposta immunitaria materna, soprattutto con il periodo dell’infezione; sono infatti tanto più gravi quanto più questo è precoce (il che è, fortunatamente, l’evenienza meno frequente).
Clinicamente si possono presentare le seguenti evenienze :
-       aborto o morte fetale o neonatale
-       neonato con toxoplasmosi in atto, che presenta una o più delle manifestazioni della classica tetrade :
corioretinite mono o bilaterale, calcificazioni endocraniche, idrocefalia, ipercinesie (convulsioni, tremori) eccezionalmente si possono avere forme gravissime poliviscerali (epato e splenomegalia, polmonite, enterite, manifestazioni esantematiche ecc.)
-       neonato apparentemente sano, nel quale si possono verificare quadri clinici ai precedenti qualche mese o anno dopo la nascita
-       neonato sano
Diagnosi
Può essere eseguita con ricerche dirette (dimostrazione diretta del parassita) ed esami sierologici.
La dimostrazione diretta del parassita nel materiale di indagine (liquor, sangue, liquido ascitico ecc.) ha indubbiamente un valore superiore a qualsiasi altra modalità di accertamento e deve essere quindi tentata ogni qualvolta sia possibile.
Può essere attuata con l’esame microscopico (scarsamente sensibile e specifico) o con l’esame istologico di reperti bioptici (linfonodi, muscoli, fegato), in cui si ricercano le pseudocisti.
La reazione a catena della polimerasi (PCR) può essere usata per rivelare la presenza del toxoplasma nel liquido amniotico, per diagnosticare precocemente l’infezione intrauterina.
L’isolamento del parassita può essere ottenuto con la prova biologica, inoculando il materiale in esame in topi per via intraperitoneale o intracerebrale o con l’inoculazione in colture cellulari.
L’accertamento sierologico si avvale di numerose metodiche, alcune delle quali possono rivelare separatamente gli anticorpi IgG e gli anticorpi IgM :
-       dye test o reazione tintoriale di Sabin e Feldman : il siero in esame viene messo a contatto con toxoplasmi vivi, che verranno uccisi dagli anticorpi eventualmente presenti (principalmente IgG) e non assumeranno il blu di metilene aggiunto alla miscela ed appariranno non colorati all’osservazione microscopica
-       test di immunofluorescenza indiretta : consente la valutazione separata di IgG ed IgM
-       test di agglutinazione diretta per IgG ed IgM (meno specifico)
-       test ELISA per gli anticorpi IgM (meno specifico)
Epidemiologia
La toxoplasmosi è con ogni probabilità l’infezione protozoaria più diffusa nel mondo e la sua distribuzione geografica è ubiquitaria. In Italia, attualmente la frequenza si va abbassando nelle generazioni più recenti, tanto che il 60% delle donne affronta una gravidanza priva di anticorpi anti-toxoplasma. Dal 30 al 60% delle infezioni risulta correlata al consumo di carne (maiale, agnello) poco cotta.
Una modalità di trasmissione importante è quella derivante dal contatto diretto con gatti eliminatori di oocisti; è importante il ruolo dei gatti randagi che si nutrono con roditori ed uccelli e che possono contaminare il terreno di orti e giardini.
La trasmissione dalla madre al feto per via transplacentare avviene quando la gestante subisce l’infezione per la prima volta
Abitualmente, la toxoplasmosi non colpisce più di una gravidanza, in quanto l’immunità che consegue alla prima infezione della gestante è in grado di prevenire qualsiasi altro danno nelle gravidanze successive, salvo casi eccezionali (rottura di cisti nella toxoplasmosi materna cronicizzata).
Il rischio di infezione in gravidanza può essere diminuito evitando di consumare salumi (prosciutto crudo, salsicce) e carne cruda o poco cotta.
Prevenzione
Considerata l’abituale benignità della toxoplasmosi acquisita dopo la nascita, l’interesse maggiore è per la prevenzione della toxoplasmosi connatale, che, pur essendo una evenienza rara, può avere gravi conseguenze per il feto.
A tutte le gestanti va raccomandato di evitare le occasioni di infezioni, adottando opportuni comportamenti :
-       se in casa vi è un gatto, evitare i contatti diretti con esso, nutrirlo con mangime in scatola e non permettere che esca fuori a cacciare topi o uccelli, evitare di pulirne la lettiera personalmente o pulirla giornalmente (le oocisti diventano infettanti solo dopo tre giorni di permanenza nell’ambiente), usando guanti a perdere, introducendo le feci in contenitori da eliminare subito dopo e lavando accuratamente le mani al termine delle operazioni
-       evitare di fare lavori di giardinaggio oppure indossare guanti spessi per non contaminare le mani con la terra in cui ci possono essere oocisti e lavarsi accuratamente le mani dopo avere toccato la terra
-       lavarsi accuratamente le mani  prima di toccare alimenti, dopo aver toccato carne cruda o ortaggi, prima di mangiare
-       cuocere a fondo la carne, cuocere le verdure o lavarle accuratamente prima di consumarle crude.
Bisogna ricordare che:
·         Gestante sieronegativa : ciò indica che essa è recettiva
·         Gestante sieropositiva per IgG in assenza di IgM : si tratta di infezione avvenuta prima della gravidanza. Se l’esame viene effettuato dopo il terzo mese, potendo già essere scomparse le IgM, non si può escludere con certezza una infezione contratta dopo il concepimento
·         Gestante sieropositiva per IgM e IgG : titoli elevati stabili di IgG, anche in presenza di IgM, indicano molto probabilmente che l’infezione è avvenuta prima della gravidanza; l’aumento del titolo di IgG di almeno tre diluizioni in un secondo prelievo a distanza di 2-3 settimane dà la certezza di infezione recente
Quando vi sia motivo di credere che vi sia una infezione in atto o recente, possono essere eseguiti controlli nel feto dopo la 20° settimana di gestazione, attraverso la amniocentesi e l’esecuzione di esami specifici diretti e sierologici.
In caso di accertata infezione del feto, la somministrazione di pirimetamina e sulfadiazina alla gestante è altamente efficace nel ridurre il rischio di danni; è provato, infatti, che dopo trattamento chemioterapico il 90% dei bambini nasce del tutto sano.
La struttura antigene del toxoplasma è complessa, comprendendo frazioni proteiche e polisaccaridiche.
L’immunità che consegue all’infezione è sia umorale sia cellulomediata ed è di solito associata ad una ipersensibilità di tipo ritardato.
I primi anticorpi che si formano sono le IgM, che compaiono una settimana dopo l’infezione e aumentano rapidamente per poi ridursi fino a scomparire, per lo più entro il quarto mese.
Le IgG si sviluppano verso la seconda-terza settimana, raggiungono il massimo livello dopo 2 mesi circa e lo mantengono per 6-12 mesi o più, per poi diminuire senza però scomparire del tutto.

domenica 19 agosto 2012


Rabbia



La rabbia è una tipica zoonosi, trasmessa all’uomo abitualmente con il morso di animali infetti.
La malattia dell’uomo, benchè rara, è sempre ad esito letale, sicchè l’unica possibilità di lotta risiede nella prevenzione.
L’agente eziologico è un virus ad RNA appartenente alla famiglia dei Rhabdoviridae, genere Lyssavirus. La particella virale contiene 2 antigeni : uno di natura glico-proteica che provoca la formazione di anticorpi neutralizzanti e l’altro, nucleo-proteico, responsabile della comparsa degli anticorpi fissanti il complemento. E’ conosciuto un solo sierotipo.
Il virus della rabbia è patogeno per quasi tutti gli animali a sangue caldo e soprattutto per i mammiferi, nei quali provoca l’insorgenza di una encefalite mortale. Solo il vampiro può infettarsi senza contrarre malattia, restando quindi portatore sano.
Gli animali più frequentemente colpiti sono il cane, il gatto, i bovini, suini, la volpe, il lupo e molti roditori.
La rabbia è diffusa in tutto il mondo, con oltre 30.000 casi l’anno, quasi tutti in paesi in via di sviluppo (Africa, Sud-Est asiatico)
In Italia dal 1995 non vengono più registrati casi di rabbia silvestre e la malattia può essere considerata eradicata.
L’unico serbatoio naturale o sorgente di infezione è costituito dagli animali e l’uomo è soltanto un ospite occasionale.
Tra gli animali, quelli che sostanzialmente mantengono la catena dell’infezione sono i mammiferi e soprattutto lupi, volpi, cani, gatti, bovini, suini, ovini, equini, conigli, pipistrelli ematofagi o vampiri, sciacalli, manguste, coyote, moffette, tassi, lontre, caprioli
Nella epidemiologia della rabbia si possono distinguere due modalità di diffusione, la rabbia silvestre o naturale e la rabbia urbana o domestica.
-       La rabbia silvestre o naturale è mantenuta dagli animali che vivono allo stato libero.
-       La rabbia urbana o domestica è mantenuta dagli animali domestici

L’uomo si infetta principalmente con il morso di un animale infetto (trasmissione  attraverso la saliva degli animali infetti inoculata con il morso) o, assai più di rado, attraverso lesioni della cute bagnate dalla saliva infetta o dalle urine infette.
Eccezionale è la trasmissione per via aerea. Non è documentato alcun episodio di trasmissione interumana, anche se l’uomo ammalato elimina il virus attraverso la saliva e l’urina. Penetrato per via cutanea, di solito con la morsicatura, il virus raggiunge attraverso i nervi sensitivi il sistema nervoso centrale dove si moltiplica attivamente; da qui si diffonde per tutto l’organismo, concentrandosi in particolare nelle ghiandole salivari, ma anche in altri organi. Infatti, può essere reperito, sia pure con minore frequenza, anche nelle urine, latte e sangue. Nel sistema nervoso centrale si ha la comparsa dei tipici corpi del Negri, che appaiono come inclusioni citoplasmatiche nelle cellule piramidali e possono essere di elevato significato diagnostico.
Il virus penetrato nel tessuto sottocutaneo e muscolare diffonde lentamente lungo le vie nervose sensoriali, raggiungendo il sistema nervoso centrale, dove provoca una encefalomielite acuta con distruzione delle cellule nervose della corteccia cerebrale, del mesencefalo, dei gangli della base, del ponte e del bulbo, moltiplicandosi con estrema rapidità. Nel midollo spinale sono colpite soprattutto le corna posteriori.
Il periodo di incubazione è molto variabile, più spesso da 3 a 8 settimane ma può andare da 1 settimana a più di un anno.
La diversa durata è in rapporto alla distanza che il virus deve percorrere dal punto di penetrazione fino al sistema nervoso centrale, oltre che all’abbondanza delle terminazioni nervose nella sede della ferita ed alla carica virale infettante.
Di norma, il periodo di incubazione è molto breve nei soggetti che subiscono gravi morsicature al viso; anche le morsicature alle mani, in quanto ricche di terminazioni nervose sensitive, hanno più breve periodo di incubazione.
La malattia si manifesta con una fase prodromica contrassegnata da stato ansioso, febbre, cefalea e vomito.
Significato diagnostico rivestono sensazioni abnormi nella sede dell’infezione (formicolii, prurito, iperestesie o parestesie cutanee) in seguito all’intensa stimolazione del sistema sensitivo.
Con il progredire della malattia insorgono convulsioni generalizzate e i due sintomi patognomonici della rabbia umana : l’idrofobia, che si presenta con spasmi dolorosi faringo-laringei conseguenti al contatto delle labbra con l’acqua o anche alla semplice vista o rumore dell’acqua corrente, e la aerofobia, che si manifesta con violenti spasmi respiratori al minimo soffio d’aria. Gli accessi convulsivi e asfittici si susseguono sempre più violenti fino a che non sopravviene la morte.
A volte, nel periodo preterminale, allo stato di eccitazione motoria segue un breve periodo paralitico della durata di qualche ora, con cessazione degli spasmi e paralisi generalizzate di tipo flaccido.
La morte sopravviene in genere dopo 3-5 giorni dall’inizio dei sintomi patognomonici.
Diagnosi
Gli accertamenti diagnostici vengono fatti di norma nell’animale morsicatore, in quanto nell’uomo la diagnosi è clinica e non presenta difficoltà.
Se si riesce a catturare l’animale sospetto rabido, non è consigliabile ucciderlo ma è preferibile tenerlo in osservazione per 10 giorni, considerato che l’infezione può essere trasmessa da 3 a 8 giorni prima dell’insorgenza dei sintomi, quando il virus comincia ad essere presente nella saliva.
Gli accertamenti diagnostici si eseguono mediante l’esame microscopico e l’isolamento del virus.
L’indagine microscopica di scelta, perché sensibile e rapida, è quella in immunofluorescenza, con cui si evidenziano nel tessuto cerebrale gli antigeni virali mediante antisieri specifici marcati con sostanze fluorescenti.
L’isolamento del virus può essere ottenuto mediante inoculazione nel topino o in colture cellulari di una emulsione del cervello o della saliva dell’animale sospetto rabido.
Prevenzione
Nei paesi in cui la rabbia è ancora endemica, l’unica concreta possibilità di lotta è fornita dall’immunoprofilassi (vaccinoprofilassi e sieroprofilassi), tenuto conto che non esiste alcuna terapia efficace e che la malattia è sempre letale.
La vaccinazione antirabbica si applica alle persone che, nelle aree endemiche, sono state morsicate o, comunque, sono venute a contatto con animali affetti da rabbia o presunti tali (vaccinoprofilassi post-esposizione).
Essa differisce, pertanto, da tutte le altre vaccinazioni, che vanno effettuate prima dell’esposizione al rischio di infezione.
Questa singolarità deriva dal fatto che il periodo di incubazione della malattia è in genere sufficientemente lungo perché il vaccino possa suscitare uno stato di immunità tale da neutralizzare il virus prima che abbia potuto localizzarsi nel sistema nervoso centrale.
La vaccinazione antirabbica, inoltre, è consigliabile e opportuna per tutti coloro che per la loro attività professionale sono esposti ripetutamente al rischio di infezione (vaccinoprofilassi pre-esposizione)
Attualmente sono usati vaccini inattivati, preparati con virus della rabbia riprodotto in colture cellulari; essi sono dotati di elevato potere immunogeno, con una efficacia protettiva del 100% e della durata di almeno 3 anni.
La scheda vaccinale raccomandata per la vaccinazione post-esposizione prevede la somministrazione di 5 dosi ai giorni 0,3,7,14,30; la via di inoculazione è quella intramuscolare nella regione deltoidea agli adulti e nell’area anterolaterale prossimale della coscia ai bambini.
Reazioni locali al punto di inoculazione sono presenti nel 25% dei vaccinati; nel 20% circa si hanno reazioni generali modeste, come cefalea, nausea, dolori muscolari ecc.
E’ utile associare al vaccino la somministrazione di immunoglobuline specifiche (profilassi attiva e passiva), specialmente nelle persone con gravi morsicature alla testa ed alle mani, la cui azione consiste nel ritardare la diffusione del virus al sistema nervoso centrale, così da prolungare il periodo di incubazione e consentire al vaccino di promuovere una immunità attiva sufficiente.
Poiché in Italia la rabbia è assente, in caso di morsicatura da parte di animali domestici non è indicata la vaccinazione, a meno che l’animale non provenga da aree geografiche in cui la malattia è ancora endemica.

venerdì 15 giugno 2012


Varicella

La varicella è una malattia esantematica, acuta e contagiosa, caratterizzata dall’eruzione di un esantema pruriginoso, con elementi maculo-papulosi generalizzati, che evolvono in vescicole e croste. Di solito il decorso è benigno, con evoluzione verso la guarigione spontanea, ma la sintomatologia comporta uno stato di sofferenza non trascurabile per il malato.
L’agente eziologico è il virus della varicella-zoster, un herpesvirus così chiamato perché è responsabile, oltre che della varicella, anche dell’herpes zoster, manifestazione ricorrente e localizzata che fa seguito all’infezione primaria per la persistenza del virus in forma latente.
E’ un virus a DNA che appartiene alla famiglia degli Herpesviridae; è un virus labile
Il virus penetra attraverso le prime vie aeree, in cui si moltiplica per dar luogo ad una successiva fase viremica con diffusione in tutto l’organismo. Dopo un periodo di incubazione di 14-16 giorni, che può andare da 10 a 21 giorni, la malattia inizia con febbre modica e malessere, che si accompagnano con l’eruzione di un caratteristico esantema pruriginoso e generalizzato.
Questo è costituito da 250-500 elementi maculo-papulosi, che si presentano ad ondate successive, sono più abbondanti nelle parti coperte del corpo ed evolvono rapidamente in vescicole, che si coprono di croste dopo 3-4 giorni.
Le lesioni cutanee possono subire delle infezioni batteriche, specialmente se vengono grattate per l’intenso prurito.
In alcuni casi, l’infezione può decorrere senza l’eruzione del tipico esantema o con l’eruzione di un numero di elementi così piccolo da passare inosservati.
Negli adolescenti, negli adulti e negli immunodepressi il decorso è solitamente più grave e le complicanze più frequenti.
La letalità è molto bassa nei bambini, circa 1 caso di morte ogni 100.000; essa è più elevata negli adulti, circa 30 casi ogni 100.000.
Complicanze si possono presentare a carico del sistema nervoso centrale con atassia cerebellare acuta ed encefalite.
L’atassia cerebellare può manifestarsi da una a tre settimane dopo l’eruzione dell’esantema, con frequenza di 1 caso ogni 4.000, e di solito ha un’evoluzione benigna con ritorno alla normalità entro 2-4 settimane.
L’encefalite si presenta con frequenza di 1 caso ogni 1.000 ed ha un decorso più grave: la mortalità fra coloro che sviluppano encefalite è del 5-20%, mentre fra coloro che sopravvivono il 15% circa ha sequele neurologiche permanenti.
Altre complicanze a carico del sistema nervoso sono la meningite, la mielite trasversa e la sindrome di Reye, quest’ultima connessa con la somministrazione di acido acetilsalicilico (aspirina).
Una grave complicanza non neurologica con elevata letalità è la polmonite da varicella, che è piuttosto frequente negli adulti (1 caso ogni 400) e negli immunodepressi.
Dopo la guarigione, il virus persiste in stato latente nei gangli delle radici dorsali dei nervi che fuoriescono dal midollo spinale. La sua riattivazione causa l’Herpes zoster (comunemente chiamato “fuoco di Sant’Antonio”, che si manifesta con la comparsa di vescicole a grappolo lungo il decorso di uno o più nervi, più spesso nella schiena e nel petto. L’eruzione cutanea è accompagnata, specialmente negli adulti, da intenso bruciore).
Diagnosi
Prima dell’eradicazione del vaiolo, in certi casi si poneva il problema della diagnosi differenziale fra le due malattie, a causa della somiglianza delle rispettive lesioni cutanee.
Attualmente, la diagnosi è facile su base clinica ed epidemiologica.
L’isolamento e la tipizzazione del virus dal liquido delle vescicole ha interesse in fase di monitoraggio delle campagne di vaccinazione per distinguere i casi di varicella da virus selvaggio dai rari casi di eruzione cutanea da virus attenuato del vaccino.
Epidemiologia
Il virus della varicella-zoster è patogeno soltanto per l’uomo e la sorgente di infezione abituale è costituita dai malati di varicella, talvolta anche dai malati di zoster.
E’ altamente contagioso e la trasmissione avviene facilmente con goccioline di secrezioni delle prime vie aeree o per contatto diretto con le lesioni della varicella o dello zoster.
Il periodo di contagiosità va da 1-2 giorni prima della comparsa dell’esantema fino alla comparsa delle croste.
Il periodo di incubazione è mediamente di 14-16 giorni, con limiti massimi di 10-21 giorni.
In assenza di vaccinazione, la varicella è una malattia tipicamente infantile, a causa della sua elevata contagiosità, tanto che il 90% dei bambini si infetta entro i 13 anni di età.
Prevenzione
Nei casi in cui è necessario il ricovero in ospedale, il malato deve essere tenuto in stretto isolamento fino alla comparsa delle croste per evitare la trasmissione ad altri pazienti.
La riammissione a scuola o in comunità dei bambini che si sono ammalati di varicella può essere consentita dopo che tutte le vescicole si sono trasformate in croste.
I bambini non immuni che sono stati esposti al contagio possono essere sottoposti ad immunoprofilassi passiva con la somministrazione di immunoglobuline anti-varicella-zoster per via intramuscolare ad un dosaggio di 125 U per ogni 10 Kg di peso corporeo e per un massimo di 625 U.
Il modo più sicuro ed efficace di proteggere un bambino è la vaccinazione.
La somministrazione del vaccino, costituito da virus della varicella-zoster vivi e attenuati, va fatta intorno ai 15 mesi di vita, contemporaneamente alla somministrazione del vaccino trivalente MPR.
Esiste anche una formulazione tetravalente in cui il vaccino anti-varicella è combinato con MPR.
La vaccinazione conferisce una protezione dell’85-90% da tutte le forme di varicella e del 100% dalle forme moderate e gravi; ciò significa che in caso di epidemia nessuno dei vaccinati ammalerà in forma grave o moderata e solo alcuni presenteranno una forma lieve, con non più di 15-30 lesioni cutanee, che guarirà rapidamente.
Il vaccino presenta pochi effetti indesiderati, consistenti in lieve reazione nella sede di inoculazione nel 10-15% dei vaccinati, esantema localizzato al punto di inoculazione nel 3-5%, esantema in altre sedi in un ulteriore 3-5%. In questi casi, l’esantema è costituito da 2 a 5 elementi maculopapulosi che compaiono da 5 a 26 giorni dopo la vaccinazione e regrediscono rapidamente. Eccezionalmente sono state osservate reazioni avverse gravi, come encefalite, atassia ed altre manifestazioni neurologiche. Anche l’insorgenza di herpes zoster è rara ed è stimata in 2,6 casi ogni 100.000 dosi di vaccino distribuite.

domenica 10 giugno 2012


Parotite

La parotite è una malattia infettiva acuta e contagiosa, che si caratterizza per la tumefazione di una o, più spesso, di entrambe le parotidi ed, eventualmente, anche di altre ghiandole salivari.
Un terzo circa dei casi di infezione da virus parotitico decorre, però, seza tumefazione delle ghiandole salivari. Di solito il decorso è benigno e l’infezione evolve verso la guarigione spontanea senza complicanze. Tuttavia, se l’infezione avviene dopo la pubertà è frequente l’interessamento dei testicoli con orchite,che, però, raramente porta alla sterilità.
Un’altra complicanza relativamente frequente negli adulti è la meningite.
Altre complicanze che possono presentarsi raramente a tutte le età sono artrite, tiroidite, pancreatite, glomerulonefrite, miocardite, alterazioni nervose, deficit uditivi.
Il virus della parotite è classificato nel genere Rubulavirus della famiglia Paramyxoviridae.
E’ un virus ad RNA. Il nucleocapside costituisce l’antigene solubile S che stimola la produzione di anticorpi rivelabili nella prima fase dell’infezione.
Il nucleocapside è avvolto da un rivestimento che all’esterno è costellato da glicoproteine con attività emoagglutinante, neuroaminidasica e stimolante la fusione cellulare.
Nello strato esterno è presente l’antigene virale V che stimola la produzione di anticorpi rivelabili in una fase tardiva dell’infezione. Il virus della parotite è antigenicamente stabile, sicchè è noto un solo sierotipo.
Il virus penetra per via aerea e si moltiplica nell’epitelio delle prime vie aeree, da qui diffonde per via ematica in tutto l’organismo per localizzarsi infine alle ghiandole parotidi.
Nel corso della fase viremica si può avere anche la localizzazione alle meningi, ai testicoli ed in altri organi.
Ciò avviene con molta maggiore frequenza negli adolescenti e negli adulti.
Dopo un periodo di incubazione da due a quattro settimane (in media, 16-18 giorni), la malattia esordisce con sintomatologia aspecifica di febbre, malessere, anoressia e cefalea, seguita rapidamente da otalgia e senso di tensione in zona parotidea.
Di solito è colpita prima una parotide e dopo un paio di giorni l’altra ma non è raro che venga colpita una sola ghiandola.
Le ghiandole colpite raggiungono il massimo volume in due-tre giorni, conferendo al viso del malato l’aspetto caratteristico derivante dallo spostamento in alto ed in avanti dei padiglioni auricolari, da cui deriva la denominazione popolare della malattia come “orecchioni”.
In circa il 10% dei casi si ha il coinvolgimento anche delle altre ghiandole salivari.
La sintomatologia generale e locale regredisce nel giro di una settimana e la malattia guarisce spontaneamente di solito senza complicanze, specialmente nei bambini.
Tuttavia, il virus parotitico ha uno spiccato neurotropismo documentato dal fatto che in oltre la metà dei malati si rileva pleiocitosi nel liquido cerebrospinale.
Inoltre, fino al 10% dei malati può presentare meningite con decorso benigno e completo recupero e circa lo 0,1% encefalite con decorso grave e sequele permanenti.
Una complicanza neurologica alquanto frequente (circa il 4% dei casi) è a carico del nervo acustico, con sordità alle alte frequenze di solito transitoria.
Altre manifestazioni neurologiche, rare, sono : atassia cerebellare, paralisi del facciale, mielite trasversa, poliradicolite ascendente, sindrome poliomielitica
Complicanze frequenti quando la malattia si presenta dopo la pubertà sono l’epididimo-orchite nei maschi e l’ooforite nelle femmine.
L’epididimo-orchite si presenta nel 20-30% dei casi di parotite post-puberale, interessando un solo testicolo, più raramente entrambi; la complicanza evolve spontaneamente verso la guarigione e, di solito, non residua né impotenza né infertilità anche se vi è una certa riduzione di volume.
L’ooforite si presenta in circa il 5% dei casi di parotite postpuberale delle donne, ma anche in questi casi l’infertilità è una conseguenza rara.
Diagnosi
Il virus parotitico va ricercato nel liquido di lavaggio faringeo, nelle urine ed eventualmente nel liquido cerebrospinale mediante inoculazione in colture cellulari o con tecniche di biologia molecolare. Si può effettuare anche la ricerca ed il dosaggio degli anticorpi in campioni di sangue prelevati in fase acuta e dopo la guarigione.
Epidemiologia
Le sorgenti di infezione sono costituite dai malati e dagli infetti asintomatici o paucisintomatici.
L’uomo è l’unico serbatoio del virus parotitico.
Il periodo di contagiosità va da 7 giorni prima della tumefazione delle parotidi a 9 giorni dopo.
La trasmissione avviene per via aerea con goccioline di saliva o per contagio diretto con le mani contaminate o per contagio indiretto con oggetti contaminati dalla saliva.
Il maggior numero di casi si ha tra i 5 e i 14 anni.
Recrudescenze epidemiche si presentano ogni 2-5 anni.
Nelle popolazioni estesamente vaccinate la frequenza della malattia si riduce rapidamente; se, però, non si raggiunge un livello di copertura vaccinale superiore al 95% si può avere uno spostamento verso l’età adulta delle infezioni residue, con maggiore frequenza di complicanze.
In Italia, a partire dal 1999, quando sono stati registrati 40.428 casi, si è avuta una progressiva riduzione dell’incidenza con soli 1.341 casi registrati nel 2005.
L’uso sempre più esteso del vaccino MPR fra i nuovi nati ha portato al controllo della malattia in Italia, con la possibilità della sua eliminazione entro pochi anni.
Prevenzione
L’unico mezzo di prevenzione realmente efficace è la vaccinazione, che si effettua con un vaccino costituito da virus della parotite vivi e attenuati.
La vaccinazione è raccomandata all’età di 15 mesi circa con il vaccino trivalente MPR o con il tetravalente MPR-VZ, da somministrare per via sottocutanea.
Una seconda dose è raccomandata all’età di 5-6 anni.
Il vaccino è altamente efficace (più del 90% dei vaccinati sviluppa anticorpi) e sicuro.
La vaccinazione estensiva può portare all’eliminazione della malattia ed all’eradicazione del virus parotitico, purchè si superi la soglia del 95% dei vaccinati fra i nuovi nati.

martedì 5 giugno 2012


Rosolia

La rosolia è una malattia esantematica, contagiosa, a breve decorso e di modestissima gravità quando colpisce un organismo maturo. L’infezione in una donna gravida non immune è, invece, particolarmente grave se avviene nelle fasi iniziali della gravidanza, per i danni che può determinare all’embrione.
Il virus rubeolico, classificato nel genere Rubivirus della famiglia Togaviridae è un virus a RNA monocatenario di cui si conosce un solo tipo antigene.
Ha la capacità di emoagglutinare i globuli rossi di uccelli ed i globuli rossi umani di gruppo 0.
E’ poco resistente nell’ambiente e viene rapidamente inattivato dalla maggior parte dei disinfettanti chimici e dagli agenti fisici (UV, calore, essiccamento).
Introdotto per via aerea, il virus rubeolico si moltiplica dapprima nella mucosa nasofaringea ed in seguito nei linfonodi satelliti. Dopo 7-10 giorni dal contagio segue una fase viremica che persiste fino alla comparsa del rash esantematico e della risposta anticorpale specifica.
L’eliminazione del virus avviene principalmente per via faringea, ma esso può essere presente, inconstantemente, anche nel secreto congiuntivale, nelle urine e nelle feci.
Quando la prima infezione occorre nei primi 3-4 mesi di gravidanza la viremia determina frequentemente un’infezione placentare e la trasmissione all’embrione; ne derivano un ritardo e un disordine nell’organogenesi, con le possibilità sia di morte intrauterina dell’embrione o del feto oppure di nascita di un bambino portatore di malformazioni spesso gravi e invalidanti e di rosolia del neonato. La malattia post-natale inizia, dopo un periodo di incubazione di 14-21 giorni, con modica febbre, linfoadenopatie laterocervicali, retroauricolari e sottoccipitali e manifestazioni esantematiche di tipo eritematoso o maculopapuloso scarsamente tipiche.
La linfoadenopatia può precedere di diversi giorni l’esantema o manifestarsi anche senza esantema.
Le manifestazioni cutanee iniziano alla faccia e al collo per diffondersi rapidamente al tronco, alle braccia e alle gambe; durano in genere tra 2 e4 giorni.
Nella maggior parte dei casi la sintomatologia è lieve e solo in un modesto numero di casi si hanno complicazioni.
Le più comuni sono quelle articolari, neurologiche e trombocitopeniche.
Le complicazioni articolari, rare nel bambino, sono frequenti nell’età adulta (fino al 70% dopo i 30 anni); la sintomatologia varia da una fugace poliartralgia a vere e proprie forme di artrite che persistono mediamente per una settimana.
Tra le complicanze neurologiche, quella encefalitica è di gran lunga la più importante (letalità del 3-5%), ma la sua incidenza è senz’altro bassa (1 caso su 20.000-25.000).
La trombocitopenia determina sindromi emorragiche di vario grado; il suo decorso è di solito favorevole anche se prolungato (da 1 a 3 mesi).
La rosolia connatale, quando non si traduce nell’aborto o nel parto prematuro con feto morto, determina lesioni nervose (microcefalia, encefalite, malformazioni del SNC), dell’orecchio interno, dell’occhio (cataratta, glaucoma, retinite pigmentosa, microftalmia), dell’apparato cardiovascolare (pervietà del dotto arterioso, del setto interventricolare, del setto interatriale, stenosi valvolari, tetralogia di Fallot).
Non sono infrequenti neppure porpora neonatale, epatite con epatosplenomegalia, necrosi miocardiche, lesioni ossee, polmonite e nefrite interstiziale.
La rosolia contratta nei primi 3-4 mesi di gravidanza determina un incremento degli aborti e dei parti prematuri con feto morto; fra i bambini nati vivi, una frequenza di malformazioni nel 50% dei casi quando è contratta nel primo mese di gravidanza, nel 22-25% durante il secondo mese, nel 6-15% durante il terzo mese, nello 0,1% durante il quarto mese; dal quinto mese in avanti non si ha più alcun rischio di malformazioni.
Per quanto riguarda la rosolia connatale in assenza di vaccinazione il rischio di infezione fetale è globalmente stimato in 4-30 casi su 1000 nati vivi in periodi epidemici e in meno di 0,5 casi su 1000 in periodi interepidemici.
Epidemiologia
Le sorgenti di infezioni sono strettamente umane.
Il periodo di incubazione è più spesso di 16-18 giorni (da 14 fino a 23 giorni).
Il virus viene eliminato, nei casi clinicamente evidenti, da una decina di giorni e più prima dell’inizio della sintomatologia fino a 1-2 settimane dopo; il periodo di massima contagiosità, però, va da 2-3 giorni prima a 2-3 giorni dopo l’inizio dell’esantema.
La trasmissione avviene essenzialmente per via aerea, con contatto diretto o mediante goccioline di secrezioni nasofaringee per ciò che si riferisce all’infezione post-natale, per via transplacentare per la rosolia connatale.
Nella rosolia post-natale accanto alle forme conclamate sono importanti quali sorgenti di infezione le forme inapparenti. Il bambino che nasce affetto da rosolia è una temibile e duratura sorgente di infezione; l’eliminazione del virus, infatti, non cessa in genere prima del 6° mese e in alcuni casi può arrivare fino al 18° mese di vita. Data la presenza di forme inapparenti e la modesta gravità e tipicità dei casi manifesti, la reale diffusione dell’infezione rubeolica può essere valutata esattamente solo con metodiche siero-epidemiologiche.
Nei soggetti colpiti da una prima infezione la risposta immunitaria è testimoniata dalla comparsa di anticorpi specifici (svelabili mediante metodi immunoenzimatici) che durano praticamente tutta la vita.
In tali soggetti sono possibili reinfezioni che sono clinicamente inapparenti, non danno luogo a viremia, non comportano rischi embrionali nelle donne gravide e si traducono in definitiva in un rinforzo dell’immunità.
In assenza di vaccinazione di massa si ha una continua diffusione endemica con epidemie a intervalli di 6-9 anni; le età più colpite sono quelle da 5 a 9 anni e, in misura di poco inferiore, quelle da 10 a 14 anni.
In Italia 6.224 casi nel 2002 e successivamente, nel 2005, sono stati notificati soltanto 297 casi; anche se i dati derivanti dalle notifiche soffrono di una forte sottostima, sembra che le campagne di vaccinazione con il vaccino MPR siano efficaci per il controllo dell’infezione e per l’avvio dell’eliminazione della malattia.
Prevenzione
L’isolamento (ospedaliero o domiciliare) è praticamente privo di efficacia per diversi motivi:
- elevato numero di colpiti in periodo epidemico
- numerose sorgenti di infezione asintomatiche
- inizio della eliminazione del virus prima delle manifestazioni cliniche nei casi conclamati
L’isolamento domiciliare è necessario e va attuato durante tutto il primo anno di vita nei riguardi dei bambini nati con rosolia congenita.
Pressochè inutili sono le pratiche di disinfezione, per la labilità del virus; è sufficiente procedere al lavaggio in lavabiancheria ed in lavastoviglie della biancheria e delle stoviglie che sono venute a contatto con il malato.
L’accertamento diagnostico è di particolare valore per la diagnosi di infezione in gravidanza, nel caso di contatto con un malato di rosolia. Se la gestante si presenta all’osservazione medica subito dopo il contatto, la dimostrazione di anticorpi sierici testimonia per una precedente immunità e garantisce l’assenza di rischi per il prodotto del concepimento. La negatività sierologica, invece, impone un ulteriore dosaggio degli anticorpi nel sangue dopo circa 20 giorni.
La conversione sierologica indica l’avvenuta infezione ed il conseguente rischio di aborto o di embriopatia da valutare in rapporto all’epoca della gravidanza.
Se la donna gravida si presenta tardivamente all’osservazione medica (dopo 20 giorni o più) la negatività sierologica testimonia che il contagio non è avvenuto, mentre la positività sul siero non frazionato non è in grado di indicare se l’infezione è stata contratta in gravidanza oppure mesi o anni prima. Diventa in questo caso indispensabile praticare la ricerca degli anticorpi specifici sulla sola frazione IgM poiché questa classe di immunoglobuline persiste per un periodo massimo di 60-80 giorni dall’infezione.
La vaccinazione è l’unica pratica preventiva realmente efficace.
Essa va attuata con la somministrazione sottocutanea del vaccino costituito da virus rubeolici vivi ed attenuati, combinati con i virus vivi e attenuati del morbillo e della parotite nel vaccino trivalente MPR o con gli stessi e con i virus vivi ed attenuati della varicella nel vaccino tetravalente MPR-VZ.
Anche per la prevenzione della rosolia il vaccino trivalente o tetravalente ha la maggior efficacia quando è somministrato attorno ai 15 mesi di vita, con una dose di recupero a 5-6 anni.
La frequenza di sieroconversioni è compresa tra il 95 e il 100%, con produzione di anticorpi circolanti e di anticorpi secretori a livello delle mucose.
I titoli anticorpali raggiunti sono inferiori di 2 volte a quelli conseguenti a infezioni naturali, ma l’immunità è ugualmente di lunga durata anche in assenza di reinfezioni.
Le reinfezioni, peraltro, pur non provocando malattia clinica, viremia e quindi possibili danni fetali, funzionano come potenti richiami e concorrono a prolungare l’immunità per tutta la vita.
La vaccinazione antirubeolica ha ben poche controindicazioni, che non differiscono da quelle consuete delle altre vaccinazioni e più in particolare di quelle con virus attenuati : malattie acute febbrili, deficit immunitari congeniti o acquisiti
I virus rubeolici attenuati si replicano nel punto di inoculazione, dando luogo a una fase viremica, compaiono frequentemente ma fugacemente (per 1-2 giorni) nel secreto orofaringeo dopo 10-14 giorni dall’inoculazione; il virus così eliminato non è però trasmissibile ai contatti.
La vaccinazione può essere seguita da risentimenti transitori dei linfonodi in sede cervicale e occipitale e da artralgie.; queste ultime, rare nei bambini, si verificano più frequentemente negli adulti oltre i 25 anni, compaiono da 2 a 10 settimane dopo la vaccinazione e durano da un giorno a una settimana.
La vaccinazione è raccomandata non solo nell’infanzia ma anche a tutte le donne in età feconda
Le donne non vaccinate da bambine e dalla cui anamnesi non risulta la rosolia vanno vaccinate per risparmiare loro la preoccupazione di contrarre l’infezione durante una futura gravidanza, somministrando il vaccino senza bisogno di alcun accertamento dello stato immunitario.
Ad esse va raccomandato di non iniziare una gravidanza entro 28 giorni dalla vaccinazione; tuttavia, se una donna è stata inavvertitamente vaccinata in gravidanza, ciò non costituisce indicazione per l’aborto, giacchè non sono mai stati osservati danni all’embrione o al feto in tutti i casi in cui il vaccino è stato somministrato a donne che non sapevano di essere gravide.
Profilassi immunitaria passiva : di fronte a una infezione rubeolica in gravidanza è stato sperimentato l’impiego di immunoglobuline specifiche (2 ml di preparato ad alto titolo anticorpale).
Teoricamente, se la somministrazione è precoce ed avviene prima della viremia, dovrebbe essere evitata la infezione placentare e il danno embrionale.
In effetti, anche se è stato segnalato qualche risultato positivo, è certo che da donne così trattate sono nati bambini con rosolia congenita. Pertanto, le immunoglobuline sono prive di un sicuro effetto protettivo.

mercoledì 30 maggio 2012


Morbillo

Il morbillo è una malattia esantematica, acuta, altamente contagiosa, che si manifesta con tosse, coriza, febbre e con una eruzione maculo-papulosa che compare alcuni giorni dopo l’inizio della sintomatologia. Nella maggior parte dei casi l’evoluzione è rapida e con prognosi favorevole.
Tuttavia, non sono rare le complicanze, anche gravi, a carico dell’apparato respiratorio e del sistema nervoso centrale. La malattia è causata da un virus di cui si conosce un unico tipo antigenico.
Il virus del morbillo appartiene al genere Morbillivirus della famiglia Paramyxoviridae.
RNA a spirale singola, Ag strutturali H (emoagglutinina) e F (fusione) di natura glicoproteica, responsabili dell’adesione e della fusione del virus ai recettori della membrana cellulare e della penetrazione nella cellula ospite. E’ un virus notevolmente labile ed assai sensibile ai comuni disinfettanti fisici e chimici; è anche rapidamente inattivato da radiazioni ultraviolette e visibili.
L’uomo è l’ospite naturale, anche se possono essere infettati diversi primati che vanno incontro, peraltro, a forme morbose più attenuate e che non costituiscono un serbatoio naturale di infezione.
Il virus del morbillo penetra per via aerea e congiuntivale. Dopo essersi moltiplicato a livello delle mucose, esso arriva, tramite i linfonodi satelliti e la via linfatica, al torrente circolatorio.
La prima viremia è del tutto fugace e distribuisce il virus alle cellule del sistema reticolo-endoteliale. Dopo moltiplicazione all’interno di tali cellule le nuove progenie virali vengono liberate nel sangue. Si ha così la seconda, più intensa e prolungata, viremia, che corrisponde al periodo di invasione e termina all’apparire dell’esantema o al massimo 24-48 ore dopo.
In tale periodo il virus viene eliminato per via respiratoria e congiuntivale e si ritrova frequentemente nelle urine. Il rash compare contemporaneamente agli anticorpi specifici.
Il periodo di incubazione va da 8 a 14 giorni.
La sintomatologia clinica evolve in due fasi : quella di invasione e quella esantematica
- Il periodo di invasione dura nella maggior parte dei casi 3-4 giorni, ma può andare da 1 a 10 giorni. E’ caratterizzato da febbre alta, rinite, faringite e congiuntivite. Circa 24 ore prima dell’insorgenza dell’esantema compaiono le cosiddette macchie di Koplik, punti bianco-grigiastri della grandezza di granelli di sabbia circondati da un alone rosso, nella maggior parte dei casi sulla mucosa delle guance di fronte ai molari inferiori, ma a volte diffuse sull’intera mucosa delle guance e sulle gengive.
- L’esantema maculo-papuloso, di colore dal rosso chiaro al rosso vinoso, inizia dalle regioni retroauricolari e si diffonde in 2-3 giorni alla faccia, al collo, al tronco e agli arti.
E’ preceduto di regola da una parziale remissione della temperatura febbrile e coincide con una nuova elevazione (39-40°C). Nei casi non complicati, verso la quarta giornata dal suo inizio, l’esantema comincia a impallidire seguendo l’ordine di insorgenza.
Contemporaneamente inizia un rapido miglioramento delle condizioni generali e della flogosi respiratoria e congiuntivale. Alla scomparsa dell’esantema residua una desquamazione fine, furfuracea che di norma risparmia il palmo delle mani e le piante dei piedi.
Il morbillo può avere un decorso grave specie in bambini piccoli e convalescenti da altre malattie, con precoce e grave interessamento delle vie respiratorie o con grave iperpiressia; in questi casi l’esito è frequentemente letale.
Complicanze broncopneumoniche, direttamente provocate dal virus morbilloso (polmonite a cellule giganti) o da sovrainfezione batterica, sono frequenti (38-73 casi su 1000) e temibili specie nei primi 2 anni di vita. Pure frequente risulta l’otite media (26-89 casi su 1000).
Meno frequente è l’encefalite acuta (1 caso su 1000-2000) che insorge durante l’acme o alla fine del periodo esantematico e si presenta con decorso da mite a molto grave, nel qual caso la letalità è elevata, del 20-25% e lascia lesioni permanenti in oltre un terzo di coloro che sopravvivono.
Ancora meno frequente, ma estremamete grave è una seconda forma di encefalite, la panencefalite sclerosante subacuta (0,5-3 casi su 1 milione), che inizia diversi anni (in media 7) dopo la malattia morbillosa ed è caratterizzata dalla perdita progressiva e inarrestabile delle funzioni mentali e motorie ed evolve invariabilmente verso la morte.
La sintomatologia clinica del morbillo è notevolmente tipica e la diagnosi su tale base è confortata nella maggior parte dei casi da criteri epidemiologici.
Quando tuttavia sia opportuno avere riscontri di laboratorio si può procedere con l’isolamento e l’identificazione del virus in colture primarie di rene umano o di rene di scimmia o con la dimostrazione di una significativa conversione sierologica mediante la ricerca delle IgM specifiche ed il dosaggio delle IgG in due campioni di siero prelevati successivamente.
Epidemiologia
Le sole sorgenti di infezione sono rappresentate dai malati che eliminano il virus nella fase di invasione e, a volte, nelle prime 24-48 ore del periodo esantematico.
Non si conoscono portatori sani, convalescenti o cronici, né serbatoi animali del virus.
La trasmissione avviene fondamentalmente per via aerea.
La contagiosità della malattia è molto elevata : in ambiente familiare o in comunità chiuse, i casi secondari all’introduzione del primo interessano dal 90 al 99% dei recettivi.
Dopo la malattia residua una immunità permanente.
In Italia, prima della vaccinazione estensiva, venivano notificati da 20.000 a 90.000 casi di morbillo l’anno contro i 500.000 che mediamente si verificavano in realtà. Un picco epidemico con 18.020 casi notificati si è avuto nel 2002. Nel 2005 vi è stato il più basso numero di notifiche con soli 108 casi (anche se i dati derivanti dalle notifiche soffrono di una forte sottostima).
Attualmente l’incidenza è in progressiva diminuzione in conseguenza dell’aumento della copertura vaccinale dei nuovi nati, anche se recrudescenze epidemiche si verificano tra i non vaccinati.
In assenza di larga copertura vaccinale, il maggior numero dei casi si manifesta nel gruppo di età 3-10 anni.
Episodi epidemici compaiono ogni anno, ma ogni 2-4 anni si manifestano esacerbazioni epidemiche o grandi epidemie in rapporto al fatto che in tali intervalli si accumulano più elevati numeri di recettivi.
La letalità del morbillo nei paesi industrializzati è modesta, da 0,1 a 1 per 10.000 casi di malattia; nei paesi in via di sviluppo raggiunge valori anche 100 volte superiori.
Prevenzione
La prevenzione del morbillo consiste essenzialmente nella vaccinazione. Il vaccino determina una immunità di lunga durata. L’eradicazione è possibile perché il virus del morbillo è antigenicamente stabile, si trasmette solo per contagio interumano e non ha serbatoi animali.
Il vaccino è costituito da virus del morbillo vivi ed attenuati.
Esso è combinato con i vaccini contro la parotite e la rosolia (vaccino trivalente MPR) e contro la varicella (vaccino tetravalente MPR-VZ), da somministrare per via sottocutanea preferibilmente attorno al 15° mese per avere una buona risposta immunitaria; una seconda dose di vaccino combinato va somministrata a 5-6 anni di età per il recupero dei bambini che non si sono immunizzati.
Le reazioni secondarie sono di lieve entità e di breve durata : febbre della durata di 1-2 giorni nel 5-15% dei vaccinati, congiuntivite e rash lievissimo e fugace in circa il 5%.
Quando la vaccinazione viene correttamente applicata al 15° mese di vita più del 95% dei vaccinati sviluppa anticorpi protettivi.
Somministrando il vaccino più precocemente esiste la possibilità che una residua immunità di origine materna ne impedisca l’attecchimento.
Nei vaccinati, a distanza di tempo dalla vaccinazione, sono possibili reinfezioni che però decorrono in forma asintomatica e si traducono in un rinforzo dell’immunità.
Anche in assenza di reinfezioni, tuttavia, l’immunità testimoniata dalla persistenza di anticorpi, sia pure a titoli più bassi di quelli conseguenti a malattia, sembra durare almeno 15 anni.
Le poche controindicazioni alla vaccinazione sono quelle consuete quando si somministrano virus vivi e sono costituite da infezioni acute, gravidanza, deficit dell’immunità cellulo-mediata, trattamenti immunosoppressivi, leucemia in fase acuta.
L’uso di vaccini trivalenti contro morbillo, parotite e rosolia (MPR) e di vaccini tetravalenti comprendenti anche il virus attenuato della varicella-zoster consente di attuare efficaci strategie per la prevenzione contemporanea di queste malattie.
Esse devono mirare ad ottenere la copertura immunitaria di almeno il 95% della popolazione, così da creare una “immunità di massa” sufficiente ad impedire la circolazione degli agenti virali e quindi a determinare l’estinzione nella popolazione con conseguente protezione anche dei non vaccinati.
Profilassi immunitaria passiva: ai bambini non vaccinati e con anamnesi negativa che siano stati in contatto con ammalati di morbillo è utile somministrare immunoglobuline normali (0,25 ml/Kg di peso corporeo) o antimorbillo (125-250 UI) entro il 5° giorno dal contatto.
è possibile anche attenuare il decorso clinico della malattia nella maggior parte dei casi con la somministrazione di dosi ridotte di immunoglobuline (0,04 ml/Kg di peso).

venerdì 25 maggio 2012


Infezioni da Legionella

Famiglia delle legionellaceae, genere legionella. Le specie di L. pneumophila includono almeno 14 sierogruppi; i sierogruppi 1,4 e 6 sono frequentemente implicati nelle infezioni umane.
Sono bacilli Gram negativi aerobi
L’ambiente naturale per L. pneumophila è l’acqua, inclusi i laghi e i corsi d’acqua, serbatoi d’acqua costruiti dall’uomo (es. sistemi di distribuzione dell’acqua, impianti di condizionamento).
Fattori che possono facilitare la colonizzazione e la moltiplicazione delle legionelle includono le temperature elevate (25-42°C), la stagnazione, la presenza di depositi e di sedimenti.
Le modalità di trasmissione di Legionella all’uomo sono varie: aerosol, aspirazione (bere acqua contaminata) e instillazione diretta durante manovre invasive.
Prevenzione : disinfezione delle riserve idriche (surriscaldamento, ionizzazione con rame-argento).
Clinica:
- Febbre di Pontiac
Si tratta di una malattia acuta, a risoluzione spontanea, simil-influenzale, con periodo di incubazione di 24-48 ore.
Febbre, malessere generale, cefalea, astenia, e mialgie sono i sintomi più frequenti. Altri sintomi includono tosse, nausea, dolori addominali, diarrea, artralgie.
Una guarigione completa si realizza nel giro di pochi giorni senza alcuna terapia antibiotica.
- Malattia (polmonite) dei legionari
Periodo di incubazione di 2-10 giorni.
I sintomi e i segni clinici possono variare da una tosse moderata con febbre non elevata a uno stato stuporoso con infiltrati polmonari diffusi e scompenso a carico di più organi.
Sintomi non specifici come febbre, malessere, astenia, anoressia e cefalea sono rilevabili nelle fasi precoci di malattia.
Sintomi a carico dell’apparato gastrointestinale sono spesso evidenti : dolori addominali, nausea, vomito, diarrea
Diagnosi
- Esame microscopico diretto con colorazione di Gram
- Test di immunofluorescenza diretta
- Coltura
- Ricerca degli anticorpi : sieri prelevati sia in fase acuta che in convalescenza; un incremento del titolo di 4 volte è ritenuto diagnostico
- Ricerca di antigeni : saggio per la ricerca dell’antigene solubile di Legionella nelle urine
- PCR.

domenica 20 maggio 2012


Infezioni da Coronavirus e SARS

E’ stato calcolato che 2/3 dei casi di malattie respiratorie acute sono causate da virus.
Più di 200 virus antigenicamente distinti fra di loro e appartenenti a 9 diversi generi sono stati segnalati come responsabili. La quota maggiore si registra nei bambini fino a 6 anni.
La morbilità secondaria a queste infezioni è causa della perdita del 30-50% del tempo lavorativo degli adulti e del 60-80% del tempo scolastico dei bambini.
Le malattie causate dai virus respiratori sono suddivise in numerose sindromi, quali il “raffreddore comune”, la faringite,, la laringo-tracheobronchite o “croup”, la tracheite, la bronchite, la bronchiolite e la polmonite.
I coronavirus sono virus a singolo filamento di RNA. Sono causa di infezioni a carico dell’uomo appartengono ai gruppi 1, 2. Il gruppo 3 non causa infezioni nell’uomo.
Il coronavirus associato alla SARS (SARS-CoV) sembra appartenere a un nuovo e distinto gruppo. A tutt’oggi, i ceppi di SARS-CoV che sono stati completamente sequenziati mostrano solo minime variazioni.
L’epidemia della malattia associata a coronavirus, nota come SARS, è apparentemente iniziata nella provincia cinese del Guangdong nel novembre 2002 e sembra essersi originata dal contatto tra uomo e animali semidomestici quali lo zibetto e il procione.
Tali animali sono commercializzati come prelibatezze in tali aree e ospitano coronavirus affini al SARS-CoV.
Tra il 16 novembre 2002 w il 28 febbraio 2003, sono stati notificati in Guangdong 792 casi di probabile SARS. Un medico di Guangdong recatosi a Hong Kong per far visita ai familiari 5 giorni dopo l’insorgenza della patologia è stato identificato come colui che ha introdotto l’infezione a Hong Kong.
Quasi contemporaneamente venivano segnalati casi a Singapore, in Thailandia, in Vietnam e a Toronto, inizialmente in viaggiatori provenienti da Hong Kong o da Guangdong.
In conclusione, 8.422 casi sono stati identificati dall’OMS in 28 Paesi di Asia, Europa e Nord America, sebbene circa il 90% di essi si siano comunque verificati in Cina e a Hong Kong.
Il tasso di letalità è stato variabile nell’ambito del fenomeno epidemico, con un valore medio intorno all’11%.
I meccanismi di trasmissione della SARS non sono completamente noti.
Alcune casistiche suggeriscono che la diffusione possa verificarsi per aerosol dia di piccole sia di grosse particelle e forse anche per via fecale-orale.
La patogenesi della SARS è quella di una malattia sistemica con infezione delle cellule del tratto respiratorio, ma con virus identificabile anche nel sangue, nelle urine e nelle feci (fino a 2 mesi).
Il virus persiste nel tratto respiratorio per 2-3 settimane, con concentrazione massima a circa 10 giorni dall’esordio dei sintomi sistemici.
Dopo un periodo di incubazione che generalmente dura da 2 a 7 giorni (intervallo : 1-10 giorni), la SARS generalmente esordisce come malattia sistemica caratterizzata da febbre, spesso accompagnata da malessere, cefalea e mialgie, cui seguono dopo 1-2 giorni tosse non produttiva e dispnea. Circa il 25% dei pazienti presenta diarrea.
Nei casi gravi la funzione respiratoria può peggiorare durante la seconda settimana di malattia e progredire fino a un quadro di franca sindrome da distress respiratorio dell’adulto (ARDS), accompagnata da insufficienza multiorgano.
Fattori di rischio per la progressione sfavorevole della malattia sono un’età superiore a 50 anni e comorbilità (malattie cardiovascolari, diabete, epatite), mentre l’infezione sembra essere più mite nei bambini.
Diagnosi: colture, PCR con trascrittasi inversa (RT-PCR) su campioni del tratto respiratorio, sangue, urine, feci, anticorpi sierici
Le terapie di supporto per mantenere la funzione respiratoria e di altri organi sono il cardine del trattamento.
Prevenzione
Sono state effettuate restrizioni dei viaggi e imposte misure di quarantena in alcune zone
tutte le restrizioni ai viaggi sono state sospese dopo 30 giorni (tre volte il periodo di incubazione stimato per la SARS) dall’ultima notifica di un nuovo caso (febbraio 2004).
Non si sa se e quando la SARS possa riemergere.

martedì 15 maggio 2012


Vaiolo

Il vaiolo è la prima malattia infettiva la cui eradicazione è stata ottenuta con la prevenzione vaccinale applicata su scala mondiale.
Nel 1979 l’OMS dichiarava ufficialmente l’eradicazione della malattia nel mondo e procedeva alla distruzione dei campioni di virus del vaiolo conservati nei laboratori, ad eccezione di due (Atlanta e Mosca).
Il vaiolo era una malattia con frequenti riaccensioni epidemiche spesso a carattere pandemico.
Il virus del vaiolo appartiene al gruppo dei Poxvirus.
L’nfezione avveniva attraverso le mucose delle vie respiratorie ed orale e la via cutanea, per contatto con le secrezioni respiratorie e con le lesioni cutanee del malato o mediante materiale e oggetti contaminati.
Il virus si diffondeva per via linfatica fino a raggiungere il circolo ematico, provocando una viremia intensa. Dopo un periodo di incubazione di 10-14 giorni, la malattia iniziava con una fase preeruttiva clinicamente non differenziabile da altre infezioni acute, cui faceva seguito, dopo 2-4 giorni, il periodo eruttivo con la comparsa del classico esantema vaioloso.
Questo si manifestava dapprima sulla faccia, quindi sul corpo e sugli arti, passando attraverso gli stadi successivi di macula, papula, vescicola, pustola che comparivano ed evolvevano simultaneamente. La guarigione avveniva con la formazione e la caduta delle croste alla fine della 3°-4° settimana.
La letalità media nei soggetti non vaccinati era del 15-40%.
L’uomo era l’unico serbatoio d’infezione; non esisteva lo stato di portatore sano.
La prevenzione consisteva principalmente nell’impiego della vaccinoprofilassi.
La vaccinazione veniva praticata con virus vivo inoculato per scarificazione con ago a due punte sulla cute all’altezza del deltoide. La reazione vaccinale era locale e consisteva nella comparsa dopo una settimana circa di una vescicola che spesso evolveva in pustola, con formazione quindi della crosta e caduta con esito cicatriziale permanente.
Le complicanze erano rappresentate dalla vaccinia generalizzata (lesioni cutanee multiple e diffuse), dall’eczema vaccinico e dall’encefalite, spesso mortale, che si manifestava in media ogni 70.000-200.000 somministrazioni di vaccino.

giovedì 10 maggio 2012


Poliomielite

La poliomielite è una malattia infettiva acuta e contagiosa che nella manifestazione clinica tipica si presenta con paralisi flaccide asimmetriche, più spesso ad un arto inferiore.
Per lungo tempo essa è stata diffusa in tutto il mondo causando morte ed invalidità soprattutto fra i bambini, tanto da essere comunemente denominata “paralisi infantile”. Grazie alla vaccinazione di massa nella prima infanzia, l’infezione è oggi eradicata in Europa, nelle Americhe, in Australia e nel Sud-Est Asiatico, mentre resta ancora endemica in alcune zone dell’Asia e dell’Africa.
I virus poliomielitici, poliovirus, fanno parte degli enterovirus e sono suddivisi in tre tipi sierologici in base alle diverse caratteristiche antigeniche : tipo 1, tipo 2, tipo 3.
Essi sono patogeni esclusivi dell’uomo e solo in condizioni sperimentali possono infettare lo scimpanzè ed altri primati. Pertanto, non esistono in natura serbatoi animali di poliovirus.
Ciò costituisce un vantaggio ai fini della strategia di eradicazione globale basata sulla vaccinazione estesa a tutta la popolazione mondiale.
I poliovirus penetrano nell’organismo per via orale e si moltiplicano nelle formazioni linfatiche del faringe e dell’intestino tenue : anello di Waldeier (tonsille e adenoidi) e placche di Peyer.
Da qui possono raggiungere i linfonodi satelliti ed invadere il circolo sanguigno.
Abitualmente, l’infezione si blocca a livello della mucosa o del sistema reticolo-endoteliale.
In alcuni casi i poliovirus possono superare la barriera emato-encefalica e raggiungere le meningi ed il tessuto nervoso centrale, in cui si localizzano di preferenza a livello delle corna anteriori del midollo spinale o a livello bulbare.
Nella fase acuta, la sintomatologia paralitica è determinata sia dall’effetto citopatico conseguente alla moltiplicazione all’interno delle cellule nervose sia dall’edema infiammatorio.
L’effetto citopatico dà luogo alla degenerazione dei motoneuroni, con conseguente paralisi flaccida irreversibile dei muscoli da essi innervati. L’edema infiammatorio determina sofferenza dei filamenti nervosi per compressione, che cessa al regredire dello stato edematoso sicchè si può avere un recupero parziale delle paralisi e delle altre funzioni nervose.
A seconda del livello di estensione dell’infezione (dall’epitelio delle mucose al tessuto linfatico, alle meningi ed al sistema nervoso centrale), si possono avere diverse manifestazioni cliniche:
- infezione asintomatica
- affezione febbrile con sintomi infiammatori a carico del faringe o con diarrea
- meningite a liquor limpido, con rapida evoluzione verso la guarigione
- malattia paralitica, con paralisi flaccide agli arti, nelle forme spinali, o ad altri distretti muscolari, fra cui i muscoli respiratori, nelle forme bulbari e bulbo-spinali in cui gli esiti sono particolarmente gravi e con elevata letalità
Diagnosi
Tutti i casi di paralisi flaccide devono essere segnalate immediatamente al servizio di igiene ed epidemiologia delle aziende sanitarie locali per accertare se sono determinate da poliovirus o da altre cause. L’accurata e tempestiva segnalazione è di fondamentale importanza ai fini della sorveglianza epidemiologica nell’attuale fase di eradicazione dell’infezione nel nostro paese, per individuare eventuali virus importati da paesi con endemia residua e impedirne la diffusione nella nostra popolazione.
Gli accertamenti di laboratorio più importanti consistono nella ricerca dei tre poliovirus nelle secrezioni delle prime vie aeree e nelle feci.
A tal fine vanno prelevati almeno due, e possibilmente più di due, campioni di essudato faringeo mediante tamponi sterili ed altrettanti campioni di feci.
Vanno effettuati anche prelievi di sangue in fase acuta e durante la convalescenza per la titolazione degli anticorpi sierici.
Epidemiologia
I poliovirus sono patogeni esclusivi dell’uomo e, pertanto, la loro trasmissione è interumana.
Sorgenti di infezione sono i malati e, soprattutto, i portatori. La porta di ingresso dei virus è attraverso la bocca e le prime vie aeree, mentre l’espulsione nell’ambiente avviene con le feci e con le secrezioni faringee.
Pertanto, la trasmissione dell’infezione avviene sia per via fecale-orale sia per via aerea.
L’espulsione dei virus inizia durante il periodo di incubazione e persiste per circa una settimana dopo l’inizio della sintomatologia con le secrezioni faringee e per diverse settimane, talvolta alcuni mesi, con le feci.
La possibilità di trasmissione dei virus è molto alta, specialmente in ambienti affollati ed in condizioni di basso livello igienico.
Il periodo di incubazione nelle forme non paralitiche è di 3-6 gioni, mentre nelle forme paralitiche è di 7-21 gioni prima dell’inizio della paralisi.
In popolazioni con basso livello igienico-sanitario ed in assenza di vaccinazione, l’infezione avviene nei primi anni di vita per l’intensa circolazione dei virus.
Nei paesi con elevato standard di igiene, l’infezione tendeva a spostarsi verso le età successive per il progressivo diradamento della circolazione dei virus.
Il rischio di paralisi varia in rapporto all’età di infezione : nei primi anni di vita è di 1 caso di paralisi ogni 1.000-2.000 casi di infezione, mentre negli adulti è di 1/75.
Prima della vaccinazione estesa a tutti i nuovi nati, ogni anno in Italia si registravano da 3.000 a 8.000 casi di poliomielite paralitica.
Dopo l’introduzione, nel 1964, della vaccinazione con il vaccino vivo attenuato di Sabin, il numero di casi si è rapidamente ridotto e gli ultimi due casi autoctoni sono stati registrati nel 1982, mentre l’ultimo caso di importazione si è avuto nel 1988.
Anche a livello mondiale il programma di vaccinazione estensiva elaborato dall’OMS per l’eradicazione planetaria della poliomielite ha dato risultati straordinari.
Nel 2006 la poliomielite era ancora endemica in soli quattro paesi (Nigeria, India, Afghanistan, Pakistan).
Prevenzione
La strategia vincente contro la poliomielite è stata la vaccinazione di massa estesa a tutta la popolazione mondiale.
In Italia, dichiarata esente da poliomielite nel 2002, la vaccinazione antipolio con il vaccino a virus vivi attenuati di Sabin fu iniziata nel 1964 e fu resa obbligatoria nel 1966 per tutti i nuovi nati.
Dal 2002, il vaccino di Sabin è stato sostituito con il vaccino a virus uccisi di Salk.
Il vaccino di Sabin è costituito da virus di tipo 1, di tipo 2 e di tipo 3 che sono stati attenuati mediante ripetuti passaggi e selezioni in colture cellulari, in modo da ottenere dei mutanti privi di neurotropismo e, dunque, incapaci di arrivare al sistema nervoso centrale e di provocare le lesioni responsabili delle paralisi.
Essi si somministrano per via orale e, come i poliovirus selvaggi, si riproducono nei tessuti linfatici della mucosa del faringe (anello di Waldeier), della mucosa intestinale (placche di Peyer) e nei linfonodi satelliti, stimolando una immunità di lunga durata sia a livello mucosale si generale per la produzione di anticorpi circolanti.
Il vaccino vivo orale di Sabin (indicato con l’acronimo OPV da Oral Poliovirus Vaccine) è stato adottato inizialmente in Italia, come in molti altri paesi, sia per la facilità di somministrazione sia per la sua elevata efficacia nell’interrompere la circolazione dei virus selvaggi.
La somministrazione orale, infatti, riscuote il gradimento dei bambini e dei genitori, mentre l’immunità mucosale impedisce l’attecchimento di virus selvaggi nel faringe e nell’intestino, sicchè i bambini vaccinati sono protetti non solo dalla malattia ma anche dall’infezione e costituiscono una barriera alla diffusione dei poliovirus.
La scheda di vaccinazione in Italia prevedeva la somministrazione orale di quattro dosi di vaccino trivalente (virus vivi attenuati dei tipi sierologici 1,2 e 3), contemporaneamente all’inoculazione parenterale degli altri vaccini obbligatori, al terzo mese, al quarto-quinto mese, al decimo-dodicesimo mese ed al terzo anno di vita.
Eccezionalmente, l’OPV può causare paralisi flaccide per il recupero della neuropatogenicità; benchè siano, questi, eventi estremamente rari, che si verificano in 1 caso ogni 2.400.000 dosi somministrate, sono diventati inaccettabili dopo che vi è stata la certezza della scomparsa dei poliovirus selvaggi dal nostro paese, sicchè nel 2002 l’OPV è stato sostituito con il vaccino a virus inattivati (uccisi) di Salk.
Il vaccino di Salk è costituito da virus di tipo 1, di tipo 2 e di tipo 3 inattivati (uccisi) con formalina. Esso è del tutto privo di effetti indesiderati e conferisce una buona protezione, anche se è molto meno efficace dell’OPV nel conferire l’immunità mucosale, sicchè la persona vaccinata è protetta dalla malattia grazie agli anticorpi circolanti ma può contrarre l’infezione a livello delle mucose e può diffondere poliovirus nell’ambiente.
Inoltre, esso deve essere somministrato per via intramuscolare (è indicato con l’acronimo IPV da Intramuscular Poliovirus Vaccine).
L’IPV è combinato con gli altri vaccini dell’infanzia in preparati esavalenti (DTPa-HB-IPV-Hib) che contengono anche il tossoide difterico, il tossoide tetanico, il vaccino antipertosse ad antigeni purificati (tossoide pertussico, emoagglutinina filamentosa, pertactina), l’antigene di superficie del virus dell’epatite B ed il polisaccaride coniugato dell’Haemophilus influenzae di tipo b.
Ovviamente, l’IPV viene somministrato secondo lo stesso calendario previsto per gli altri vaccini con cui è combinato e cioè, al terzo mese, al quarto-quinto mese ed all’undicesimo-dodicesimo mese.
Una dose di richiamo viene praticata nell’età scolare, al quinto-sesto anno di vita, con vaccino tetravalente DTPa-IPV.

sabato 5 maggio 2012


Tetano

Il tetano è una malattia tossi-infettiva, acuta e non contagiosa, determinata dall’accidentale penetrazione nell’organismo, per lo più attraverso lesioni traumatiche, di un bacillo sporigeno ed anaerobio, il Clostridium tetani. Il bacillo rimane localizzato nel punto di penetrazione e la sua azione si esplica esclusivamente attraverso la produzione di una neurotossina assai attiva, responsabile del quadro clinico.
Tra le malattie infettive, il tetano ha una delle letalità più elevate e continua a costituire per molti Paesi un serio problema di sanità pubblica. In Italia soltanto dopo il 1965, con l’avvento della prima fase della vaccinazione obbligatoria, ha segnato un costante regresso.
L’agente eziologico è il Clostridium tetani, bacillo anaerobio obbligato e sporigeno appartenente al genere Clostridium, che fa parte della famiglia delle Bacillaceae. E’ mobile per la presenza di ciglia ed è Gram-positivo. La forma vegetativa vive abitualmente nell’intestino degli animali e dell’uomo ed è scarsamente resistente nell’ambiente.
Al contrario, le spore resistono a lungo nell’ambiente esterno dove possono sopravvivere per anni; resistono anche alla ebollizione prolungata ed ai comuni disinfettanti se impiegati a basse concentrazioni e per tempi brevi.
Sono inattivate dalle alte temperature (autoclave, stufa a secco) e da un prolungato contatto (per molte ore) con formalina, cloro ecc. alle concentrazioni d’uso.
Il bacillo tetanico nella fase vegetativa ha la proprietà di produrre una esotossina (tetanospasmina) che è l’unica responsabile di tutte le manifestazioni della malattia.
L’esotossina tetanica possiede una notevole attività antigenica ed una elevatissima tossicità, inferiore solo a quella della tossina botulinica; ha un tropismo elettivo per il sistema nervoso centrale ed in particolare per le corna anteriori del midollo spinale e i nuclei motori del tronco encefalico, dove viene rapidamente e irreversibilmente fissata.
La tossina tetanica, di cui si conosce un solo tipo antigene, dà luogo alla comparsa di anticorpi antitossici che, è importante ricordare, non superano la barriera ematoencefalica e quindi non neutralizzano la tossina fissata sul tessuto nervoso, ma solo quella che si libera nel focolaio di infezione.
Le spore, penetrate attraverso lesioni anche lievi della cute, restano localizzate nel punto di penetrazione senza diffondersi nell’organismo.
Se sussistono le condizioni per un abbassamento del potenziale di ossido-riduzione (presenza di batteri fortemente aerobi, ferite profonde ed anfrattuose, necrosi tissutali ecc.) le spore germinano dando origine alle forme vegetative. Queste si moltiplicano attivamente senza provocare flogosi locale ed elaborano la tossina, che raggiunge il sistema nervoso centrale con due modalità:
- per via neurale, adsorbendosi alle placche terminali dei nervi motori e risalendo quindi lungo il cilindrasse dei relativi neuroni fino a raggiungere le corna anteriori del midollo spinale
- per via linfoematica
La sua azione si eplica in maniera molto simile a quella della stricnina, bloccando le sinapsi inibitorie, per cui si ha un passaggio ininterrotto di impulsi al motoneurone e, di conseguenza, uno stato di contrazione continua delle fibre muscolari (spasmo muscolare) da esso innervate.
Il periodo di incubazione può presentare variazioni notevoli; per lo più è di 6-15 giorni, ma può variare da 1-2 giorni fino a parecchie settimane; in genere, quanto più breve è il periodo di incubazione, tanto più grave risulta il decorso della malattia.
La sintomatologia inizia di solito senza alcun segno prodromico, con contrattura dolorosa dei muscoli masticatori (trisma) che ben presto si estende ad altri gruppi muscolari del capo (riso sardonico), delle logge vertebrali, degli arti con rigidità diffusa e comparsa frequente di opistotono. La morte può sopraggiungere per asfissia da spasmo dei muscoli respiratori.
A seconda del decorso si distinguono forme acutissime, con manifestazioni già dopo 24-48 ore dalla ferita, febbre elevata e morte dopo alcune ore; forme acute della durata di 1-2 settimane e con esito incerto; forme recidivanti e forme croniche, per lo più con esito favorevole.
La prognosi è sempre grave, la letalità notevolmente alta (40-60%).
Si conoscono diversi tipi di tetano, a seconda dell’evento che ne è all’origine : tetano traumatico, tetano chirurgico, tetano puerperale e post-abortivo (infezione dell’utero durante il parto o in seguito a pratiche abortive).
Il più grave è il tetano neonatale, ancora presente nei paesi in via di sviluppo; esso è dovuto alla contaminazione del cordone ombelicale con spore presenti nell’ambiente, si manifesta nel neonato dopo 7-8 giorni dalla nascita ed ha una letalità molto elevata.
In alcune zone degli Stati Uniti è stata descritta una forma clinica particolare, il tetano del lattante, con manifestazioni attenuate e decorso cronico; essa è causata dalla germinazione in sede intestinale di spore tetaniche ingerite con miele contaminato.
Diagnosi
L’accertamento diagnostico del tetano non viene abitualmente richiesto, stante che la sintomatologia clinica è in genere chiara e non presenta difficoltà diagnostiche.
Può essere utile per motivi medico-legali, quando si debba stabilire la porta di ingresso dell’infezione (tetano chirurgico, puerperale, neonatale).
Si esegue sul materiale prelevato in corrispondenza della ferita (pus, croste ecc.) mediante l’esame microscopico e la ricerca colturale seguita dalla prova biologica per la dimostrazione della tossina.
Epidemiologia
Il tetano è una malattia a carattere sporadico, diffusa in tutto il mondo, con maggiore frequenza nelle regioni tropicali e nei paesi in via di sviluppo, dove continua a far registrare una media annuale di un milione di morti.
In Italia, l’incidenza della malattia ha presentato una costante riduzione dopo il 1965-68 in concomitanza con i due momenti della vaccinazione obbligatoria.
I casi notificati, che erano più di 1.000 ogni anno prima dell’introduzione della vaccinazione obbligatoria, si sono ridotti ad una media di 100 l’anno nell’ultimo decennio del secolo scorso.
Più recentemente si sono ridotti a meno di 70 l’anno.
I casi residui sono dovuti al fatto che, a differenza di quanto avviene in altri paesi, alla vaccinazione di base spesso non seguono con regolarità quelle periodiche di richiamo, che assicurano una protezione immunitaria per tutta la vita.
A sostegno di ciò sta l’osservazione che nessun caso di tetano si ha nei bambini e negli adolescenti, mentre il 70% dei casi si ha oggi tra le persone non vaccinate di età superiore a 65 anni. Tra le varie forme di tetano, quella presente nei paesi sviluppati è il tetano post-traumatico, mentre nelle aree in via di sviluppo sono ancora frequenti il tetano neonatale, per le pratiche primitive di taglio del cordone ombelicale e di medicazione della ferita con materiali contaminati, ed il tetano post-parto e post-aborto.
La malattia è molto meno frequente di quanto ci si potrebbe attendere considerando la larga diffusione di spore tetaniche nell’ambiente; ciò dipende dalle particolari condizioni favorevoli richieste per la germinazione delle spore.
Prevenzione
L’immunizzazione attiva di tutta la popolazione ed il mantenimento dello stato immunitario con richiami vaccinali ogni 10 anni sono gli interventi più efficaci per ridurre a zero il rischio di tetano.
La notificazione è obbligatoria e serve in casi particolari (tetano chirurgico, neonatale, post-abortivo), per avviare l’inchiesta epidemiologica necessaria per individuare e rimuovere i fattori determinanti (es. autoclavi insufficienti, strumentario medico e chirurgico contaminato) e per fini medico-legali.
Non è necessario disporre l’isolamento del malato, giacchè il tetano non è una malattia contagiosa. E’ norma ovvia e inderogabile l’uso di strumentario e materiale sterili nella pratica medica e chirurgica. Lo strumentario ed il materiale di medicazione impiegato per il trattamento dell’eventuale lesione traumatica infetta devono essere sterilizzati in autoclave per evitare l’inoculazione di spore ad altri malati.
Attualmente la vaccinazione antitetanica è obbligatoria per :
- tutti i nuovi nati
- lavoratori esposti ai rischi dell’infezione tetanica (lavoratori agricoli, pastori, allevatori di bestiame, stallieri, fantini, conciatori, spazzini, operai e manovali addetti alla edilizia, operai e manovali delle ferrovie. Asfaltisti, straccivendoli, operai addetti alla manipolazione dei rifiuti solidi, metallurgici e metalmeccanici, operai addetti alla fabbricazione della carta e dei cartoni, lavoratori del legno, minatori)
- sportivi all’atto dell’affiliazione alle federazioni del CONI
Inoltre, la vaccinazione è consigliata alle gestanti tra il 5° e l’8° mese di gravidanza, per la prevenzione del tetano neonatale e puerperale, considerando che gli anticorpi antitossici attraversano la placenta e conferiscono immunità passiva al feto
Il vaccino antitetanico è costituito dalla anatossina (o tossoide), ottenuta trattando la tossina con lo 0,4% di formolo e lasciando la mescolanza a 38°C per 40 giorni; l’anatossina tetanica può essere adoperata fluida o adsorbita a idrossido o fosfato di alluminio; quest’ultima è da preferirsi per il più elevato potere immunogeno.
Lo schema vaccinale per gli adulti prevede una vaccinazione di base con una prima dose seguita da altre due dosi dopo 1-2 e 6-12 mesi di intervallo e vaccinazioni di richiamo con una sola dose ogni 10 anni.
La vaccinazione di base dei nuovi nati viene praticata con tre inoculazioni di anatossina tetanica combinata con gli altri vaccini dell’infanzia; attualmente è di uso comune il vaccino esavalente contro difterite, tetano, pertosse, poliomilelite, epatite B, Haemophilus influenzae di tipo b, che si somministra nel terzo mese di vita, al quarto-quinto mese ed all’undicesimo-dodicesimo mese.
Una dose di richiamo viene somministrata al quinto-sesto anno di vita, utilizzando un vaccino tetravalente DTPa-IPV in cui l’anatossina tetanica è combinata con l’anatossina difterica, i virus polio uccisi ed il vaccino antipertosse ad antigeni purificati.
Le rivaccinazioni, dopo la quarta dose all’inizio della scuola, vanno eseguite a periodi intervallati di 10 anni, mediante somministrazione di anatossina tetanica, eventualmente in combinazione con l’anatossina difterica.
La risposta anticorpale dopo la prima dose è piuttosto scarsa e compare solo in una parte dei vaccinati, ma con la seconda si manifesta quasi nel 100% dei soggetti e con titoli sufficienti a mantenere lo stato di protezione; la terza dose rafforza notevolmente le concentrazioni sieriche di antitossina, che possono rimanere sui livelli protettivi anche fino ad oltre 8-10 anni.
Le rivaccinazioni, che consentono di mantenere costante nel tempo il livello anticorpale protettivo raggiunto con le inoculazioni di base, sono di notevole importanza, data la diffusione nell’ambiente del bacillo tetanico ed il conseguente rischio di infezione e per il fatto che spesso il trattamento d’urgenza non viene attivato in caso di ferite lievi (che possono essere ugualmente pericolose).
Nei bambini le reazioni al vaccino antitetanico sono, come per l’anatossina difterica, del tutto trascurabili.
Profilassi immunitaria passiva: viene eseguita con le immunoglobuline (Ig) umane specifiche ed è indicata soprattutto nei soggetti non vaccinati, che presentino ferite contaminate o lesioni da puntura profonde
Le Ig iperimmuni si ottengono da soggetti vaccinati e vengono somministrate a dosi di 250-500 UI; esse determinano un livello protettivo di anticorpi circolanti della durata di 4-6 settimane, in genere sufficiente a coprire il periodo di incubazione della malattia
Non provocano reazioni di sensibilizzazione e, quindi, non richiedono il test preliminare di sensibilità
Non interferiscono con l’attività della anatossina inoculata in altra parte del corpo.
Pertanto, al soggetto traumatizzato e non vaccinato in precedenza va inoculata una dose di vaccino contemporaneamente alle Ig, seguita da una seconda dose dopo 6-8 settimane e da una terza dose dopo 6 mesi
Trattamento profilattico del traumatizzato : le ferite da taglio nette (a margini regolari e non contaminate da terra o da sporcizia), di regola non richiedono una profilassi antitetanica
I soggetti che presentano lesioni lacero-contuse, ferite a margini frastagliati, ferite profonde, specialmente se contaminate da terra e da corpi estranei con cui potrebbero essere penetrate spore tetaniche, devono essere immediatamente sottoposti a trattamenti antisettici ed immunitari, secondo il seguente schema :
1) Trattamento locale delle ferite, con pulizia accurata con soluzione fisiologica sterile (allontanamento di frustoli necrotici, coaguli di sangue, corpi estranei) ed eventuale disinfezione, preferibilmente con acqua ossigenata
2) Eventuale somministrazione di antibiotici per via generale e per almeno 5 giorni, per evitare fatti settici locali da batteri piogeni che creerebbero un ambiente anaerobio favorevole alla germinazione di eventuali spore
3) Profilassi specifica, che può essere eseguita con il vaccino da solo o associato con le Ig umane specifiche, secondo le norme seguenti :
Se il soggetto è stato sottoposto a vaccinazione di base ed a quelle successive :
- fino al 5° anno dopo l’ultima inoculazione, nessun trattamento
- dal 6° al 10° anno dopo l’ultima inoculazione, una dose di richiamo di vaccino
- oltre il 10° anno dall’ultima inoculazione, Ig iperimmuni più una dose di richiamo di vaccino
Se il soggetto non è stato vaccinato o lo è stato in modo incompleto o non si conosce lo stato di protezione, si interviene con le Ig e con un ciclo vaccinale completo.