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martedì 15 dicembre 2009


Medicina dei viaggi

Secondo l’OMS un turista su 2 che si reca nei paesi in via di sviluppo, ha problemi di carattere sanitario. Le raccomandazioni sanitarie rivolte ai viaggiatori internazionali sono basate su una stima dei rischi
Obiettivi della vaccinazione del viaggiatore:
- Prevenire il rischio per la collettività di importare un agente infettivo in una zona geografica dove non è presente
- Prevenire il rischio per il viaggiatore di contrarre infezioni endemiche nei paesi di destinazione.
LE 4 R DELLE VACCINAZIONI:
  • Vaccinazioni di routine: poliomielite, difterite, tetano, epatite B
  • Vaccinazioni richieste dai governi nazionali necessarie per l’ingresso in alcuni paesi:
- Anti febbre gialla: viaggiatori che la richiedono diretti in Africa. Il vaccino consiste in un virus vivo attenuato, somministrato per via sottocutanea e valido per 10 anni (controindicato in età <1anno e in Immunodepressi)
- Anti meningococcica: vaccinazione con tetravalente Acwy unica dose s.c., immunità per 3-5anni.
  • Significato dei richiami:
- Proteggere l’individuo
- Evitare l’importazione di agenti di infezione (il viaggiatore può essere portatore asintomatico)
  • Vaccinazioni raccomandate a tutela della salute del viaggiatore:
- Epatite A+B (virus A inattivato + virus B ricombinante, 3 dosi i.m. 0-1-6mesi, protezione in 0-7-21gg)
- Febbre tifoide (orale: vivente attenuato, 3 dosi a gg alterni, richiamo annuale; polisaccaride Vi: una somministrazione i.m., protezione in 15gg per 3anni)
- Rabbia ( virus inattivato, 3 dosi 0-7-28gg i.m. con richiamo triennale)
- Colera (orale ricombinante Wc/rBS da miscelare in 150 cc di acqua e bicarbonato-induce una significativa protezione nei confronti di ETEC-Escherichia Coli enterotossigeno)
- Encefalite giapponese (3 dosi s.c. 0-7-30gg, solo per soggetti che intendono trattenersi per almeno un mese in aree endemiche)
- Encefalite europea da morso di zecche (3 dosi i.m 0 - 1,3 - 9,12 mesi con richiami triennali)
- Influenza (pneumococco)

Algoritmo per la vaccinazione del viaggiatore internazionale:
Eseguire le vaccinazioni di routine → eseguire le vaccinazioni di routine del viaggiatore → eseguire vaccinazioni richieste dall’OMS → eseguire vaccinazioni per rischio da zona geografica → eseguire vaccinazioni per soggiorni prolungati → partenza!

giovedì 10 dicembre 2009


Cenni di immunoprofilassi

Gli aspetti epidemiologici rilevanti nell’interazione ospite patogeno sono:
- Tasso di riproduzione di base del parassita (R0): il num medio di casi secondari prodotti da una infezione primaria in una popolazione interamente suscettibile
- Principio di azione di massa: dipende, in corso di un’epidemia, dalla quota di contatti tra suscettibili e infetti
- Immunità di gregge: resistenza di un gruppo all’attacco di un’infezione verso la quale una grande proporzione dei membri del gruppo è immune
R0= βCD
β = probabilità di trasmissione per singolo contatto
C= numero medio di contatti per unità di tempo
D= durata del periodo di infettività
R (tasso di riproduzione effettivo di un microrganismo)= R0S(t)
S(t)= frazione suscettibile all’istante di tempo t, ovvero la proporzione di soggetti suscettibili nella popolazione.
L’efficacia di un vaccino è il presupposto per poter avviare una campagna di prevenzione: è considerata la riduzione (percentuale) di frequenza di malattia attribuibile alla vaccinazione
EV(%)= 1 – (incidenza tra vaccinati/incidenza tra non vaccinati)x 100
Finalità dell’immunoprofilassi: aumentare le difese immunitarie specifiche dell’individuo
- Passiva: sieri e Ig (standard o specifiche)
- Attiva=vaccini: microrganismi vivi attenuati, inattivati-uccisi (interi, anatossine, frazioni microbiche purificate), proteine prodotte con rDNA
Le malattie prevenibili sono malattie per cui gli interventi sui serbatoi di contagio e le vie di trasmissione risultano insufficienti a controllarle.
Obiettivi: I vaccini sono preparati biologici ad elevato potere antigenico in grado di indurre uno stato di immunità attiva , atti quindi ad ottenere una memoria immunologica più o meno permanente nel tempo. I fini di un programma vaccinale sono:
- Eradicazione: malattia e agente causale definitivamente eliminati (es vaiolo)
- Eliminazione: scomparsa della malattia per riduzione della circolazione dell’agente causale (es difterite)
- Contenimento: la malattia non costituisce più un problema rilevante di sanità pubblica (es influenza)
Fattibilità scientifica di un programma di eradicazione-eliminazione:
- Trasmissione esclusivamente interumana
- Disponibilità di un vaccino sicuro, efficace, di facile somministrazione e di costo contenuto
- Facilità di diagnosi di malattia
- Assenza di portatori
- Microrganismo geneticamente stabile
Definizione di strategia:
- Popolazione da immunizzare (individuare gli individui target)
- Tasso di Copertura Vaccinale da raggiungere
L’eradicazione è ottenibile anche con una copertura vaccinale < 100% in quanto si ha:
- Protezione diretta: nei soggetti vaccinati
- Protezione indiretta (herd immunity) nei soggetti che vengono a contatto con il vaccinato
Strumenti indispensabili per una buona campagna vaccinale sono:
- Disporre di un sistema sanitario organizzato
- Favorire l’adesione alle vaccinazioni proposte tramite l’obbligatorietà e il convincimento promosso (offerta gratuita, incentivi economici).
Attualmente le vaccinazioni obbligatorie per legge sono 4:
- Difterite
- Tetano
- Poliomielite
- Epatite B

domenica 8 novembre 2009


Dermatomiosite

Rara affezione infiammatorio-degenerativa dei muscoli strati (polimiosite) nella quale la cute è spesso compromessa. L’alterazione cutanea è diagnostica.
Nel 70% esordisce con eritema rosso-lilla a palpebre e, a striscia, al dorso delle mani in corrispondenza delle articolazioni metacarpofalangee. C’è anche edema palpebrale e
atrofia epidermica, teleangectasie, leucomelanodermia.
Patognomiche sono le papule di Gottron, papule eritemato-violacee che a volte si raggruppano in piccole placche localizzate a dorso delle mani e avambracci.
Più rari necrosi, calcificazioni, alopecia cicatriziale al cuoio capelluto.
Vengono colpiti soprattutto i muscoli prossimali, iniziando di solito da quelli scapolari, in modo simmetrico.
Si distinguono 5 tipi di polimiositi:
· Tipo 1, manca l’interessamento cutaneo
· Tipo 2, dermatomiosite tipica
· Tipo 3, dermatomiosite paraneoplastica dell’adulto, 15%
· Tipo 4, infantile (7 aa), 15%
· Tipo 5, quello che si associa ad altre connettiviti.
Istopatologia: atrofia dell’epidermide, edema del derma, degenerazione vacuolare dello strato basale (simile al LES), infiltrato perivascolare.
La biopsia muscolare evidenzia edema, degenerazione delle fibre con scomparsa delle striature e infiltrato interstiziale con fibrosi.
Diagnosi si basa sulle lesioni cutanee caratteristiche: eritema a striscia sulle dita, papule di Gottron e poi edema palpebrale.
L’elettromiografia presenta potenziali diminuiti, di fibrillazione a riposo e scariche ripetute.
Terapia: corticosteroidi, immunosoppressori, immunoglobuline e.v. ad alte dosi.

martedì 3 novembre 2009


Sclerodermie

Malattie diverse con in comune la risposta riparativa in senso sclerotico o sclero-atrofico della cute e talora anche degli organi interni ad un fenomeno infiammatorio cronico.
Pare abbiano in comune all’origine un meccanismo autoimmune cellulo-mediato, ma in alcune si sono trovati anche auto-Ab.
Si distinguono sclerodermie localizzate, sistemiche e pseudosclerodermie.

Sclerodermie localizzate: morfee
Varie forme, in cui il fenomeno sclerodermico è circoscritto ad una o più chiazze variabili. Manca o quasi l’interessamento viscerale.
La forma più comune è in chiazza, ha esordio improvviso, in genere al tronco. Appare come una chiazza arrossata asintomatica, poi diventa madreperlacea e dura al centro, mentre alla periferia continua ad espandersi con un anello eritematoso. Può guarire da sola.
Nella forma guttata le chiazze sono numerose, 1-2 cm di diametro.
Nella morfea generalizzata le chiazze sono numerose e confluenti, sino a provocare anche
sindromi compressive toraciche. Ci sono qui anche gli ANA. Si pensa sia la forma di passaggio verso la sclerodermia sistemica.
La forma lineare colpisce giovani e coinvolge l’apparato muscolo-scheletrico e può dare problemi.
Istopatologia: epidermide normale atrofica e derma inizialmente edematoso con rigonfiamento e omogeneizzazione delle fibre collagene. Può esserci infiltrato perivascolare.
Il derma poi si ispessisce e le fibre collagene si addensano. Scompaiono poi peli e ghiandole
sebacee.
Eziopatogenesi: nelle lesioni è stata individuata Borrelia afelii, e pare sia proprio la causa. Infatti c’è risposta alla terapia antibiotica.
Prognosi: le chiazze migliorano nel tempo, lasciando una zona di pigmentazione brunastra che dura molto. Negli stadi precoci steroidi e antibiotici possono aiutare.

Lichen scleroatrofico
Altra sclerodermia localizzata. Frequente, colpisce più donne 40-50 aa.
Le sedi più tipiche sono genitali e regioni paragenitali; oppure tronco, collo, ascelle, o alle spalle dove c’è la pressione del reggiseno.
Si presenta con macchie bianche madreperlacee o avorio, brillanti, atrofiche, a volte con ipercheratosi. Si può vedere su esse lo sbocco dei follicoli pilo-sebacei con liquido cheratosico bianco porcellanacelo.
È importante la localizzazione genitale, nel maschio può stringere ad anello il prepuzio o il meato urinario creando stenosi. Nella donna porta atrofia dei genitali esterni e lesioni croniche da trattamento. Possibile evoluzione in K.
Istopatologia: ipercheratosi follicolare, atrofia epidermica con degenerazione vacuolare della giunzione dermoepidermica e larga banda sottoepidermica di ialinizzazione del derma.
Diagnosi: la morfea si distingue per la sclerosi più profonda e per la mancanza di degenerazione
vacuolare che qui è presente. Non è comunque facile distinguerle.
Eziopatogenesi e terapia: sconosciuta ma pare anche qui borreliosica. La terapia è inefficace, si hanno spesso exeresi chirurgiche.

Sclerodermia sistemica
Molto grave, comune, a esordio cutaneo ma con interessamento viscerale costante variabile.
Si distinguono due forme, limitata e diffusa, a seconda dell’estensione cutanea. M:F 1:11.
Esordisce in giovane età, di solito con il fenomeno di Raynaud: fenomeno vasomotorio scatenato dal freddo che inizia con fase ischemica, interessa l’estremità delle dita delle mani, meno dei piedi.
Può interessare anche le mani intere. Le dita diventano cianotiche e dolenti.
Dopo un tempo variabile le crisi ischemiche ripetute si accompagnano ad alterazioni trofiche delle estremità delle dita: diventano più sottili, pallide e alopeciche. Si formano ulcerazioni dolorose e onicodistrofia, sino ad arrivare a sclerodattilia.
Tutto ciò si può estendere a mano, avambraccio, braccio.
Anche il viso è precocemente colpito: la cute si indurisce e si secca, scompaiono le pieghe mimiche, le labbra si assottigliano, il naso è affilato, i peli cadono (anche dal cuoio capelluto) e compaiono rughe verticali dal labbro superiore.
Ci sono anche teleangectasie “a lago”, discromie. Agli arti, soprattutto ai gomiti, possono
comparire noduli duri (calcinosi) che, aprendosi, lasciano uscire materiale calcifico.
L’interessamento viscerale è molteplice. Più colpito l’esofago (75%), diventa un tubo anelastico.
Intestino irrigidito. Fibrosi polmonare. Aritmie cardiache. Nefropatia interstiziale ipertensiva
(elemento prognostico decisivo).
Il decorso è molto invalidante e cronico, con morte per problemi renali o cardiaci.
Istopatologia: poco specifica. All’inizio grande edema dermico, poi atrofia epidermica, scomparsa degli annessi, sclerosi delle fibre collagene.
Eziopatogenesi: pare da immunità cellulo-mediata, contro le cellule endoteliali. Sono comunque presenti ANA.
Diagnosi: basta la clinica, nelle fasi avanzate. Nelle fasi iniziali, dal fenomeno di Raynaud e
teleangectasie.
Importante la sierologia, in cui si ritrova l’Ab anticentromero (soprattutto nelle forme più
croniche). Nelle fasi più precoci si ritrova invece l’Ab anti-Scl70.
Terapia: scoraggiante. Si provano griseofulvina, penicillina, ciclosporina ma senza prove reali che servano. L’unica è forse usare per le fasi precoci un antagonista dell’endotelina.

Pseudosclerodermie

Rare, con sclerosi cutanea più o meno generalizzata.
Comprendono sclerodermia in corso di sindrome di Werner (invecchiamento precoce genetico), in corso di amiloidosi, malattie metaboliche (porfiria…), fattori esogeni (silicosi…), come fenomeno paraneoplastico e altre.

giovedì 29 ottobre 2009


Lupus eritematoso

Malattia sistemica cronica con episodi acuti. Le manifestazioni cliniche sono dovute all’immunità cellulo-mediata del pz (come per la lebbra). Abbiamo due forme cliniche distinte:
· Lupus eritematoso cronico o discoide (LED) in cui è conservata l’immunità cellulo-mediata, ed è circoscritto l’interessamento cutaneo, autoregredente. Scarso interesse ai visceri
· Lupus eritematoso sistemico (LES) con ridotta immunità cellulo-mediata e iperplasia
dell’immunità umorale, interessamento esantematico cutaneo e grave interesse viscerale.
· Forme borderline: lupus eritematoso cutaneo subacuto (SCLE) e panniculite ludica,
entrambe forme prevalentemente cutanee.
A seconda delle cure o di vari fattori (situazione ormonale, sole…) si può avere un fluttuamento da una forma all’altra.
Il danno cutaneo è sì specifico ma possono esserci lesioni aspecifiche, segno di attività sistemica.
Eziopatogenesi: deriva forse da virus, Myxovirus. Nel 16% dei pz si trova un retrovirus esogeno, HRV-5 e nel 52% si trova un retrovirus endogeno, HRES-1. Intervengono comunque altri fattori endogeni e ambientali.
Importanti i fattori genetici (su cromosoma X), condizionano la mutazione di linfociti con
produzione di autoAb. È familiare nel 10% dei casi.
È più comune e grave nei neri, ed è associata a HLA-A1 mentre nei caucasici è associata a HLA-B8 e DR3. È peggiorata dagli estrogeni (maggiore frequenza e gravità nelle donne fertili).
Fattori esogeni sono gli UV (sole), lo stress e alcuni farmaci.
I danni lupici sono dovuti a due meccanismi di ipersensibilità (II e III secondo Gell e Coombs). Il primo è responsabile della pancitopenia, il secondo delle lesioni vasculitiche. Non si sa a quale meccanismo imputare le lesioni cutanee.

lupus eritematoso discoide
M:F 1:2. 40 aa, ma a volte anche in adolescenza o dopo i 70 aa.
Clinicamente ha quattro fenomeni cutanei:
· Eritema, rosso violaceo, più evidente alla periferia delle chiazze, spesso con edema
· Ipercheratosi, a squame stratificate, secche, bianco-grigiastre e aderenti (importante).
L’aderenza è dovuta a fittoni cornei che penetrano negli osti follicolari
· Atrofia cicatriziale, al centro delle lesioni senza essere preceduta da ulcere o erosioni
· Macchie color seppia, lisce e non cheratosiche, espressione di guarigione, anche in aree
non interessate dall’eritema.
La sede elettiva è il volto. Può essere simmetrico (a farfalla), sul naso, a orecchie, labbra, guance.
Può esserci una chiazza di alopecia cicatriziale al cuoio capelluto.
Il LED può essere anche ad avambraccio, dorso delle mani e tronco (LED disseminato).
Esiste anche una forma tumida, spesso fotosensibile.
È cronico con spesso riaccensioni primaverili.
Istopatologia: ipercheratosi follicolare a fittone, atrofia dell’epidermide, degenerazione vacuolare dello strato basale e ispessimento, degerazione fibrinoide pervasale, infiltrazione linfocitaria, degenerazione basofila del collagene, frammentazione di fibre elastiche, ectasia dei vasi superficiali, IgG e complemento lungo la giunzione dermoepidermica (banda lupica, ma non specifica).
Diagnosi: di solito basta la clinica. Da distinguere con la rosacea, in cui ci sono pustole, che
mancano sempre nel LED. Gli esami di laboratorio sono aspecifici.
Si usano i criteri ARA per la classificazione del LES: se sono presenti 4 o più elementi dovrebbe essere LES. Questi però sono meno indicati per il LED.
Terapia: locale o generale. Locale: filtri e schermi solari, corticosteroidi topici (questi poco
consigliabili), immunosoppressori topici (tacrolimus).
Generale: antimalarici di sintesi (clorochina, idrossiclorochina), ma hanno pesanti effetti collaterali (epatotossici, possono dare sintomi psichici, oculari, muscolari).
Criteri ARA: sono 11.
· Eritema malare
· LED
· Fotosensibilità (anche anamnestica)
· Ulcere orali
· Artrite o artralgie
· Sierositi (pleuriti, pericarditi, anche anamnestiche)
· Disordini renali
· Disordini neurologici
· Disordini ematologici
· Disordini immunologici
· ANA

Lupus eritematoso sistemico
M:F 1:8, soprattutto durante il periodo fertile.
Sono comuni le manifestazioni cutanee, specifiche e non specifiche. Quelle specifiche sono al volto con chiazze eritematose senza ipercheratosi né atrofia, nella parte centrale (a farfalla), o a guance, orecchie, naso, collo, regione prosternale e braccia. Raramente sono su tutto il corpo. Ci sono anche lesioni a eritema pernio con lieve ipercheratosi a faccia estensoria delle ginocchia e del tallone; teleangectasie; erosioni al palato etc.
Sono lesioni aspecifiche: porpora palpabile agli arti inferiore, livedo articularis agli arti inferiori, alopecia cicatriziale o meno. Meno frequenti orticaria-vasculite, vescico-bolle erpetiformi...
L’interessamento viscerale è multiforme, tutti gli organi possono essere colpiti, più spesso polmoni (pleurite), reni (nefrite mesangiale), cervello (convulsioni, psicosi), cuore (pericardite).
Istopatologia: intensa degenerazione vacuolare dello strato basale sino alla necrosi cheratinocitaria. Presenza di banda ludica anche in zone di cute sana (specifico per il LES).
Diagnosi: distinguere da dermatite polimorfa solare, dermatite seborroica. Utili gli esami di
laboratorio: pancitopenia (soprattutto leucopenia), VES elevata, iperfibrinogemia, diminuzione di albumine e complemento (per danno renale), proteinuria, aumento di azotemia e creatininemia.
Sempre presenti gli ANA. Fattore reumatoide nel 30-50%.
Terapia: complessa, dipende dallo stato generale. Si usano ciclofosfamide, corticosteroidi, cocktail di clorochina-metilprednisolone-azatioprina per i segni dermatologici. Evitare sole e farmaci scatenanti.

Lupus eritematoso cutaneo subacuto (SCLE)
Eruzione cutanea che colpisce entrambi i sessi a tutte le età.
Si hanno manifestazioni cutanee anulari o psoriasiformi, ad esordio acuto, a volte dopo
esposizione solare, al tronco di regola e soprattutto al dorso, al volto e alle spalle.
Non c’è mai ipercheratosi aderente o atrofia cicatriziale.
Il 70% dei pz è molto fotosensibile. Può derivare da farmaci fotosensibilizzanti.
La compromissione viscerale è modesta. Il 25% risponde ai criteri ARA. Il feto di una pz con SCLE può presentare SCLE anch’esso.
L’istopatologia è sovrapponibile alle precedenti.
La diagnosi differenziale si ha con psoriasi, LED. Si ha spesso leucopenia, gli ANA possono mancare, quasi sempre ci sono gli Ab anti-SSA/Ro.
Si tratta a seconda del coinvolgimento viscerale. Si usano antimalarici e piccole dosi di steroidi.

Gli anticorpi antinucleo (ANA)
Autoanticorpi circolanti IgM e soprattutto IgG diretti contro componenti nucleari o a volte anche contro proteine o strutture citoplasmatiche.
La loro importanza patogenetica e la capacità di formare immunocomplessi è discussa. Sono
importanti però per la diagnosi e la prognosi.
Si possono individuare con immunofluorescenza indiretta, e qui dimostrano 4 diversi aspetti
possibili:
· Punteggiato, il più comune e meno specifico. Se bassi può essere altro oltre a lupus, se alti
si può trattare di una connettivite mista.
· Omogeneo, più rilevante per la diagnosi
· Nucleolare, scarsa rilevanza per il lupus
· Marginale, di solito diagnostico e indicativo per lupus.
Con la metodica ELISA si possono trovare ANA più specifici:
· Anti-U1RNP, bassi nel lupus e alti nelle connettiviti miste
· Anti-Sm, specifico per LES, associato a cattiva prognosi
· Anti-SSB-La, comune nella sindrome di Sjogren
· Anti-SSA-Ro, specifico per SCLE e lupus neonatale.
Altri autoanticorpi nel lupus sono in genere assenti, ma comuni in sclerodermia e dermatomiosite.

sabato 24 ottobre 2009


Psicogeriatria

Si fa convenzionalmente iniziare l’età senile dai 65 anni.
La componente cognitiva delle prestazioni mentali dell’anziano sembra quella collegata direttamente all’involuzione strutturata del SNC (rarefazione neuronale, riduzioni delle connessioni sinaptiche, modificazioni a livello dei neurotrasmettitori e loro riduzione).
La componente psicoemozionale è più correlata alla struttura caratteriale, alle vicende vissute, all’assetto del tono timico di base, all’organizzazione difensiva della personalità.
C’è poi riduzione di curiosità, di entusiasmo, interessi, progetti.

Modificazioni delle funzioni cognitive
C’è rallentamento delle funzioni cognitive, con riduzione di attenzione, elaborazione di informazioni, svolgimento di attività simultanee, ma soprattutto memoria. C’è un vero e proprio deterioramento delle funzioni mnesiche, sino anche del 50%.
Spesso poi si verifica una vera e propria riduzione dell’elasticità del sistema, che determina tempi più lunghi per comprendere e apprendere. Per valutare lo stato neuropsicologico di questi pz esistono numerosi test (MMSE, WAIS-R…)

Gli aspetti psicosociali dell’invecchiamento
Non ci sono desideri o bisogni emotivi diversi rispetto ai più giovani, così come non cambia la conflittualità neurotica con l’ambiente; può raggiungere rapporti favorevoli con figli o nipoti, praticare sport… il tutto compatibilmente con le sue risorse fisiche e intellettive.
In casi meno favorevoli c’è un progressivo ritiro dalla vita sociale, con interesse dell’anziano più focalizzato su se stesso e sulle persone da cui dipende, strutturando la sua vita relazionale secondo schemi di accudimento, visite frequenti, ricerca dell’attenzione dei familiari…
Spesso l’anziano tende a organizzare la propria esistenza a seconda della sua personalità, con spesso minore flessibilità o maggiore irrigidimento bilanciato da maggiore tolleranza e maggiore resistenza alle frustrazioni.
Cambiamenti più negativi, come irascibilità, impulsività, disforia possono fare parte del Brain Organic Syndrome, un quadro degerativo vascolare all’esordio.
L’invecchiamento non deve essere una condizione di sofferenza senile inevitabile e immodificabile, ma come una condizione suscettibile di miglioramenti se vengono organizzati opportuni interventi psichiatrico-psicoterapici volti a stimolare adattamenti più convenienti e rendere le difese più efficaci.

Disturbi psichiatrici specifici dell’età senile
Essi hanno molti fattori eziologici, considerando poi la frequente compresenza di disturbi organici con ruolo precipitante-concausale che può nascondere temporaneamente i sintomi. Possono essere di diverso tipo:

• Disturbi specifici di questo periodo, come le demenze
• Disturbi più frequenti rispetto ad epoche precedenti come disturbi mentali organici acuti (stati confusionali, delirium)
• Disturbi psichiatrici come depressione, psicosi… con profili differenti rispetto all’età giovane.

Disturbi psicotici ad esordio tardivo
Non sono rare (10% di tutte le diagnosi psichiatriche degli ultrasessantenni al primo ricovero) forme di Schizofrenia paranoide e di Disturbo delirante cronico, soprattutto nelle donne (in postmenopausa, minore legami estrogenaci ai recettori dopaminergici). Sono favoriti da:

• Fattori di personalità (personalità premorbosa schizoide o paranoide)
• Fattori somatici (danni organici cerebrali)
• Fattori sociali (solitudine…)
• Fattori genetici e familiari

Sintomi caratteristici: idee deliranti, spesso persecutorie, con a volte allucinazioni uditive. Rari altri sintomi come catatonia o sintomi psicomotori.
Diagnosi differenziale si fa con delirium e demenza, disturbo dell’umore con sintomi psicotici…

Schizofrenia residua
In soggetti schizofrenici che raggiungono l’età senile, si ha riduzione degli aspetti positivi (deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato) e prevalenza di quelli negativi (appiattimento degli affetti, ritiro sociale…) con in più un globale deterioramento mentale. Si ha poi riduzione dell’iniziativa, sedazione, rigidità, spesso in seguito a lunghe terapie neurolettiche.
Si può riscontrare parafrenia tardiva, ovvero un quadro con deliri e allucinazioni, frequenti alterazioni dell’umore (depressione - ipomania).

Depressione
Nella terza età sono più frequenti sintomi depressivi, ma con bassa prevalenza di DDM (1%) o Distimia (2%). Può essere confusa con ritiro o demotivazione senile, preoccupazioni ipocondriache, come conseguenza normale di una malattia organica.
La depressione è il disturbo psichiatrico più frequente dell’anziano, superata solo dalla demenza dopo i 75 anni. Più in generale le più frequenti sono le Sindromi Ansioso Depressive. La Depressione organica deriva da una malattia somatica.

Se i sintomi cognitivi non hanno un’eziologia accertabile, si parla di pseudodemenza depressiva.
Essa può assumere il disturbo depressivo della senilità, in cui spesso i deficit cognitivi sono più presenti di depressione o ansia. Le differenze con i pz affetti da demenza sono:

• Insorgenza più rapida e insidiosa
• Storia familiare più di depressione che di demenza
• Umore depresso più che irritabile
• Astenia, apatia, anoressia invece che comportamento disorganizzato
• Molto raramente disturbi del linguaggio
• Prestazioni ai test meno compromesse

Si calcola che la Pseudodemenza si presenta nel 15% degli anziani depressi.

Disturbi d’ansia, somatoformi, del sonno
Il più frequente è il disturbo d’ansia generalizzato. Spesso può essere la degenerazione di episodi d’ansia non molto rilevanti avuti in passato. Valutare comunque se è secondario ad una paura giustificata, come la debolezza o la consapevolezza di riduzioni di capacità.
I disturbi somatoformi sono molto frequenti, per la presenza frequente di malattia, per i maggiori lutti che si hanno intorno a quest’età, per la crescente ipocondria. Lo psichiatra di fronte a ipocondria deve escludere la presenza di una patologia più grave, come per esempio Depressione Maggiore.
I disturbi del sonno, molto più frequenti negli anziani, e il conseguente largo uso di farmaci ipnotici o ansiolitici, sono spesso una causa del disagio psichico senile.

Disturbi da alcool e altre sostanze
La dipendenza da alcool spesso è già nell’età adulta. Arrivato alla senilità questi hanno soprattutto patologie psicorganiche degenerative (demenza alcolica, sindrome di Korsakoff, Wernicke…), le quali spesso sono le cause dell’intervento psichiatrico.
L’abuso di alcolici o di farmaci non è tutt’altro che raro però che insorga nell’età senile (10% della patologia geriatrica). In genere sono tentativi autoterapici di combattere ansia, insonnia, disagi da malattie.

Elementi generali di terapia
Lo scopo è migliorare la qualità della vita dell’anziano, che spesso consiste nel favorire e mantenere il suo adattamento alla vita precedentemente condotta, cercando di evitare ospedalizzazioni o case di riposo. Gli psicofarmaci in questa età sono molto diffusi. Ricordarsi che determinati parametri sono alterati (emività più lunga, riduzione di metabolismo…) e che vanno monitorati molti parametri tra cui dosaggi, pressione, attività cardiaca, ridotti assorbimenti e escrezioni. Vengono usati antidepressivi, antipsicotici (deliri, allucinazioni), con i quali bisogna fare molta attenzione in presenza di altri farmaci già somministrati ai pz.
La psicoterapia è molto usata rispetto al passato, per contrastare i numerosi problemi correlati a quest’epoca della vita. Si usano anche psicoterapie di gruppo e assistenza psicosociale, fondamentale a quest’età (molti ne hanno bisogno), in comunità o non.

lunedì 5 ottobre 2009


Mononucleosi infettive

E' una malattia infettiva acuta da Epsten Barr virus, scarsamente contagiosa, caratterizzata da:
  • febbre
  • angina
  • adenopatie
  • splenomegalia
  • leucocitosi e presenza in circolo di monociti atipici
Epidemiologia: è frequente negli adolescenti dei paesi industrializzati, mentre nei paesi in via di sviluppo colpisce preferenzialmente i bambini dove decorre in modo asintomatico.
Dopo la guarigione, il virus continua ad essere eliminato in grandi quantità con la saliva per oltre un anno e l'eliminazione prosegue poi in modo saltuaio per tutta la vita.
La trasmissione avviene per via orofaringea con la saliva (malattia del bacio) e anche attraverso il sangue.
Il virus infetta inizialmente le cellule epiteliari dell'orofaringe poi i linfociti B che possiedono il recettore C3b o CR2 del sangue e del tessuto linfatico dove provoca un'infezione di tipo immortalizzante. I linfociti B infatti, vengono stimolati a proliferare indefinitivamente determinando un'attivazione policlonale con produzione di anticorpi, comprendenti anche autoanticorpi contro eritrociti e piastrine, responsabili di eventuali manifestazioni di anemia e piastrinopenia autoimmuni. I linfociti B trasformati presentano degli antigeni di superficie che evocano la risposta cellulo-mediata dei linfociti T CD8+.
Tutto ciò determina una specie di reazione di rigetto che si esprime con interessamento degli organi del sistema reticolo-endoteliale (linfoadenomegalia ed epatosplenomegalia).
Clinica: dopo un lungo periodo di incubazione si ha un esordio brusco con febbre elevata, malessere generale, faringodinia, cefalea e mialgia. L'angina è in genere di tipo pseudomembranoso come quella difterica dalla quale si differenzia per il fatto che la pseudomembrana non si dissolve in acqua. E' presente linfoadenopatia generalizzata, splenomegalia ed epatomegalia con incremento delle transaminasi e rash cutaneo nel 15% dei casi. Possibili complicanze sono:
- rottura della milza per attività fisica
- ostruzione laringea
- sindrome emorragica rara
- anemia emolitica autoimmune
- encefaliti
- meningiti
- sindrome di Guillan-Barrè.
L'EBV agisce anche come cofattore del linfoma di Burkitt, del carcinoma nosofaringeo e di un linfoma a cellule B in pazienti con deficit di T CD8+ (sindrome linfoproliferativa X-linked).
Diagnosi: è presente una linfomonocitosi con monociti atipici. Importanti sono le prove sierologiche:
  • reazione di Paul-Bunnel
  • reazione di Davidson
  • ricerca di IgM antiEBV-CA o antigene capsidico che sono tipici della fase acuta. Le IgG raggiungono un picco nella 3-4a settimana e possono persistere per tutta la vita
Terapia: sintomatica. Gli steroidi sono indicati soltanto in caso di severa ostruzione faringea, piastrinopenia o anemia emolitica. E' raccomandato il riposo.

mercoledì 30 settembre 2009


Tromboflebiti

E' un termine che indica la trombosi e l'infiammazione delle vene. Le più importanti condizioni predisponenti sono:
- gravidanza
- neoplasie
- insufficienza cardiaca
- obesità
- postoperatorio
- immobilizzazione
- allettamento prolungato
- sindromi congenite con ipercoagulabilità.
Nei pazienti con tumori maligni (soprattutto adenocarcinoma del pancreas, colon e polmone), lo stato ipercoagulativo può essere manifestazione di una sindrome paraneoplastica. La trombosi venosa si manifesta in un distretto per poi scomparire e manifestarsi in un altro, prendendo il nome di tromboflebite migrante.
Altre sedi frequenti sono:
- plesso venoso periprostatico nel maschio
- vene pelviche nella femmina
- vene del cranio e seni durali in corso di meningiti, mastoiditi ed otiti.
Le trombosi degli arti inferiori sono inizialmente paucisintomatiche. Nei pazienti allettati possono, infatti, essere assenti le manifestazioni locali come edema distale alle vene ostruite, cianosi bruna, dilatazione delle vene superficiali, senso di tensione, arrossamento, rigonfiamento e dolore.
L'embolia polmonare è la complicanza più frequente e seria della trombosi venosa profonda e spesso ne rappresenta l'evento finale.

venerdì 25 settembre 2009


Vene varicose

Sono vene abnormemente dilatate e tortuose che si formano in conseguenza dell'aumento prolungato della pressione intraluminare e della perdita della funzionalità valvolare. Le più colpite sono le vene superficiali degli arti. Durante la stazione eretta, la pressione venosa degli arti inferiori aumenta sino a 10 volte la pressione normale, determinando, se prolungata, l'insorgenza di una marcata stasi venosa e la la comparsa di edema ai piedi, anche in soggetti con vene strutturalmente normali. A lungo termine, soggetti cinquantenni, obesi e donne pluripare sono a rischio.
Clinica: la dilatazione varicosa delle vene comporta l'incontinenza delle valvole venose determinando stasi venosa, congestione, edema, dolore e trombosi. Le conseguenze più evidenti sono le alterazioni trofiche della cute quali la dermatite da stasi, le ulcerazioni, la facile vulnerabilità alle ferite e la loro lenta guarigionee infine le infezioni che tendono a trasformarsi in ulcere varicose croniche. L'embolia è rara.

domenica 20 settembre 2009


Influenza

E' una malattia infettiva acuta caratterizzata dall'interessamento delle alte vie respiratorie da parte dei virus influenzali A-B-C. I virus influenzali appartengono al genere degli Orthomixovirus, virus RNA con nucleocapside mantellato. Nel mantello si trovano due glicoproteine:
- Emoagglutinina HA, in grado di legarsi all'acido sialico presente sulle cellule dell'epitelio delle vie respiratorie e sulle emazie e di promuoverne la penetrazione. Si conoscono 4 varianti: H0, H1, H2, H3.
- Neuroaminidasi NA, che scinde il legame con l'acido sialico e facilita il passaggio del virus da una cellula all'altra. Se ne conoscono due varianti: N1, N2.
I tre sierotipi A, B, C si distinguono per l'Ag RNP (ribonucleoproteico) ma possono variare per gli antigeni di superficie attraverso due meccanismi:
- Antigenic drift che avviene ogni 2-3 anni e comporta una variazione minima del virus tanto che gli anticorpi protettivi nei confronti della variante precedente assicurano una protezione parziale.
- Antigenic shift che avviene ogni 10-20 anni e comporta una variazione completa dei caratteri antigenici tanto che i vecchi anticorpi non sono efficaci contro questo nuovo virus.
La specie A presenta sia antigenic drift che shift ed è quindi associato a epidemie diffuse e pandemie; ne è un esempio la attuale influenza A/ H1N1.
La specie B presenta solo antigenic drift ed è associata ad epidemie sia locali che diffuse.
La specie C è associata a casi sporadici ed episodici epidemici minori.
Il serbatoio è costituito generalmente dall'uomo e la modalità di trasmissione è di tipo inalatorio.
Epidemiologia: ha una diffusione ubiquitaria. Gli uomini costituiscono l'unico serbatoio conosciuto dell'influenza di tipo B e C mentre l'influenza A può infettare sia uomini che animali. Si trasmette per via aerea tramite aerosol e goccioline provenienti dal tratto respiratorio di persone infette. Nei climi temperati il picco epidemico si ha tra dicembre e marzo, mentre nelle zone tropicali non c'è stagionalità. La massima contagiosità si ha da 1-2 giorni prima dell'inizio clinico a 4-5 giorni dopo. Non esiste lo stato di portatore.
Patogenesi: il virus attacca e penetra nell'epitelio tracheale e bronchiale dove inizia a replicarsi inducendo la distruzione delle cellule dell'ospite. Viene poi eliminato con le secrezioni respiratorie per 5-10 giorni.
Clinica: il periodo di incubazione è di 1-3 giorni. L'insorgenza è brusca con:
  • febbre elevata (38-39 gradi)
  • malessere generale
  • dolori articolari e muscolari
  • dolori ossei
  • epistassi
  • cefalea retrorbitaria
  • rinite
  • starnuti
  • mal di gola
  • raucedine
  • tosse secca
  • dolore urente retrosternale
talora
  • lacrimazione
  • bruciore oculare
  • fotofobia
  • dolore nel movimento degli occhi
  • nausea
  • vomito
  • anoressia
  • dolore addominale
  • diarrea
La durata della sintomatologia è di circa 3-5 giorni, poi la febbre scende e rimane un senso di prostrazione. La tosse stizzosa può permanere a lungo.
Si possono avere complicanze dovute a sovrinfezioni batteriche, come la polmonite, che si presenta raramente dopo 2-3 giorni di influenza. Il decorso è rapido. E' presente dolore toracico, tosse insistente, espettorato rosa- salmone, tachicardia dispnea e cianosi. Si può avere inoltre otite, sinusite (con possibile complicazione in meningite purulenta), bronchite e broncopolmonite. Sono particolarmente a rischio di forme gravi: cardiopatici, broncopneumopatici, anziani, donne in gravidanza e pazienti con patologie croniche epatiche o renali.
Diagnosi: si fonda generalmente su criteri epidemiologici, molto raramente attraverso l'isolamento del virus dalle secrezioni nasofaringee con colture cellulari.
Terapia: si fonda solitamente su sintomatici (paracetamolo su tutti) ma può essere indicato l'impiego di amantadina da iniziare entro 48 ore dall'insorgenza dei sintomi. Se il paziente sviluppa una polmonite batterica è necessaria una terapia antibiotica.
Attualmente vengono realizzati annualmente programmi vaccinali prima del verificarsi dell'epidemia influenzale. Il vaccino non previene necessariamente l'infezione ma ne riduce la gravità e le complicanze determinando immunità per 6 mesi. E' utile soprattutto nei soggettio a rischio di complicazioni.

venerdì 18 settembre 2009


Fenomeno di Raynaud

Si intende un pallore parossistico o una cianosi delle dita delle mani o dei piedi e più raramente della punta del naso o delle orecchie dovuti a vasocostrizione da freddo delle arterie digitali e alla attivazione di shunt artero-venosi cutanei. Caratteristicamente, le dita cambiano colore nella sequenza bianco- blu- rosso. Nelle pareti dei vasi colpiti non si riscontrano alterazioni strutturali se non negli stadi tardivi quando l'intima può andare incontro a ispessimento. Il decorso è solitamente benigno, ma nei casi cronici, si può presentare atrofia della cute e dei muscoli. Rare sono le ulcerazioni e le gangrene ischemiche.
Il fenomeno di Raynaud secondario si riferisce ad una insufficienza arteriosa delle estremità causata da diverse condizioni, quali il LES, la slerodermia, l'aterosclerosi,..
Gli elementi suggestivi di Raynaud secondario sono:
- età di insorgenza > 30 anni
- severità degli episodi
- lesioni cutanee
- elementi tipici dlle connettivopatie.

domenica 13 settembre 2009


Aneurismi

Sono così chiamate dilatazioni patologiche circoscritte a carico della parete di un vaso sanguigno o del cuore. Vengono distinte tre entità:
- L'aneurisma vero: delimitato dai componenti della parete vascolare o da una porzione della parete miocardica ormai assotigliata. Tra questi si ricordano gli aneurismi vascolari aterosclerotici, sifilitici, congeniti e l'aneurisma del ventricolo sinistro
- Il falso aneurisma è costituito da una breccia nella parete vascolare che determina la formazione di un ematoma extravascolare che comunica con la cavità luminale (ematoma pulsante). La forma più comune di falso aneurisma è la rottura postinfartuale della parete miocardica con intrappolamento dell'ematoma all'interno di una tasca formata dalla reazione aderenziale del pericardio
- La dissezione aortica insorge quando il flusso ematico penetra la parete dell'arteria, insinuandosi tra i suoi strati, con la conseguente formazione di un ematoma intramurale.
Le due principali cause della formazione di aneurismi aortici sono l'aterosclerosi e la necrosi cistica della tonaca media. Tuttavia ogni vaso può andare incontro ad un'ampia varietà di affezioni che indeboliscono la parete tra cui i traumi. Esistono anche aneurismi congeniti a bacca che sono dilatazioni sferiche di piccole dimensioni che si localizzano prevalentemente a livello del circolo di Willis (cervello). Le infezioni inoltre, possono essere causa di aneurismi micotici e sifilitici ma non sono neppure da dimenticare gli aneurismi insorti in seguito a vasculiti.
Queste dilatazioni possono essere classificate secondo l'aspetto macroscopico e le dimensioni in:
- aneurismi sacculari: sono sferici e interessano solo una porzione del vaso. Sono caratterizzati da un diametro compreso tra i 5 e 20 cm e spesso sono parzialmente o completamente riempiti da un trombo
- aneurismi fusiformi: interessano un lungo segmento e arrivano fino a 20 cm di diametro. In molti casi coinvolgono l'intero tratto dell'aorta ascendente e la porzione trasversa dell'arco aortico.

Aneurismi dell'aorta addominale (AAA)
Sono praticamente sempre aterosclerotici e generalmente sono posti distalmente alle arterie renali, al di sopra della biforcazione dell'aorta. L'aneurisma e la regione circostante spesso contiene ulcere ateromatose ricoperte da trombi murali sede di elezione per la formazione di emboli aterosclerotici che possono localizzarsi nei vasi renali o agli arti inferiori. Meritano una speciale menzione due varianti:
- Aneurismi infiammatori dell'aorta addominale: caratterizzati da una densa fibrosi periaortica con ricca reazione infiammatoria linfoplasmocitaria, abbondanti macrofagi e cellule giganti
- Aneurismi micotici dell'aorta addominale: sono aneurismi aterosclerotici che vengono infettati dalla deposizione di microrganismi circolanti nella parete vasale soprattuto durante la batteriemia che si sviluppa in corso di gastroenteriti da salmonella. In questi casi la suppurazione può provocare l'ulteriore distruzionedella tonaca media accelerando il processo di dilatazione.
In generale, tutti gli aneurismi dell'aorta addominale hanno patogenesi aterosclerotica e colpiscono più frequentemente i maschi di età superiore ai 50 anni. Esiste una predisposizione genetica, indipendente da quella dell'ipertensione, ma conglobante malattie genetiche del connettivo quali la sindrome di Marfan.
Recentemente l'attenzione si è posta sull'alterato equilibrio esistente tra sintesi e degradazione del collagene influenzato da un infiltrato locale di cellule infiammatorie e dagli enzimi proteolitici da questi prodotti e regolati.
Le conseguenze cliniche di un AAA possono essere le seguenti:
- rottura in cavità peritoneale o retroperitoneale con emorragia massiva potenzialmente fatale
- ostruzione di un vaso con danno ischemico
- partenza di emboli dall'eteroma o dai trombi murali
- compressione di strutture adiacenti (uretere, vertebra,..)
- tumefazione addominale pulsante.
Il rischio di rottura è direttamente correlato alla dimensione dell'aneurisma
  • <>
  • tra 4-5 cm: rischio annuo dell'1%
  • tra 5-6 cm: rischio annuo dell'11%
  • > 6 cm: rischio annuo del 25%
La maggior parte degli aneurismi si espande 0.2-0.3 cm/ anno. Il rischio di rottura è legato alla pressione come secondo legge di Laplace (tensione=raggio x pressione sul vaso). I grandi aneurismi sono trattati aggressivamente, la mortalità operatoria per aneurismi non rotti è di circa 5%, per gli aneurismi rotti è del 50%.
A causa del carattere sistemico della malattia aterosclerotica, i pazienti portatori di aneurismi dell'aorta addominale hanno inoltre alto rischio di ictus e di IMA.
Il trattamento è in continua evoluzione verso l'approccio endoluminale che prevede l'impianto di uno stent.

Aneurismi dell'aorta toracica
possono dare origine a segni e sintomi vari tra cui:
- compromissione di strutture mediastiniche
- difficoltà respiratoria per compressione del polmone
- difficoltà alla deglutizione a causa della compressione dell'esofago
- tosse persistente per la compressione sui nervi laringei ricorrenti
- dolore causato dall'erosione delle ossa
- disturbi cardiaci
- rottura dell'aneurisma
La maggior parte sono sifilitici. La maggior causa di morte è l'insufficienza cardiaca causata dall'insufficienza valvolare aortica.

martedì 8 settembre 2009


Arteriosclerosi

E' un termine generico per descrivere l'ispessimento e la perdita di elasticità della parete delle arterie. Si classifica come:
- aterosclerosi
- sclerosi calcifica della media di Monckeberg
- arteriolosclerosi: con variante ialina o con variante iperplastica, entrambe caratterizzate da un ispessimento delle pareti dei vasi con restringimento del lume e conseguente diatesi ischemica a valle.

Aterosclerosi
E' caratterizzata dalla presenza di lesioni intimali dette ateromi o placche ateromatose e/o fibroadipose che protrudono all'interno del lume vasale ostruendolo e indebolendo la tonaca media sottostante. E' al primo posto tra le cause di morte nel mondo occidentale ma soprattutto è causa di grave invalidità. Le lesioni intimali vengono divise in 6 tipi:
  1. tipo 1: macrofagi isolati con cellule schiumose
  2. tipo 2 (stria lipidica): accumulo di lipidi prevalentemente intracellulare
  3. tipo 3: oltre alla stria lipidica sono presenti lipidi extracellulari
  4. tipo 4 (ateroma): si forma nucleo cetrale di lipidi
  5. tipo 5: fibroateroma, costituito da un cappucio fibroso, un core centrale necrotico con sottostante tonaca media
  6. tipo 6: lesione complicata
Le strie lipidiche sono le lesioni più precoci dell'aterosclerosi. Sono composte da cellule schiumose infarcite di lipidi non rialzate sul piano intimale e pertanto non causanti alcuna alterazione del flusso sanguigno. Si presentano come macule giallastre multiple, piatte, di dimensioni minori di 1 mm di diametro che tendono a convergere in strie allungate lunghe 1 cm. le strie lipidiche sono presenti in alcuni bimbi di età inferiore ad 1 anno e in tutti gli adolescenti maggiori di 10 anni indipendentemente dal sesso, razza, localizzazione geografica, condizioni ambientali. Quelle coronariche iniziano a formarsi durante l'adolescenza nei punti suscettibili alla formazione di ateromi. La relazione tra stria lipidica e ateroma è complessa: lo sviluppo della stria lipidica è associato agli stessi fattori di rischio notoriamente associati all'aterosclerosi negli adulti, in particolare le concentrazioni sieriche delle lipoproteine, il colesterolo e il fumo. Sebbene le strie lipidiche possano essere precursori della placca, non tutte le strie lipidiche sono destinate a evolvere in placche fibrose o lesioni più avanzate.
Le placche aterosclerotiche si sviluppano soprattutto nelle arterie elastiche: aorta, carotidi, iliache e in arterie muscolari di grande e medio calibro (coronarie e poplitee). La malattia terosclerotica sintomatica interessa in genere le arterie che irrorano cuore (IMA), cervello (ictus), reni e arti inferiori (gangrena secca). L'aterosclerosi è inoltre responsabile, attraverso la riduzione acuta o cronica della perfusione arteriosa di: occlusione mesenterica, morte cardiaca improvvisa, cardiopatia ischemica cronica, encefalopatia ischemica. Nelle piccole arterie gli ateromi possono occludere il lume compromettendo il flusso ematico diretto agli organi periferici fino a determinare un danno ischemico. Le placche possono inoltre frammentarsi e determinare la formazione di trombi ed emboli. Nelle grosse arterie le placche insidiano la tonaca media sottostante e indeboliscono la parete dei vasi affetti favorendo così la formazione i aneurismi che possono rompersi.
Patogenesi: l'ipotesi della reazione al danno considera l'aterosclerosi come una risposta infiammatoria cronica della parete arteriosa scatenata da un danno cronico dell'endotelio. La progressione della lesione è sostenuta dalle continue interazioni tra lipoproteine modificate, macrofagi, linfociti T e normali costituenti cellulari della parete arteriosa.
Tappe:
- danno endoteliare cronico: spesso lieve con conseguente disfunzione endoteliare che porta a una maggiore permeabilità, adesività leucocitaria e potenziale trombogeno.
- disfunzione endoteliare: accumulo di lipoproteine in particolar modo di LDL con il loro elevato contenuto di colesterolo. Vengono inoltre messe in atto delle modificazioni delle LDL accumulate nella lesione attraverso un processo di ossidazione
- adesione dei monociti ematici all'endotelio: seguito dalla migrazione di questi nell'intima e conseguente trasformazione in macrofagi e cellule schiumose
- migrazione di cellule muscolari lisce: dalla madia all'intima con attivazione dei macrofagi che inghiottono i lipidi. Formazione della stria lipidica
- proliferazione delle cellule muscolari lisce: deposizione di collagene e matrice extracellulare. Composizione dell'ateroma fibro-adiposo
- aumento dell'accumulo di lipidi: sia intra che extracellulari.
Le lesioni complicate si differenziano in:
- rottura locale, ulcerazione ed erosione: può determinare l'esposizione a sostanze altamente trombogeniche che innescano la formazione di trombi o la liberazione di frammenti nel torrente circolatorio generando microemboli di colesterolo o ateroemboli
- piccole emorragie all'interno della placca specialmente nelle coronarie in seguito alla rottura del cappuccio fibroso sovrastante o di uno dei sottili capillari che vascolarizzano la placca. Ne risulta la formazione di un ematoma che può determinare un'espansione della placca o addirittura indurne la rottura
- trombosi: è la complicanza più temuta; si sovrappone a lesioni danneggiate e può determinare un'occlusione parziale o totale del lume.
I fattori di rischio principali implicati nella genesi della malattia sono:
  • età: maggiore 50 anni
  • sesso: maschile
  • fattori genetici e familiarità
  • iperlipidemia (aumento LDL, riduzione HDL, aumento dei trigliceridi)
  • ipertensione
  • fumo
  • diabete mellito
  • omocistinuria
  • sedentarietà
  • stile di vita competitivo e stressante
  • obesità
L'associazione di più fattori di rischio può avere effetto moltiplicativo: due fattori di rischio associati aumentano di 4 volte il rischio,... L'assenza di fattori di rischio tuttavia non dà immunità. Restano quindi di fondamentale importanza un attento monitoraggio e le manovre di prevenzione primaria e secondaria.

giovedì 3 settembre 2009


Diarrea e dissenteria

Un adulto sano assume circa 2l di liquidi al giorno, cui vanno aggiunti 1l di saliva, 2l di succhi gastrici, 1l di bile, 2l di succo pancreatico e 1l di secrezioni intestinali. L'intestino dunque riceve giornalmente 9 litri di liquidi, ma evacua meno di 200g di feci, costituite circa per il 70% da acqua.
Non è possibile definire precisamente il termine diarrea, data la notevole variabilità delle modalità fisiologiche di evacuazione. La maggior parte dei pazienti percepisce come diarrea un aumento della massa delle feci e/o della loro fluidità e/o della frequenza di evacuazione. Nei casi gravi si possono evacuare oltre 14l di liquidi al giorno (l'equivalente del volume ematico circolante).
La diarrea è spesso accompagnata da dolore, pressante impulso all'evacuazione, fastidio perianale e incontinenza. Una diarrea dolorosa ed emorragica con scarso volume di feci evacuate è detta dissenteria.
Le principali cause di diarrea sono:
  • diarrea secretoria: infettiva (mediata da enterotossine o per danno virale dell'epitelio mucoso), neoplastica, per abuso di lassativi.
  • diarrea osmotica: per deficit di lattasi, nella terapia con lattulosio, nella detersione intestinale per procedure diagnostiche, per l'uso di antiacidi, per malassorbimento primitivo degli acidi biliari
  • malattie essudative: infettive con danno dell'epitelio causato dai microrganismi, per malattia infiammatoria intestinale idiopatica, tiflite (colite neutropenica in soggetti immunocompromessi)
  • malassorbimento: deficit di digestione endoluminare, anomalie delle cellule mucose, riduzione della superficie del tenue, ostruzione linfatica
  • alterata motilità: con ridotto o aumentato tempo di transito intestinale
I principali meccanismi quindi sono:
- diarrea secretoria: secrezione intestinale netta di liquidi isotonica rispetto al plasma e che persiste durante il digiuno, che porta ad evacuare oltre 500 ml al giorno di feci liquide
- diarrea osmotica: eccessivo gradiente osmotico esercitato dai soluti endoluminari, che attira liquidi nel lume causando la produzione di oltre 500 ml di feci al dì e che si attenua con il digiuno
- patologie essudative: la distruzione della mucosa porta all'emissione di feci purulente e sanguinolente, che persiste a digiuno; le evacuazioni sono frequenti e il volume è variabile.
- disfunzioni della motilità: per improprio incoordinamento neuromuscolare dell'intestino può produrre molteplici modalità di aumento del volume delle feci.
- malassorbimento: cattivo assorbimento di sostanze nutritive da parte dell'intestino produce feci voluminose, con incremento dell'osmolarità combinato a un eccesso di grassi fecali. La diarrea di solito si riduce con il digiuno.

Terapia: bisogna anzitutto prevenire o controbilanciare la disidratazione. E' opportuno assumere bevande a temperatura ambiente; il paziente dovrebbe ricominciare ad alimentarsi non appena se la sente, magari con una dieta leggera (riso in bianco, patate bollite,..). La terapia farmacologica deve essere volta alla risoluzione della patologia sottostante. Esistono inoltre farmaci antidiarroci sintomatici che agiscono cioè, solo sul sintomo e non sulla malattia.

sabato 29 agosto 2009


Gastrite

E' definita semplicemente come infiammazione della mucosa gastrica. E' una diagnosi istologica. L'infiammazione può essere acuta o cronica.

Gastrite acuta

Processo infiammatorio della mucosa dello stomaco spesso di carattere transitorio. Può essere accompagnata da emorragia intramucosa e, nei casi più gravi, da sfaldamento della mucosa superficiale (erosione).
Patogenesi: non è del tutto chiara. E' frequentemente associata a :
- uso massiccio di FANS, soprattutto aspirina
- alcol
- forte tabagismo
- trattamento con farmaci antineoplastici
- uremia
- infezioni batteriche o virali (herpes, CMV)
- stress intenso
- ischemia e shock
- radiazioni
- traumi
- sostanze acide o alcaline
Si pensa che questi meccanismi operino nell'aumentare la secrezione acida, nel ridurre la produzione del tampone bicarbonato e il flusso ematico, nel distruggere lo strato di muco e siano predisponenti il danno epiteliare diretto. Sono comunque stati identificati altri agenti che danneggiano la mucosa, come il rigurgito di acidi biliari dal duodeno e la sintesi inadeguata di prostaglandine da parte della mucosa.
Clinica: a seconda della gravità delle lesioni, può essere completamente asintomatica oppure può causare in maniera variabile:
- dolore epigastrico
- nausea e vomito
- franca emorragia
- ematemesi
- melena
- dissanguamento potenzialmente letale
- anemia.

Gastrite cronica
E' definita dalla presenza di alterazioni infiammatorie croniche della mucosa che conducono ad atrofia della mucosa e a metaplasia intestinale, di solito in assenza di erosioni. Le alterazioni epiteliali possono costituire la base per lo sviluppo di carcinomi
Patogenesi: le principali associazioni sono con:
- infezione da Helicobacter Pylori
- patologie immunologiche (autoimmuni)
- alcol e fumo
- postumi di interventi chirurgici
- patologie meccaniche (occlusioni, bezoar,..)
- radiazioni
- malattie granulomatose.
L' H. Pylori è un batterio ricurvo gram negativo dotato di particolari peculiarità che ne hanno permesso l'adattamento:
* motilità (presenta flagelli)
* elaborazione di un'ureasi che produce ammoniaca e anidride carbonica a partire dall'urea endogena, tamponando così l'acidità gastrica
* espressione di adesine batteriche
* espressione di tossine batteriche, come i prodotti del gene Cag A e del gene Vac A.
La gastrite può presentarsi in due modi: gastrite a predominanza antrale, con elevata produzione di acido e alto rischio di ulcera duodenale, o pangastrite seguita da atrofia multifocale, con secrezione acida minore e maggior rischio di sviluppare adenocarcinoma.
I pazienti migliorano in seguito a terapia antibiotica per eradicare l'H.P. Gli schemi terapeutici attuali comprendono l'associazione con PPI.
Gastrite autoimmune: è dovuta alla presenza di anticorpi contro componenti delle cellule parietali delle ghiandole gastriche, inclusi anticorpi contro l'enzima H-K ATPasi, il recettore per la gastrina e il fattore intrinseco.
Clinica: la gastrite cronica generalmente è paucisintomatica. Si possono avere:
- nausea
- vomito
- disturbi epigastrici
- anemia
Terapia: eziologica.

Forme particolari di gastrite
  1. gastrite eosinofila: idiopatica, caratterizzata da intenso infiltrato eosinofilo della mucosa. Colpisce donne di mezza età ed è contraddistinta da un forte dolore addominale. La terapia con steroidi è in genere efficace.
  2. gastropatia allergica: è una patologia pediatrica che può produrre diarrea, vomito e deficit di crescita.
  3. gastrite linfocitaria: fitto infiltrato linfocitario CD8+ nello strato epiteliare della mucosa. E' in genere limitata al corpo gastrico e provoca: dolore addominale, anoressia, nausea e vomito. Nel 50% dei casi è associata a morbo celiaco.
  4. gastrite granulomatosa: è in genere associata alla presenza di morbo di Crohn, sarcoidosi, infezioni, vasculiti o di una reazione da corpo estraneo.
  5. GVHD: può insorgere a seguito di trapianto di midollo osseo.
  6. gastrite reattiva: è piuttosto frequente ed esiste un nesso causale con l'inibizione della ciclossigenasi da parte dei FANS, con il reflusso biliare e con traumi mucosi da prolasso.

lunedì 24 agosto 2009


Esofago di Barrett

E' una complicnza del reflusso gastroesofageo di lunga durata che si presenta nel 10% dei pazienti con GERD sintomatica. E' il fattore di rischio più importante per lo sviluppo dell'adenocarcinoma esofageo. Nell'esofago di B. la mucosa esofagea distale perde il normale epitelio squamoso che viene sostituito da un epitelio cilindrico metaplastico, tipico dell'intestino, a seguito di prolungati stimoli irritativi. Per porre diagnosi devono essere presenti:
- evidenza endoscopica di epitelio cilindrico al di sopra della giunzione gastroesofagea
- evidenza istologica di metaplasia intestinale nei campioni bioptici. L'esofago di B. viene suddiviso nei tipi:
* long barrett: esteso cranialmente oltre 3 cm sopra la giunzione G-E
* short barrett: con estensione inferiore ai 3 cm
Patogenesi: non è chiara, la metaplasia è comunque il risultato di un'alterazione nel programma di differenziazione delle cellule staminali della mucosa esofagea.
Clinica: la maggior parte dei pazienti ha un'età compresa tra i 40 e i 60 anni. La maggiore incidenza si ha nei maschi caucasici. Si manifesta clinicamente per le sue complicanze secondarie, costituite da:
- ulcerazioni locali
- sanguinamenti
- stenosi.
La conseguenza più temibile è l'adenocarcinoma che insorge con una frequenza stimata 30-40 volte quella della popolazione generale.
Terapia: è la stessa della GERD mantenendo un costante monitoraggio endoscopico. Nel caso di displasia di alto grado si penserà alla chirugia tradizionale (esofagectomia) o endoscopica (mucosectomia).

mercoledì 19 agosto 2009


Malattia da reflusso gastroesofageo o esofagite da reflusso o GERD

Il reflusso del contenuto gastrico nell'esofago distale è la causa più importante di esofagite. Vi sono vari fattori scatenanti:
- ridotta efficacia dei meccanismi difensivi anti-reflusso (soprattutto il tono dello sfintere esofageo inferiore), farmaci ad azione depressiva sul SNC, la gravidanza, l'ipotiroidismo, alcol, fumo,..
- ernia iatale da scivolamento
- svuotamento gastrico ritardato o aumento del volume gastrico
- riduzione della capacità riparativa della mucosa esofagea per esposizione ai succhi gastrici. Nei casi gravi può contribuire anche il reflusso biliare duodenale.
Clinica: colpisce generalmente gli adulti di 40 anni ma viene occasionalmente riscontrata anche nei bambini. le manifestazioni cliniche sono soprattutto costituite da:
- disfagia
- pirosi retrosternale
- rigurgito acido
- ematemesi (presenza di sangue nel vomito), rara
- melena (presenza di sangue digerito nelle feci), rara
La gravità dei sintomi non è strettamente correlata alla presenza di un' esofagite istologicamente documentabile; la maggior parte degli individui presenta sintomi senza avere lesioni della mucosa distale dell'esofago.
Possibili sono anche sintomi atipici quali:
- tosse
- asma
- bronchiti
- episodi di intenso dolore toracico che possono essere scambiati per infarti.
Le potenziali conseguenze sono l'emorragia, l'ulcerazione, le stenosi e la tendenza a sviluppare un esofago di Barrett con i rischi ad esso connessi.
Terapia: prima di iniziare una terapia farmacologica e’ buona regola spiegare al paziente alcune modificazione delle proprie abitudini.:
* elevare la testiera del letto, per favorire ,sfruttando la gravita’, la clearance esofagea
* perdere peso
* smettere di fumare
* evitare cibi grassi, cioccolato, menta, qualsiasi alimento che il paziente riconosce come scatenante il sintomo
* evitare il caffe’
* evitare l’alcol
La terapia medica si basa oggi sull’uso pressoche’ esclusivo di due gruppi di farmaci:
1. farmaci antisecretivi ( antagonisti recettori H2 e inibitori pompa protonica)
2. farmaci procinetici ( metoclopramide, domperidone, cisapride)

martedì 18 agosto 2009


Nevi epidermici

Lesioni complesse derivanti dalle cellule ectodermiche embrionali, che nella loro evoluzione danno origine a molte diverse cellule (cheratinociti, cellule degli annessi...).
Spesso, soprattutto in caso di lesioni multiple, essi sono associati ad altri difetti di sviluppo,
soprattutto a carico dello scheletro, del SNC e degli occhi (sindrome del nevo epidermico).
Possono essere suddivisi a seconda della loro cellularità predominante:
- nevi cheratinocitici (es. nevo epidermico verrucoso, tra i più comuni)
- nevi follicolari
- nevi sebacei, (es. nevo sebaceo, tra i più comuni)
- nevi apocrini
- nevi eccrini
- nevo di Becker.

Nevo epidermico verrucoso

Lesione cutanea localizzata o diffusa, spesso congenita, costituita quasi esclusivamente da
cheratinociti.
Clinica: molto raramente compare ormai nell'età adulta. Inizialmente è costituito da papule o
placche rosate o lievemente pigmentate; poi le lesioni si estendono con comparsa di nuovi
elementi, con superficie poi più cheratosica e scura; raggiunta la fase di maturità, rimane
stazionario tutta la vita.
Diametro e forma sono molto variabili, se le lesioni sono diffuse è definito sistematizzato.
Se sugli arti ha una configurazione lineare che segue la lunghezza dell'arto; quando invece è sul
tronco, tende a formare bande trasversali ondulate che non attraversano la linea mediana del
corpo.
La superficie è più o meno cheratosica a seconda dei casi. Sulle regioni palmoplantari è molto
cheratosico, sulle pieghe tende a macerare.
Se compare un nodulo, sospettare una neoplasia.
Diagnosi differenziale: nevo epidermico acantolitico, porocheratosi lineare (disordini lineari più
rari); lichen striatus (lesioni pruriginose, si risolve spontaneamente); nevo sebaceo (meno
verrucoso, più frequente a viso, collo, testa; è giallastro).
Terapia: se piccolo, asportazione chirurgica. Se è esteso, i retinoidi per via sistemica possono dare parziale e temporanea risoluzione.

Nevo sebaceo

Lesione circoscritta, spesso congenita, costituita prevalentemente da ghiandole sebacee.
Clinica: presente nello 0,3% di tutti i neonati, più raramente compare nell'infanzia. Quasi sempre
unico. Placca rotonda o ovale, 1-10 cm, rosa giallastra con superficie liscia o poco rilevata.
Se esteso o multiplo si possono associare altri difetti di sviluppo a carico di scheletro, SNC, occhi
(sindrome del nevo epidermico, può accadere anche col verrucoso).
Sedi più frequenti: testa, collo, specialmente sul cuoio capelluto (dove la lesione appare alopecica), tempie e regione periauricolare.
Dopo la pubertà si ispessisce, con possibile rilievo e superficie cheratosica; poi rimane stazionario.
In esso possono svilupparsi neoplasie.
Diagnosi differenziale: facile. Un iniziale xantogranuloma giovanile può essere simile. Nevo
epidermico verrucoso.
Terapia: se piccolo, asportazione chirurgica. Se esteso, asportazione e uso di espansori cutanei.

Nevo di Becker

Lesione pigmentata acquisita costituita da una chiazza bruna a contorni irregolari con numerosi
peli; generalmente monolaterale.
Clinica: da pochi mm a diversi cm, bruno chiaro o scuro omogeneo, aspetto a carta geografica con
isole periferiche, bordi ben definiti e superficie piana.
Comune in tutte le razze. Più spesso compare sulla spalla, in sede pettorale e scapolare.
Le forme bilaterali e multiple sono rare. Spesso è interessata da ipertricosi.
Tardivamente tende a diventare più chiaro.
Diagnosi differenziale: nevo melanocitico congenito medio o grande (è congenito).
Terapia: sempre benigno, rimuoverlo lascia esiti sgradevoli. Si può fare laserepilazione per la
componente pilifera.

Nevi melanocitici

Derivano dalla proliferazione dei melanociti. Tutti durante la vita sviluppano sulla cute lesioni
pigmentate ed è importante quindi la diagnosi differenziale.
La storia naturale non è ancora completamente nota. Dopo una fase di crescita nelle prime 3
decadi segue una fase stabile e poi una di regressione.
Ne esistono nove tipi clinici:
- lentiggine
- nevo melanocitico acquisito piano
- nevo di Miescher
- nevo di Unna
- nevo melanocitico congenito
- nevo di Spitz e di Reed
- macchia mongolica
- nevo di Ota e di Ito
- nevo blu.
In essi possono avvenire fenomeni infiammatori aspecifici che modificano la loro morfologia
in maniera provvisoria o definitiva. Frequenti sono le follicoliti all'interno di un nevo melanocitico.
Una cisti follicolare in un nevo può modificarne la forma; se poi la cisti si rompe, compaiono
eritema ed edema (frequente soprattutto nei nevi peduncolati).
Essendo molto comuni è facile osservarli con altre patologie cutanee (carcinomi in contiguità con
un nevo, verruca nel contesto di un nevo...).
Si possono avere tali modificazioni da identificare 5 varianti dei nevi citati:
- nevo di Sutton (con alone ipocromico)
- nevo di Meyerson (con alone dermatitico)
- nevo melanocitico combinato
- nevo melanocitico persistente
- nevo melanocitico in regressione.

Lentiggine

Piccola macula pigmentata piana, acquisita o congenita, costituita da un aumentato numero di
melanociti nello strato basale dell'epidermide. Può essere isolata o meno (lentigginosi).
Clinica: possono comparire ovunque, sedi fotoesposte o meno. Possono esserci già alla nascita e
aumentare crescendo. Sono di solito isolate, in numero variabile, 1-3 mm, brune chiare o scure,
rotondeggianti. Possono essere la fase iniziale di un nevo melanocitico acquisito piano.
Regrediscono con l'età.
Si può avere poi quadri di lentigginosi, sindromi complesse a trasmissione autosomica dominante,
caratterizzate da lentiggini diffuse, anomalie multiple e anche neoplasie.
Diagnosi differenziale: distinguere dalle efelidi, che sono più chiare e più disseminate, e variano a
seconda dell'esposizione solare (presenti soprattutto nei biondi e con carnagione chiara).
Dalle lentiggini solari, che hanno di solito maggiori dimensioni, più chiare e in sedi fotoesposte.
Una singola lentiggine inoltre si deve differenziare da un nevo melanocitico acquisito piano (più
grande in genere, impossibile comunque da distinguere), dal nevo di Reed e da un melanomo de
novo (però in genere è da subito asimmetrico).
Terapia: nessuna, lesioni assolutamente benigne. Nel dubbio, fare biopsia escissionale.

Nevo melanocitico acquisito piano

È la lesione pigmentata più comune nei caucasici. Piano o leggermente rilevato al centro, < 6 mm o, se maggiore può essere anche asimmetrico, con bordi irregolari (nevo melanocitico acquisito piano
atipico).
Clinica: compare nell'adolescenza o dopo; in genere i caucasici ne hanno 15-30. Bruno, spesso
leggermente più scuro al centro, rotondeggiante, simmetrico, bordi mal definiti, liscio.
Con l'età regredisce. Può presentarsi in combinazione clinica e istologica con altri nevi melanocitici acquisiti (nevo melanocitico combinato).
Essendo così frequente è possibile la sua associazione con il melanoma.
Diagnosi differenziale: se piccolo, difficile distinguerlo da lentiggine o nevo di Reed in fase iniziale.
Se non è simmetrico, impossibile o quasi distinguerlo da un melanoma.
Terapia: benigno. Si toglie solo per fini estetici.

Nevo di Miescher

Lesione cutanea acquisita, cupoliforme, di colore dal bruno chiaro a quello della cute normale,
spesso isolata, quasi sempre sul viso.
Clinica: compare nella pubertà o dopo, più spesso nelle donne; diametro da pochi mm a 1 cm;
rotondo o ovale; liscio, isolato o in poche unità.
Essendo il viso ricco di annessi pilo-sebacei, è possibile avere nel suo contesto una follicolite.
Diagnosi differenziale: quasi indistinguibile da un nevo melanocitico congenito piccolo (più grande
e con peli più grossi delle aree adiacenti); papula fibrosa (più dura); carcinoma basocellulare.
Terapia: si elimina solo per fini estetici.

Nevo di Unna

Lesione acquisita peduncolata o sessile, spesso papillomatosa, molle, colore dal bruno a quello
della cute, presente in poche unità sul tronco e sul collo.
Clinica: in genere > 30 aa, più frequente nelle donne, diametro sino a 1 cm, , con forma polipoide
esofitica, per cui può facilmente essere oggetto di traumatismi o torsioni.
Diagnosi differenziale: fibromi molli (età più tarda, diametro 2 mm); nevo melanocitico congenito
piccolo peduncolato.
Terapia: come i precedenti.

Nevo melanocitico congenito

Lesione pigmentata molto polimorfa, bruno, presente dalla nascita.
Clinica: eziologia sconosciuta, ma sicuramente fattori genetici multipli. A seconda del loro diametro vengono distinti in piccoli (<> 20 cm). Bruni, ma possono avere sfumature blu-nero. Con l'età si atrofizza.
Quelli piccoli sono i più comuni, rotondi, maculosi o papulosi, sessili o peduncolati, lisci o papillati,
spesso con grossi peli terminali.
Quelli alla testa e al collo possono associarsi a melanocitosi leptomeningea e a disturbi neurologici;
quelli della regione lombo-sacrale, a spina bifida e meningomielocele.
Facile il suo coinvolgimento in un nevo melanocitico combinato. Qui più spesso che nei precedenti, ci può essere associazione con melanoma.
Diagnosi differenziale: nevo di Becker, chiazza caffè-latte, nevo epidermico (senza peli).
Terapia: asportazione preventiva per il rischio di melanoma.

Nevo di Spitz e nevo di Reed

Lesioni melanocitarie quasi sempre acquisite, a rapida crescita, con istologicamente proliferazione
di melanociti di forma epitelioidea e fusata. Per alcuni sono diversi, per altri rientrano come
estremi nello stesso quadro.
Clinica: il nevo di Spitz è tipico dell'infanzia, è rosso-rosa e soprattutto al volto.
Il nevo di Reed è più frequente nelle donne, insorgenza 20-30 aa, bruno scuro o nero e soprattutto agli arti inferiori.
Sono frequenti le forme di passaggio tra i due. Entrambi diametro < 1 cm, rotondeggianti, a volte
nodulari, con superficie liscia, verrucosa e cheratosica.
Possibili le varianti combinate. Non pare ci sia associazione con melanoma. Sono state descritte
“metastasi benigne”, rare localizzazioni secondarie linfonodali benigne.
Regrediscono spontaneamente con gli anni.
Diagnosi differenziale: nevo di Spitz: piccolo emangioma (minore consistenza), granuloma
piogenico (comparsa in pochi giorni), mastocitoma solitario (congenito, giallastro).
Terapia: benigni. Si possono togliere in caso di dubbi diagnostici.

Macchia mongolica

Lesione pigmentata grigio-bluastra, congenita o entro il primo anno di età, in più del 90% degli
asiatici e dei nativi d'America, nell'1-2% dei bianchi. Soprattutto alla regione lombo-sacrale.
Clinica: chiamata anche melanocitosi dermica, varia da meno di 1 cm a più cm, rotonda o angolata, unica, o multipla, bluastra o bruno-verde. Può essere anche a fianchi, natiche, dorso, addome, spalle. Eccezionale al volto. Regredisce entro i 7-10 anni.
Diagnosi differenziale: se presente in sedi inusuali, va distinta dal nevo di Ota e dal nevo di Ito(che compare nell'infanzia). Un'ecchimosi può simularla.
Terapia: se persiste, si usano cosmetici coprenti.

Nevo di Ota e nevo di Ito

Il primo è una lesione pigmentata, solitamente unilaterale, alla cute e alle mucose nel territorio
innervato dalla prima e dalla seconda branca del trigemino, con melanociti dendritici dispersi nel
derma reticolare. Il secondo è simile, ma interessa la regione acromio-deltoidea.
Clinica: entrambi hanno colore bluastro con sfumature grigio-bruno-nere, distribuzione omogenea e punteggiata del pigmento, da pochi mm a diversi cm, di forma variabile e con cute normale.
Il nevo di Ota è spesso congenito ma può comparire anche dopo, sino alla pubertà; è più frequente negli asiatici o negli africani. Di solito interessa fronte, tempie, guanche, orecchie, palpebre e sclere omolaterali. Possono essere colpite anche timpano, mandibola, labbra, mucosa nasale o faringea. Può interessare anche gli occhi ma la funzione oculare permane.
Il nevo di Ito compare lungo il decorso del nervo sopraclavicolare laterale e del nervo branchiale
laterale, interessando quindi la regione acromio-deltoidea.
Diagnosi differenziale: facile, si può confondere solo con macchie mongoliche aberranti (insorte al
volto), le quali sono presenti sin dalla nascita e scompaiono nel tempo.
Terapia: cosmetici coprenti.

Nevo blu

Lesione pigmentata blu, prevalentemente acroposta, caratterizzata da melanociti dendritici, fusati o ovali, nel derma.
Clinica: la metà circa si trova sul dorso delle mani e dei piedi; altre sedi sono glutei, volto, superficie estensoria degli arti. Eccezionali a bocca, vagina, sclera, prostata, linfonodi.
Diametro spesso < 1 cm. La porzione visibile è papulosa, in placca o nodulo, rotondeggiante con
superficie liscia o poco desquamante. Sono possibili forme raggruppate; rarissime le forme
multiple, associate con lentiggini, mixoma cardiaco e mixomi muco-cutanei (sindromi complesse
tipo LAMB).
Con gli anni regredisce. Il nevo blu maligno è un melanoma insorto nel contesto di un nevo blu.
Diagnosi differenziale: nevo di Reed (rapida comparsa su arti inferiori di giovani donne), melanoma papuloso.
Terapia: nessuna. Se cambia forma, fare accertamenti istologici.

mercoledì 29 luglio 2009


Urgenze psichiatriche

Gran parte dell’attività è svolta dall’attività medica di base. È fondamentale identificare accertarsi quanto dietro a sindromi psichiatriche è di origine somatica. Spesso non ci si accorge quindi di turbe neurologiche, metaboliche, infettive, tossiche dietro lo stato confusionale acuto, alterazioni cardiologiche o respiratorie dietro l’episodio di ansia, tumori dietro la depressione etc.
L’urgenza psichiatrica comprende l’abuso di sostanze, violenza, suicidio, omicidio, stupro, maltrattamenti, vagabondaggio…
Nell’affrontare l’emergenza, prima di tecniche e prassi da programmare, esiste il problema preliminare, ovvero il capire, evitando di considerare nel pronto soccorso la persona come oggetto ma come individuo con una storia, con avvenimenti emotivi sempre raffrontabili con quelli delle altre persone.
Quindi oltre ai farmaci è importante il “cosa dire”, l’approccio, non fare solo diagnosi ma ricostruire la storia interna del paziente. Il problema però è che in queste situazioni si deve fare tutto di fretta, pressati su mille fronti; si deve avere intuito per le situazioni profonde, recepirle al fine di dare un’impostazione psicoterapeutica. Bisogna cercare di essere dentro il problema della persona, avere “creatività”.

Stato ansioso acuto: il più comune. spesso si presenta corredato da tutte le caratteristiche somatiche (tachicardia, secchezza delle fauci, lipotimia, dispnea…). Il paziente teme di svenire, morire, il medico deve dare il giusto peso a queste affermazioni, rassicurarlo e astenersi dal dire “E’ solo ansia”. Di solito non è necessario il ricovero.

Stato di eccitamento: paziente inquieto, talora aggressivo, a differenza dell’ansioso non chiede aiuto e allontana chi prova ad aiutarlo. Si può riscontrare in caso di:
• Psicosi (schizofrenia o genericamente delirante)
• Depressione
• Patologie del carattere
• Astinenze
• Alcune situazioni psicorganiche.
Si somministrano farmaci come i butirrofenoni (l’aloperidolo), anche nel caso di paziente maniacale.

Stato confusionale acuto: disorientamento spazio-temporale e nella persona. Può precedere il coma e può derivare da:
• Trauma
• Tossicosi, accidentale o volontaria
• Tossinfezioni (soprattutto tifo)
• Cause metaboliche
• Psicosi
• Alcool
• Patologia neurologica

Stato psicotico acuto: può essere l’esordio di una psicosi o un episodio acuto. Sono presenti deliri, allucinazioni, alterazioni del linguaggio… Se è assente stato confusionale si può probabilmente trattare di schizofrenia. Anche qui si somministrano butirrofenoni. È necessario il ricovero, spesso coatto.

Arresto psicomotorio: di solito in catatonici o anche in alcuni casi di melanconia. Si raccomanda il ricovero. Si somministrano neurolettici per i catatonici e antidepressivi per i melanconici.

Reazione depressiva: consegue ad un evento molto stressante; occorre fare attenzione al suicidio. Il ricovero si effettua se l’ambiente che circonda il paziente non è adeguato. Si somministrano antidepressivi.

Tentativo di suicidio: è importante segnalare eventuali:
• Intossicazioni da eccesso di farmaci
• Tagli autoprodotti
• Lesioni traumatiche da precipitazione o investimento
• Lesioni da arma da fuoco
• Stato di asfissia da annegamento, impiccagione o gas.
È molto più frequente nella depressione. Si deve decidere se ospedalizzare il paziente, ma spesso si fa, per i rischi di nuovi tentativi. È importante la presa in carico psicologica tempestiva del paziente.
Si considera anche l’autolesionismo come pseudosuicidio; c’è marcata o meno autodistruzione con elaborazione anomala di impulso aggressivo e/o senso di colpa.

Anomalie del comportamento e paziente violento: bisogna eliminare durante l’intervista ogni oggetto che potrebbe diventare arma. Si deve: rassicurare il paziente, sedarlo con farmaci e usare mezzi di contenzione, tenere conto di episodicità del comportamento o della possibilità che si ripeta. Valutare se ospedalizzare il paziente o no.

Delirium tremens: è negli stati confusionali acuti, può derivare da alcolismo cronico. Ricoverare il paziente reidratarlo o detossicarlo. Utili i farmaci sedativi.

Urgenze da tossicodipendenza:
• Overdose
• Complicanze in corso di tossicosi cronica
• Astinenza
• Emergenze psichiatriche in corso di tossicosi.
L’overdose è la più frequente causa di morte. Oggi per fortuna risulta del tutto reversibile grazie al Narcan (Naloxone), antagonista specifico. Se il paziente non risponde dopo 2-3 dosi (0,4 mg, via endovenosa), si deve pensare alla concomitanza di altri patogeni.
Le complicanze somatiche possibili sono tante: HBV, edema polmonare, endocardite batterica, vasculiti, patologia gravidica e nascita di figlio con astinenze da oppiacei, traumi vari, tentativi di autolesionismo o suicidio, infezioni, AIDS.
Astinenza: non c’è rischio di morte, si somministrano benzodiazepine per calmare i sintomi (ansia, agitazione, impulsività, reazioni corto-circuitarie, talora depressione grave). Si possono avere anche effetti somatici (vomito, diarrea, dolori vari, contratture, collasso, ipertermia) per i quali si possono somministrare gli appositi farmaci.
Bisogna ricordare che la sindrome da carenza di metadone è più grave di quella da morfina o eroina, si manifesta dopo (24-36 h contro le 8-16 h degli oppiacei naturali) ed è più difficile da trattare.

Emergenze psichiatriche: agitazione psicomotoria, grande depressione con rischio suicidio, manifestazioni impulsive. Distinguere questi sintomi da inequivocabili azioni delinquenziali, non di interesse psichiatrico.
Al pronto soccorso si possono avere anche altri casi di uso di sostanze, i cui problemi sono rappresentati solo dalle emergenze psichiatriche. I più frequenti:
• Ebbrezza alcolica
• Eccitamento da intossicazione acuta da cocaina o amfetamina
• Psicosi da allucinogeni, cocaina o amfetamina
• Cattivi viaggi (bad trips) da allucinogeni
• Delirium tremens (astinenza fisica da alcool etilico)
• Astinenza da barbiturici.

venerdì 24 luglio 2009


Disturbi dissociativi e di conversione

I primi sono caratterizzati da sconnessione delle funzioni, solitamente integrate, della coscienza, della memoria, dell’identità o della percezione. Si ha depersonalizzazione e può essere interpretata come meccanismo di difesa che elimina dalla consapevolezza desideri, fantasie o sentimenti inaccettabili. Si ha dai normali periodi di disattenzione, ad esempio durante una conversazione, a veri e propri stati patologici.
I secondi sono caratterizzati da presenza di uno o più sintomi neurologici che non trovano eziologia in un quadro neurologico o internistico, spesso associati ad altri sintomi psichici e al fatto che il paziente tragga dalla patologia un vantaggio non sempre consapevole.
Entrambi i disturbi sono con prognosi favorevole ma con forti rischi di ricadute o cronicizzazione, diventando assai invalidanti.
Concetto di dissociazione: è un fenomeno psichico complesso che interessa diverse funzioni superiori e soprattutto l’organizzazione della coscienza, i cui elementi formali sono:
Coscienza dell’attività dell’Io, “io penso”, riconoscere come propri i vari accadimenti psichici
Coscienza dell’unità dell’Io, “io sono uno nello stesso istante”
Coscienza di identità dell’Io, il riconoscersi sempre come se stessi nel passare del tempo nonostante le normali modificazioni negli anni
Coscienza dell’Io in contrapposizione all’esterno e all’altro, il sapere di essere diversi dal mondo e dagli altri, l’unico confine invalicabile è la pelle.
La dissociazione avviene per gradi; generalmente in momenti d’ansia si può avere un breve periodo di disorganizzazione psichica con poi il recupero della configurazione precedente.
Stati di alterazione della coscienza hanno come fattori eziopatologici:
• Tossici (alcool, farmaci…)
• Metabolici
• Tossinfettivi (infezioni…)
• Lesioni organiche cerebrali (traumatiche, degenerative, arteriosclerotiche…)
• Psichici in condizioni psicotiche acute (mania, melanconia, schizofrenia) e in stati neurotici gravi (isteria, stati ansiosi)

DISTURBI DISSOCIATIVI NEL DSM-IV-TR
Sono disturbi caratterizzati da:
• Amnesia dissociativa
• Fuga dissociativa
• Disturbo dissociativo dell’identità
• Disturbo di depersonalizzazione
• Disturbo dissociativo non altrimenti specificato.

Amnesia dissociativa: non ricordare eventi o persone, spesso di natura traumatica o stressogena. È il sintomo più comune. Bisogna fare caso alla capacità comunque di apprendere nuove informazioni e distinguerla da affezioni neurologiche.

Fuga dissociativa: la più frequente è l’allontanamento da casa o dall’abituale posto di lavoro, con incapacità di ricordare il proprio passato. La fuga di solito è breve ed è accompagnata da confusione circa l’identità personale oppure assunzione di una nuova identità.

Disturbo dissociativo dell’identità: presenza di due o più identità o stati di personalità distinti (con ciascuno modi di percepire, relazionarsi e pensare diversi). Almeno due di essi assumono il controllo della persona. Anche qui ci sono amnesie o distorsione della memoria. È raro, più frequente nelle femmine e in pazienti con anamnesi positiva a gravi traumi (abusi…). È importante distinguere questi sdoppiamenti di personalità con altre patologie come il disturbo istrionico di personalità o la schizofrenia, in cui lo si può solo credere di avere personalità diverse. Importante differenza è che nel disturbo dissociativo sono conservati comportamenti e eloquio organizzato.

Disturbo di depersonalizzazione: sentirsi distaccato o osservatore dei propri processi mentali o del proprio corpo. Essa si può avere in molte situazioni, come:
• Stati tossici (LSD…)
• Psicosi organiche, con dissociazione funzionale degli emisferi cerebrali
• Nelle depressioni (melanconia anestetica)
• Sintomi dell’epilessia
• Schizofrenia
È il fenomeno più tipico nel disturbo della coscienza dell’Io; la coscienza è conservata e valida ma non riconosce come proprie sue esperienze o il proprio corpo. Si ha l’impressione spiacevole di estraneità, irrealtà e stranezza. Tipiche espressioni sono: “Non sono più io, il mio corpo è cambiato, sono diverso; non ho più sentimenti; non sono io a muovermi ed agire; tutto è irreale”.

Disturbo dissociativo non altrimenti specificato: include diversi quadri, tra cui:
• Quadri clinici simili al disturbo dissociativo dell’identità, che non soddisfano pienamente i criteri di questo disturbo
• Derealizzazione, senza depersonalizzazione
• Stati di dissociazione che si manifestano in persone sottoposte a periodi di persuasiove coercitiva prolungata ed intensa (es. lavaggio del cervello). In essa è fondamentale la suggestionabilità del soggetto, che spesso qui è alta
• Disturbo dissociativo di trance, alterazioni singole o episodiche della coscienza, dell’identità o della memoria, abituali in certe aree e culture
• Stupor, perdita di coscienza o coma non attribuibile ad una condizione medica generale
Sindrome di Ganser, rara, di breve durata, caratterizzata da quattro sintomi: risposte “approssimate”, sintomi fisici psicogeni, allucinazioni, offuscamento della coscienza. In essa si ha stato di coscienza crepuscolare transitorio con disorientamento, distraibilità, allucinazioni combinate, cefalea, segni isterici (paralisi, anestesia, parestesia…), amnesia improvvisa, classiche risposte “di traverso” o “approssimate” in cui il paziente comprende la domanda ma “manca” la risposta giusta mediante un meccanismo piuttosto evidente. Ad esempio, “2 + 2? Cinque” oppure “quante zampe ha una gallina? Tre”, a cui si aggiungono spesso risposte “Non so, non ricordo”. Sono stati descritti in questa malattia: desiderio di fuga dalla malattia, il voler non sapere, il tentativo inconscio con amnesia o perdita di identità di ingannare se stessi per non sentirsi responsabili e superare l’ansia prodotta dalla situazione. Spesso questa sindrome ha aspetti psicotici.

Per formulare una di queste diagnosi bisogna ricordare che i sintomi non devono derivare da effetti di sostanze o da una condizione medica generale.
Indirizzi terapeutici: la terapia può essere molto difficile e impiegare anni; la prognosi pare poi dipendere da ciò che si ritiene essere la causa del disturbo: traumi e abusi producono conflitti minori, ma se ad essi si associano gravi carenze affettive la situazione peggiora.
Psicoterapia: ci sono due proposte, il modello psicodinamico e quello cognitivo. Il primo prevede l’integrazione attraverso stadi successivi, spesso con ospedalizzazione. Il secondo prevede collaborazione del pz e capacità esplorative per giungere ad un suo rafforzamento; le esperienze di vita di questi pz devono essere metabolizzate e poi riassorbite e riprocessate. Viene usata anche l’ipnosi.
Il ruolo dell’ospedalizzazione: è preferibile trattare questi pz al di fuori del ricovero, ma spesso per comportamenti come autolesionismo, ansia grave, depressione, fuga, violenza (involontaria), necessità di protezione, si rende necessario.
Trattamento farmacologico: il trattamento di elezione è la psicoterapia, ma farmaci possono essere utili per grave ansia o depressione.


DISTURBI DI CONVERSIONE
In questa grande famiglia, conosciuta anche come isteria, si trovano tre disturbi:
• Disturbo somatoforme
• Disturbo di conversione
• Disturbo dissociativo
L’isteria ha grandi variabilità, e in generale la “cognitività isterica” viene descritta come generica, globale, diffusa, fondata su caratteristiche “impressioni” prive di dettagli netti, carente di un focus attentivo; l’isterico risponde velocemente, è molto predisposto a ciò che è immediatamente impressionante, a ciò che fa colpo o è meramente ovvio. Lo stile cognitivo è senza dettagli concreti o definizioni minuziose, senza curiosità intellettuale; c’è distraibilità e tendenza a fermarsi all’ovvio (ingenuità dell’isterico). Il mondo cognitivo qui è colorito, eccitante ma senza fatti e sostanza. Altri aspetti tipici sono l’atteggiamento romantico, teatrale, con affettività non integrata e superficiale con aspetti simili a normali caratteri passivi e impulsivi. Pare vi sia inoltre un desiderio di trarre vantaggio dall’essere o parere malato con ricerca di “guadagno secondario”. I sintomi in generale comunque sono:
• Sintomi somatici: alterazioni funzionali prive di riscontri organici (afonia, turbe dell’andatura, lipotimie, vertigini, convulsioni, cecità, sordità, disfagia, disagi sessuali… insomma ad ogni organo). Essi costituiscono lo “scarico” nel corpo della tensione emotiva. È necessario distinguere questi sintomi da quelli con riscontro clinico o laboratoristico. Spesso c’è teatralità nelle manifestazioni cliniche
• Sintomi psichici: amnesia, stati crepuscolari, stati acinetici, stati deliranti allucinatori (deliri mistici, allucinazioni terrifiche o celestiali…), stati di depressione e euforia isterici, puerili o grotteschi.
È facile quindi confondere questi sintomi con altre psicosi. È caratteristica nell’isteria la grande varietà dell’espressività isterica, che può comprendere forme dimostrative o più intime e depressive. Queste caratteristiche dipendono anche dai singoli aspetti socio-culturali e soprattutto dal progresso tecnico-scientifico: non vi sono più i quadri clamorosi di una volta, ma quadri con lipotimie, dolori vari, afonie, eccitamento psicomotorio, aspetti vanitosi o ostentativi.
L’isteria può rappresentare oggi una struttura emotiva centrale nella vita non solo individuale ma anche di gruppo. Manifestazioni di “massa” possono essere l’enfatizzazione della libertà sessuale, l’apologia della droga come mezzo liberatorio, (tipiche negli adolescenti) e si possono vedere come manifestazioni isteriche moderne derivate da una subdola e persistente repressione emotiva e dalla necessità di nuove difese collettive contro l’angoscia come risposta alle eccessive e anticipate richieste di emancipazione personale da parte dell’odierna società industriale.
Elementi di terapia: innanzitutto è importante identificare tramite psicoterapia e chiarire i conflitti del paziente e i relativi sintomi, cercando poi di modificare i conflitti generatori della sintomatologia. Si può usare anche ipnosi. Si cerca di evitare di somministrare farmaci.