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venerdì 30 marzo 2012


Epatite virale C

L’agente eziologico è un virus a RNA monocatenario (HCV) appartenente al genere Hepacivirus della famiglia dei Flaviviridae.
Come altri virus a RNA, il virus dell’epatite C presenta un notevole grado di variabilità, che rappresenta probabilmente un meccanismo attraverso cui il virus elude la risposta immune dell’ospite favorendo la persistenza dell’infezione. In conseguenza di ciò, in una persona infetta si possono trovare varianti multiple nelle sequenze genetiche del virus stesso.
Tuttavia, queste varianti restano geneticamente abbastanza simili, tanto che presentano dal 91% al 99% di identità in determinate regioni del genoma.
Oltre a queste variazioni tra i virus che infettano la stessa persona, si osservano altre e più marcate differenze genetiche nei virus isolati da ammalati diversi.
In base a queste differenze genetiche, è stato possibile distinguere sei genotipi maggiori di HCV (da 1 a 6) che hanno tra loro non più del 60% di identità nelle sequenze nucleotidiche.
All’interno di ciascun genotipo è possibile distinguere dei subgenotipi con identità nelle sequenze nucleotidiche tra il 75% e l’85%.
I vari genotipi hanno distribuzione geografica diversa e presentano, pertanto, un interesse epidemiologico.
Inoltre, essi hanno anche interesse clinico, giacchè la risposta alla terapia con interferone è diversa a seconda del genotipo del virus che infetta il singolo paziente.
HCV penetra per via parenterale e, giunto nel fegato, si localizza negli epatociti, in cui si riproduce.
Anche altre cellule, come i linfociti T e B ed i monociti, possono essere infettati e dar luogo alla replicazione virale, specialmente nel corso di infezioni croniche.
La presenza del virus è stata anche osservata nelle lacrime, nella saliva, nelle urine e nello sperma ma, contrariamente a HBV, la sua trasmissione con questi fluidi organici è rara.
L’infezione da HCV è diffusa in tutto il mondo con una distribuzione geografica variabile.
Si ritiene che più di 500 milioni di persone siano infettate dal virus dell’epatite C.
In Africa più del 5% della popolazione risulta infetta da HCV. In Italia l’epatite di tipo C rappresenta circa il 15-18% di tutti i casi di epatite virale. La prevalenza di anti-HCV è in media dell’1%. L’incidenza della malattia è diminuita progressivamente nel corso degli ultimi anni come conseguenza del controllo sistematico dei donatori.
L'HCV si trasmette attraverso la via parenterale, principalmente mediante il sangue e i suoi derivati. Di conseguenza, l’assunzione di droga per via endovenosa o le trasfusioni di sangue sono la causa principale di trasmissione di HCV.
Nei paesi industrializzati talassemici, emofilici, emodializzati e tossicodipendenti sono i soggetti a più alto rischio di infezione. Alcune categorie professionali come gli operatori sanitari possono essere a rischio di infezione.
La malattia viene raramente acquisita in seguito a trasfusione, come già ricordato per lo screening sistematico di tutte le unità di sangue. L’HCV può essere trasmesso, inoltre, anche per via sessuale, intrafamiliare o in comunità e per via verticale sebbene con una frequenza assai minore. Tuttavia, per una consistente quota di casi di epatite virale da virus C, la modalità di infezione rimane sconosciuta.
Diagnosi : la diagnosi di epatite virale C viene fatta mediante la dimostrazione degli anticorpi ant-HCV nel siero con saggi immunoenzimatici (EIA, enzyme immunoassay), che determinano gli anticorpi contro diversi antigeni delle proteine virali NS3, NS4, NS5 e del core.
Per la conferma delle reattività ottenute con i test EIA viene impiegato il RIBA test (recombinant immunoblotting assay), che permette la individuazione degli anticorpi verso i singoli antigeni utilizzati nel test e consente di escludere le false reazioni positive.
Comunque, il riscontro di anticorpi anti-HCV non permette di distinguere uno stato di pregressa infezione da quello di portatore cronico, che sono condizioni diverse dal punto di vista della prognosi e dello stato di infettività del soggetto positivo. Mancano però test per la ricerca diretta di antigeni virali.
La PCR (Polymerase Chain Reaction) permette di identificare, in campioni biologici, sequenze specifiche dell’acido nucleico virale anche se presenti in quantità molto modeste.
La determinazione dell’HCV-RNA riveste un ruolo importante sia al fine di una diagnosi eziologica sia perché consente di esprimere un giudizio prognostico.
Infatti, la scomparsa di HCV-RNA nel siero è correlata con la risoluzione della malattia mentre la sua persistenza indica una progressione verso l’epatite cronica.
Prevenzione
La notifica è obbligatoria e ogni caso notificato deve essere seguito da accurata indagine epidemiologica per individuare la sorgente dell’infezione.
Non disponendo ancora di vaccini sicuri ed efficaci anche a causa della estrema variabilità antigenica del virus e considerata l’alta percentuale di cronicizzazione, è importante che la prevenzione dell’epatite C sia attuata agendo sulle vie di trasmissione.
Le misure generali di prevenzione sono quelle già espresse per l’epatite B con particolare riferimento ai controlli sul sangue ed emoderivati.


domenica 25 marzo 2012


Sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS)

Identificata per la prima volta nel 1981 negli Stati Uniti, l’AIDS si è rapidamente diffusa in tutto il mondo. Considerata inizialmente come una malattia limitata agli omosessuali maschi ed ai tossicodipendenti, essa interessa ormai chiunque abbia comportamenti sessuali incauti; pertanto, essa va considerata alla stessa stregua delle altre malattie sessualmente trasmesse.
In definitiva, quello che è stato osservato fino ad oggi rappresenta la conseguenza del diffondersi con carattere pandemico di un virus, già endemico in alcune aree dell’Africa centrale, che ha trovato nei mutamenti sociali, demografici e comportamentali dell’ultimo ventennio del secolo scorso le condizioni favorevoli per una rapida espansione.
Infatti, hanno svolto un ruolo importante nel favorire la diffusione dell’infezione l’inurbamento di grandi masse di popolazione e l’utilizzo di pratiche sanitarie non sicure nel continente africano, il commercio del sangue, il diffondersi della droga e l’elevata promiscuità sessuale nei paesi industrializzati.
L’agente responsabile è un virus ad RNA, classificato fra i retrovirus e denominato HIV (acronimo di Human Immunodeficiency Virus), di cui si conoscono due varianti : HIV-1, ormai diffuso in tutto il mondo, e HIV-2 presente soprattutto in alcune aree dell’Africa centrale ed occidentale. Come tutti i retrovirus, l’HIV si riproduce mediante trascrizione del suo RNA in DNA per mezzo dell’enzima DNA polimerasi RNA-dipendente (detta anche transcrittasi inversa), con successiva integrazione nel genoma dell’ospite.
Ne consegue che esso può rimanere a lungo nella persona infetta, prima in forma latente e, nella fase finale dell’infezione, come responsabile dell’immunodeficienza manifesta.
Fra i retrovirus umani vi sono anche i virus oncogeni HTLV 1 e HTLV 2 correlati ad alcune rare fome di leucemia.
La particella virale matura o virione è costituita da un rivestimento derivato dalla membrana cellulare della cellula in cui essa si è riprodotta e dal suo nucleocapside.
Diverse proteine strutturali ed enzimi entrano nella composizione del virus e svolgono varie funzioni nel ciclo riproduttivo. Nella membrana di derivazione cellulare sono inserite le glicoproteine virali di rivestimento esterno, denominate gp41 (transmembrana) e gp120 (membrana esterna). La glicoproteina gp120 svolge un ruolo essenziale nel processo infettivo, giacchè consente al virus di legarsi alla molecola CD4 della superficie dei linfociti T (CD4+), dei macrofagi e delle cellule microgliali. La matrice che si trova tra il rivestimento ed il nucleo (core) è costituita in massima parte dalla proteina p17. Il core, di forma cilindro-conica, è circondato dalle proteine strutturali p24 e p6 e contiene l’RNA virale, gli enzimi integrasi e transcrittasi inversa (p66). All’interno del virione è presente anche una proteasi (p51)
Diversi componenti virali hanno funzione antigene e la determinazione dei relativi anticorpi è utilizzata a scopo diagnostico, sia per individuare le persone infette durante la fase di latenza (persone sieropositive) sia per la diagnosi eziologica in fase di AIDS conclamata.
Il ciclo riproduttivo del virus può essere distinto in due fasi.
Nella prima fase si ha l’adesione ai recettori cellulari (CD4 e citochine), la fusione del rivestimento virale con la membrana cellulare e la liberazione del core nel citoplasma, la trascrizione dell’RNA in DNA e l’integrazione di questo nel genoma della cellula infettata, in cui persisterà sotto forma di provirus che possono restare a lungo in forma latente. In questa fase, il genoma virale viene trasmesso a tutta la progenie nel corso della moltiplicazione cellulare.
La seconda fase avviene durante la vita della cellula ospite e richiede l’intervento di enzimi virali e cellulari per la produzione di nuovi costituenti dei virus; i vari costituenti vengono ricomposti nel citoplasma e liberati per gemmazione attraverso la membrana citoplasmatica che, in tal modo, viene a ricoprire i nuovi virioni.
Diversi fattori esterni, come coinfezioni con altri agenti, produzione di citochine infiammatorie ed attivazione cellulare, possono promuovere la replicazione del virus.
Schematicamente, la storia naturale dell’infezione può essere distinta in 4 fasi :
1- infezione iniziale o primaria: caratterizzata da una elevata concentrazione di RNA virale nel plasma e da una caduta dei linfociti CD4+. Successivamente, dopo la sieroconversione con produzione di anticorpi anti-HIV, la viremia si abbassa rapidamente e si passa alla fase di latenza nel giro di 6-12 mesi. La sieroconversione avviene dopo 4-6 settimane dall’infezione ma talvolta occorrono fino a 6 mesi perché si possa dimostrare la sieropositività.
Questo intervallo di tempo tra l’infezione e la sieroconversione è detto “periodo finestra”, durante il quale la persona è sieronegativa ma ha una elevata carica virale ed è in grado di infettare altre persone. Nelle prime settimane o qualche mese dopo l’infezione iniziale o infezione primaria si hanno manifestazioni acute simili a quelle della mononucleosi : febbre, faringite, linfoadenopatia, cefalea, nausea, vomito, diarrea, mialgie, artralgie, eruzioni cutanee. In alcuni casi, già nella fase iniziale si possono presentare sintomi propri delle fasi più avanzate (esofagite da Candida, ulcerazioni cutanee, alterazioni neurologiche ecc.)
2- infezione asintomatica o fase di latenza (persone sieropositive, asintomatiche): durante la fase di latenza, nella maggior parte dei casi, in assenza di trattamenti, la conta dei linfociti CD4+ decresce lentamente con il passare degli anni. Questa fase può avere una durata variabile da meno di 5 anni ad oltre 15 anni, in rapporto, verosimilmente, a fattori costituzionali ed a fattori ambientali ed allo stile di vita.
3- inizio della fase sintomatica, con linfoadenopatia generalizzata cronica: in questa fase si ha un nuovo aumento della viremia ed una più rapida caduta nella conta dei linfociti CD4+ con possibilità di manifestazione dei primi sintomi dell’immunodeficienza. I processi correlati con la risposta immunitaria all’infezione virale sono:
- linfoadenopatia generalizzata cronica : è definita come la presenza di due o più siti extrainguinali (occipitali, sottomandibolari, cervicali, ascellari)di linfoadenopatia per un minimo di 3-6 mesi, senza altre cause che ne possano essere all’origine. Con il progredire dell’infezione verso l’AIDS conclamata si ha l’involuzione dei linfonodi
- trombocitopenia
- demenza HIV-correlata
4- immunodeficienza avanzata, con le complicanze opportunistiche che caratterizzano l’AIDS.
Questa è la fase dell’AIDS conclamata in cui il numero di linfociti CD4+ è inferiore a 200/mm3, la carica virale è elevata e si manifestano le infezioni opportunistiche e le neoplasie che caratterizzano la sindrome da immunodeficienza.
- protozoi : Pneumocystis jiroveci (prima denominato Pneumocystis carinii) che causa una grave forma di polmonite, Toxoplasma gondii che si localizza più frequentemente nel cervello e nell’occhio
- miceti : Candida albicans che causa infezioni nella bocca, nell’esofago e nei polmoni
- batteri : Mycobacterium tuberculosis ed altri micobatteri ed altri batteri Gram-positivi e Gram-negativi
- virus : Herpesvirus, Cytomegalovirus
- neoplasie : sarcoma di Kaposi, linfomi non Hodgkin, cancro della cervice uterina
Epidemiologia : l’uomo è l’unico serbatoio dei virus HIV-1 e HIV-2 e le persone infette in tutte le fasi, dall’infezione iniziale o primaria, alla fase di latenza (persone sieropositive asintomatiche), fino alla fase dell’AIDS conclamata costituiscono le sorgenti di infezione.
Infatti, i virus persistono per tutta la vita nell’organismo infetto, integrati allo stato di provirus nel genoma delle cellule nucleate del sangue, da cui si liberano in forma matura per passare nei vari fluidi organici.
I virus si ritrovano nel sangue, nel liquor, nelle lacrime, nella saliva, nel latte, nello sperma, nelle secrezioni cervicovaginali, nelle urine.
Tuttavia, la trasmissione è stata accertata soltanto attraverso il sangue, lo sperma, le secrezioni cervicovaginali ed il latte. Non vi è alcun rischio di contagio con i normali rapporti sociali.
Le sorgenti di infezione più temibili sono costituite dalle persone in fase di latenza che ignorano il loro stato e che non adottano alcuna precauzione nei rapporti sessuali.
Le modalità di trasmissione sono analoghe a quelle dell’epatite B: attraverso i rapporti sessuali (vaginali, anali, orali), per il contatto delle mucose con i liquidi biologici infetti (sperma e secrezioni pre-eiaculatorie, secrezioni cervicovaginali, sangue). I rapporti violenti aumentano il rischio di infezione per le lesioni che producono nelle mucose, particolarmente nella mucosa anale che è meno resistente di quella vaginale. Il rischio aumenta anche in caso di altre infezioni o di lesioni preesistenti nelle mucose. Per inoculazione percutanea con aghi ed altri strumenti aguzzi o taglienti contaminati con sangue. La trasmissione con aghi contaminati da sangue è frequente tra i tossicodipendenti per l’abitudine di scambiarsi la siringa per l’iniezione della droga. Il rischio di trasmissione per inoculazione esiste anche in occasione di tatuaggi e piercing, nelle pratiche medico-chirurgiche ed odontoiatriche, attraverso le mucose (es. mucose congiuntivali) e le lesioni cutanee venute a contatto con sangue o altri liquidi organici, come può avvenire nella pratica medica, attraverso la placenta durante la gravidanza (5%), durante il parto naturale (13-18%): l’infezione può avvenire per via percutanea attraverso il contatto del sangue materno con abrasioni della pelle del nascituro nel canale del parto, con l’allattamento. La trasmissione con il sangue trasfuso e con emoderivati ottenuti da donatori infetti non è più attuale grazie ai controlli dei donatori, ai trattamenti di inattivazione dei virus cui sono sottoposti gli emoderivati ed alla produzione di fattori della coagulazione ricombinanti. Malgrado il forte impatto emotivo che la malattia ha nell’opinione pubblica e la mobilitazione delle organizzazioni sanitarie nazionali ed internazionali, la pandemia continua a diffondersi pur avendo rallentato la sua progressione, che, nei primi anni di comparsa in America ed in Europa, ha visto il raddoppio del numero dei casi di malattia di anno in anno.
Secondo stime dell’OMS, nel 2006 in tutto il mondo si avevano quasi 40 milioni di persone infette, 4,3 milioni delle quali si erano infettate in quello stesso anno (di queste nuove infezioni, 2,8 milioni erano avvenute nell’Africa sub-sahariana).
Nei paesi dell’Europa centro-occidentale si calcola che vi siano 740 mila infetti.
In Italia, si stima che dal 1983 al 2006 si siano infettate da 140 mila a 180 mila persone e che vi siano stati circa 47 mila casi di AIDS conclamata con 40 mila decessi.
La prevalenza dei casi di infezione nel 2006 sarebbe stata tra 110 mila e 130 mila persone sieropositive, con 25 mila casi di AIDS conclamata.
Il 40% dei nuovi casi di infezione sarebbe causato da rapporti eterosessuali, il 20% da rapporti omosessuali o bisessuali ed il resto quasi tutto da scambio di siringhe contaminate.
Diagnosi: durante il cosiddetto “periodo finestra”, qunado non ci sono ancora anticorpi rivelabili ma c’è una alta carica virale, in una persona che si è esposta al rischio di infezione si può cercare l’antigene HIV-RNA mediante tecniche molecolari. I test di screening generalmente usati per rivelare lo stato di infezione durante la lunga fase di latenza sono basati sulla ricerca degli anticorpi e/o dell’antigene p24 con diverse varianti della metodica ELISA.
Questi tes di screening sierologici sono caratterizzati da elevata sensibilità e buona specificità, ma ogni risultato positivo va sottoposto sempre ad un test di conferma. Il test utilizzato per la conferma o l’esclusione dei sieri risultati positivi allo screening è basato sulla metodica dell’immunoblotting (Western Blot, RIBA, ecc.) che rivela la presenza degli anticorpi rivolti verso singoli antigeni virali.
Prevenzione
In mancanza di un vaccino anti-HIV, la cui disponibilità non è prevedibile a breve scadenza, una efficace prevenzione primaria può essere condotta soltanto con una serie di interventi basati sulle conoscenze epidemiologiche.
Le strategie per la prevenzione dell’infezione devono mirare ad interrompere la trasmissione per via sessuale, la trasmissione attraverso il sangue e la trasmissione perinatale.
La prevenzione della trasmissione per via sessuale deve mirare a promuovere comportamenti responsabili e cauti, tali da eliminare, o, almeno, ridurre i rischi di infezione.
Specialmente gli adolescenti, i più esposti a comportamenti a rischio di infezioni trasmesse per via sessuale, devono essere educati.
I programmi di educazione sanitaria da svolgere in ambito scolastico devono mirare non solo ad informare sui rischi della promiscuità sessuale, ma anche a indurre comportamenti responsabili (fedeltà reciproca di coppia, uso del preservativo, riduzione del numero dei partner).
La trasmissione attraverso il sangue, allo stato attuale, è la modalità principale tra i tossicodipendenti che usano scambiarsi le siringhe. Ovviamente, l’attuazione di programmi per la prevenzione della tossicodipendenza e per il recupero dei tossicodipendenti ha ricadute positive ai fini della prevenzione dell’infezione da HIV. Effetti positivi più immediati si hanno con la messa a disposizione gratuita di siringhe sterili non riutilizzabili (autobloccanti) e con l’educazione per indurre ad evitare lo scambio di siringhe.
Lo screening dei donatori ha praticamente eliminato la trasmissione dell’infezione con le trasfusioni; tuttavia, da parte dei medici va incoraggiata la pratica della trasfusione autologa in tutti i casi di interventi programmati, per evitare il rischio, anche se minimo, di trasfondere sangue di un donatore che si trovi nel “periodo finestra”.
Anche il rischio di infezione con plasma e derivati, come i fattori della coagulazione e le immunoglobuline è vicino allo zero grazie ai controlli cui sono sottoposti i donatori ed ai trattamenti di decontaminazione.
Nella pratica medico-chirurgica vanno adottate tutte le precauzioni per evitare la contaminazione con il sangue sia del personale d’assistenza sia delle persone assistite.
In particolare, va usato strumentario sterile, possibilmente monouso, e bisogna eliminare aghi ed altri oggetti aguzzi o taglienti in appositi contenitori con pareti non perforabili.
Per la prevenzione della trasmissione perinatale è raccomandato di offrire a tutte le donne in gravidanza il test di screening e, in caso di positività anche al test di conferma, prporre il parto cesareo.
Per evitare la trasmissione con il latte si consiglierà di evitare l’allattamento al seno.
Le persone sieropositive, oltre ad aver garantito il diritto alla riservatezza, non devono essere sottoposte ad alcuna restrizione o discriminazione nella vita sociale e nelle attività lavorative.
Esse vanno informate sulle modalità di trasmissione dell’infezione ed educate ad evitare di contagiare altre persone; in particolare, bisogna insistere perché chi è sieropositivo informi il proprio partner del suo stato.

martedì 20 marzo 2012


Infezioni a trasmissione sessuale

Diverse infezioni si trasmettono per contagio diretto da persona a persona durante i rapporti sessuali. Fra le infezioni sessualmente trasmesse rientrano, ovviamente, le classiche malattie veneree (sifilide, gonorrea, linfogranuloma inguinale, ulcera venerea).
A queste vanno aggiunte diverse altre infezioni (candidosi delle mucose genitali, tricomoniasi vaginale, infezioni genitali da Chlamidia trachomatis, herpes genitale, infezioni da papillomavirus umani) che hanno larga diffusione a causa anche del fatto di essere tenute erroneamente in poca considerazione. In realtà esse hanno un impatto importante sulla salute, specialmente dei giovani, anche per le gravi conseguenze che ne possono derivare. Basta menzionare, al riguardo, le infezioni da papillomavirus umani oncogeni.
La prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse consiste essenzialmente nell’educazione ai comportamenti cauti e responsabili nei rapporti sessuali.
Accanto a queste vanno menzionate alcune infezioni la cui trasmissione interumana avviene sia per via sessuale sia mediante inoculazione transcutanea degli agenti eziologici.
Questo tipo di trasmissione avviene mediante inoculazione di sangue (anche in tracce) o di emoderivati, in occasione di trasfusioni, per lesioni con strumentario medico contaminato, per punture con aghi di siringhe ecc.
Rappresentanti tipici di questa categoria di infezioni sono la sindrome da immunodeficienza acquisita indicata con l’acronimo AIDS (Acquired Immunodeficiency Syndrome), l’epatite virale B e l’epatite virale C.

giovedì 15 marzo 2012


Infezioni streptococciche

Gli streptococchi sono batteri di forma sferica, del diametro di 1-1,5 micrometri, Gram-positivi, riuniti in catenelle, asporigeni, capsulati.
La classificazione degli streptococchi si basa essenzialmente sulla diversa azione che essi hanno sulle emazie e sui diversi antigeni della parete cellulare.
- Gli streptococchi alfa-emolitici o viridanti: causano alfa-emolisi, cioè trasformazione dell’emoglobina, per cui in piastre di agar-sangue le loro colonie sono circondate da un alone verdastro torbido.
- Gli streptococchi beta-emolitici: causano beta-emolisi, cioè emolisi completa, per cui in piastre di agar-sangue le loro colonie sono circondate da un alone trasparente.
- Gli streptococchi gamma-emolitici o anemolitici: non causano emolisi.
In base agli antigeni della parete cellulare si distinguono diversi gruppi, da A a T.

Streptococcus pyogenes

I patogeni di maggior rilievo epidemiologico sono gli streptococchi beta emolitici di gruppo A o Streptococcus pyogenes.
Sono dotati di diversi fattori di patogenicità:
- streptolisina O : danneggia il cuore
- streptolisina S : danneggia l’epitelio tubulare renale
- ialuronidasi
- NADasi (nicotinamide-adenina-dinucleotidasi)
- streptochinasi
- proteasi
- nucleasi
- capsula di acido ialuronico (attività antifagocitaria)
- proteina M : azione antifagocitaria
- fattore di aderenza specifica degli streptococchi (il suo ruolo è di tale importanza che praticamente solo gli anticorpi anti-M risultano protettivi)
- tossina eritrogenica : presente in alcuni ceppi nel cui cromosoma è integrato il DNA di un particolare batteriofago
Provoca il caratteristico esantema scarlattinoso, innalza la temperatura corporea ed ha una certa capacità immunosoppressiva.
Le forme morbose primitive o a carattere suppurativo cui S. pyogenes può dare luogo sono rappresentate da malattie suppurative con possibilità di diffusione setticemica:
- faringite o angina streptococcica: nel caso che l’angina sia sostenuta da ceppi produttori di tossina eritrogenica si ha il quadro clinico caratteristico della scarlattina. A questa possono fare seguito complicanze suppurative quali otite media, mastoidite, meningite, ascessi peritonsillari, broncopolmonite
- scarlattina: è una malattia ubiquitaria, più diffusa nelle zone temperate, con andamento endemico e, molto più di rado, epidemico. In Italia i casi ufficialmente notificati sono circa 25.000 l’anno ma è probabile che siano molto più numerosi. La sorgente di infezione è il malato, che comincia ad espellere il batterio 24 ore prima della comparsa della sintomatologia. L’infezione è trasmessa per contagio diretto con le modalità consuete per le infezioni respiratorie trascurabile è il contagio indiretto attraverso oggetti e materiale contaminato in quanto lo streptococco, anche se capace di sopravvivere a lungo nell’ambiente, con l’essicamento riduce fino a perderlo il suo potere infettante. Colpisce soprattutto l’età compresa fra 3 e 15 anni, specialmente la popolazione scolastica. E' una malattia streptococcica esantematica causata da ceppi di S. pyogenes (beta-emolitici di gruppo A) che producono la tossina eritrogenica. Ha incubazione breve di 2-5 giorni.
La malattia inizia bruscamente con febbre elevata, angina dapprima eritematosa e poi essudativa con vomito. Entro 48 ore si ha la comparsa del caratteristico esantema, che interessa inizialmente il collo ed il torace per poi estendersi al volto (dove risparmia il naso, la cute periorale ed il mento, con formazione della cosiddetta maschera scarlattinosa) e agli arti.
L’esantema è di tipo eritematoso-papuloso, puntiforme e si schiarisce alla pressione. Dopo 3-5 giorni il rash scompare con intensa desquamazione cutanea, la febbre cade per lisi e tutta la sintomatologia regredisce rapidamente.
La malattia conferisce una immunità duratura nei confronti della tossina eritrogenica; sono possibili le recidive dovute a eritrotossine immunologicamente diverse.
La diagnosi è essenzialmente clinica; può essere confermata con la ricerca di S. pyogenes eseguita con i classici metodi colturali o evidenziando direttamente gli antigeni streptococcici nelle secrezioni delle prime vie aeree o rilevando un aumento del titolo delle antistreptolisine (TAS) che però compare più tardivamente. La notifica della scarlattina è obbligatoria. L’isolamento del malato può essere sospeso dopo tre giorni dall’inizio della terapia antibiotica (penicillina, eritromicina, cefalosporine) che deve comunque essere continuata per almeno 10 giorni. Nei confronti di conviventi e contatti viene attuata la sorveglianza sanitaria per 7 giorni. La chemioprofilassi può essere attuata con la somministrazione di antibiotici per non meno di 10 giorni.
- manifestazioni cutanee : erisipela, impetigine ed altre forme di piodermite
- endometrite : febbre puerperale conseguente ad una infezione streptococcica postpartum dell’endometrio
- sepsi : complicanze suppurative in altre sedi : endocardite acuta ulcerativa (endotelio valvolare cardiaco)

Malattie non suppurative o post-streptococciche :

Reumatismo articolare acuto
la malattia reumatica è più frequente fra i soggetti in età da 5 a 15 anni, senza una particolare predilezione per uno dei due sessi. Nel 2002 in Italia si sono registrati 1727 decessi per cardiopatia reumatica; l’età in cui si ha una maggiore frequenza di morte è quella intorno ai 50-55 anni. Mediamente l’intervallo tra il primo attacco di reumatismo articolare acuto e la morte per cardiopatia si aggira intorno ai 35-40 anni.
In Italia la prevalenza di cardiopatia reumatica nella popolazione scolastica è tra 0 e 1%
E' una malattia sistemica caratterizzata da episodi febbrili, poliartrite migrante e interessamento cardiaco (pancardite); raramente si possono associare sintomi neurologici (chorea minor) e cutanei (eritema marginato, noduli sottocutanei).
L’episodio reumatico interviene dopo un intervallo di 2-3 settimane da un episodio di infezione streptococcica e si esaurisce dopo 1-4 settimane con regressione completa dei sintomi articolari.
Spesso, però, residua un danno irreversibile a livello del cuore.
Una caratteristica importante della malattia è la tendenza a dare recidive, con progressivo aggravamento delle lesioni cardiache ed evoluzione in vizi valvolari o miocardiopatie croniche.
I meccanismi patogenetici non sono ancora del tutto chiariti; è accertato che nei tessuti colpiti da lesioni reumatiche è costante la presenza di complessi antigene-anticorpo.
Eistono prove sperimentali di una affinità tra antigeni streptococcici e antigeni normalmente presenti nei tessuti; gli anticorpi antistreptococcici sarebbero quindi in grado di reagire in maniera crociata con antigeni di tessuto propri dell’ospite, determinando una reazione autoimmune.
D’altra parte, antigeni streptococcici potrebbero fissarsi preferenzialmente su specifiche strutture tissutali determinando lesioni primarie per la loro tossicità intrinseca o lesioni secondarie in conseguenza del legame con specifici anticorpi capaci di fissare il complemento o potrebbero alterare i tessuti con la comparsa di una reazione autoimmune.
Dati derivanti dallo studio degli antigeni di istocompatibilità dei leucociti umani (HLA) suggeriscono l’esistenza di una predisposizione costituzionale alle manifestazioni reumatiche, probabilmente in rapporto con alterazioni della risposta immunitaria ad antigeni batterici).
Diagnosi clinica è posta sulla base di più segni clinici o criteri di Jones
- Criteri maggiori : corea, cardite, poliartrite, eritema marginato, noduli sottocutanei
- Criteri minori : febbre, artralgie, indici di flogosi (>VES, presenza di proteina C reattiva, leucocitosi neutrofila), aumento dell’intervallo P-R all’ECG, pregressa infezione streptococcica (anamnesi, titolo elevato di anticorpi antistreptolisina, positività per streptococco di gruppo A della coltura dell’essudato faringeo prelevato con tampone)
Prevenzione :
- Prevenzione primaria o prevenzione del primo attacco reumatico.
Ha come obiettivo impedire la sensibilizzazione evitando le infezioni da streptococco beta-emolitico di gruppo A e curando tempestivamente le angine streptococciche.
La prevenzione dell’infezione si basa essenzialmente sulla rimozione dei fattori socio-economici (povertà) ed ambientali (affollamento) che favoriscono la diffusione degli streptococchi.
La terapia efficace e tempestiva delle angine streptococciche (accertate mediante tampone faringeo il cui materiale viene saggiato da test rapidi che forniscono una risposta in 1-2 ore; l’esame colturale richiede 24-48 ore) consiste nella somministrazione di penicillina V per almeno 10 giorni o di una dose di penicillina-G-benzatina che garantisca livelli ematici battericidi per 2-3 settimane. In caso di ipersensibilità si può ricorrere all’eritromicina o ad una cefalosporina per os da somministrare per almeno 10 giorni.
- Prevenzione secondaria o prevenzione delle recidive
Deve essere applicata a tutti coloro che hanno avuto un primo attacco reumatico per evitare una nuova infezione streptococcica, che può scatenare un nuovo e più grave attacco reumatico.
Essa viene praticata con la somministrazione periodica di 1.200.000 U di penicillina-G-benzatina ogni 4 settimane. In caso di ipersensibilità alla penicillina, si fa ricorso a somministrazioni quotidiane di eritromicina o di un altro macrolide. Il trattamento va prolungato per tempi differenti a seconda delle condizioni cliniche :
- malattia reumatica senza cardite : trattamento fino all’età di 21 anni o per almeno 5 anni in un soggetto di età superiore a 15 anni
- malattia reumatica con cardite ma senza valvulopatia : trattamento fino all’età adulta inoltrata o per 10 anni in un soggetto adulto giovane
- malattia reumatica con cardite in presenza di valvulopatia : trattamento fino all’età di 40 anni e, comunque, per almeno 10 anni dall’ultimo episodio oppure trattamento a vita

Glomerulonefrite acuta

Eritema nodoso

Poiché il trattamento antibiotico è risolutivo nel caso delle infezioni streptococciche ed evita le complicanze suppurative e quelle non suppurative o post-streptococciche, la diagnosi eziologica delle faringiti è importante

sabato 10 marzo 2012


Infezioni da rhinovirus

Appartengono alla famiglia dei picornavirus ed è formato da un RNA monocatenario.
Se ne conoscono 100 sierotipi diversi.
Sono labili nell’ambiente esterno, in cui vengono inattivati dagli agenti naturali come l’essiccamento e i raggi ultravioletti.
Clinica:
- rinite o raffreddore: caratterizzato da rinorrea ed ostruzione nasale, starnuti, sono frequenti i segni di una modesta faringite
- frequente è l’interessamento della mucosa dei seni paranasali (sinusite virale) e della tromba di Eustachio (otite media virale)
- la febbre è in genere assente o modica negli adulti, più spesso presente nei bambini.
La durata è variabile da 2 a 7 giorni.
Epidemiologia : incubazione di 8-10 ore, trasmissione per via aerea (starnuti, tosse) e per mezzo delle mani contaminate da secrezioni nasali.
Prevenzione : una profilassi vaccinale è resa impossibile dal gran numero di sierotipi diversi; inoltre anche la protezione contro la malattia appare di durata limitata.

lunedì 5 marzo 2012


Infezioni da Adenovirus

Il virus è caratterizzato da un DNA bicatenario.
Sono notevolmente stabili alle comuni temperature ambientali, ma vengono rapidamente inattivati dal riscaldamento a 56°C, dall’esposizione ai raggi UV e da basse concentrazioni di cloro attivo (1/200) o di formolo (1/400).
Gli adenovirus umani sono suddivisi in oltre 50 tipi sierologici geneticamente stabili; di questi solo 12 sono patogeni.
Clinica : malattia respiratoria acuta che si manifesta con quadri di varia gravità :
- rinofaringite non febbrile o moderatamente febbrile
- sintomatologia tipicamente influenzale
- broncopolmonite (primitiva o come evoluzione di una flogosi delle prime vie aeree)
Colpisce più frequentemente bambini piccoli e giovani in comunità con una febbre faringo-congiuntivale: ai segni di una flogosi febbrile delle prime vie aeree si accompagnano quelli di una congiuntivite e di una linfoadenopatia cervicale che si manifesta prevalentemente in bambini di età scolare e in giovani adulti.
- cheratocongiuntivite : congiuntivite con adenopatia preauricolare, cui segue (dopo 7-10 gg) una cheratite
- cistite emorragica : disuria, pollachiuria, ematuria macroscopica (per circa tre giorni) e poi microscopica
Diagnosi : colture cellulari, immunofluorescenza, amplificazione genica con PCR
Epidemiologia : le sorgenti di infezione sono costituite da ammalati e da portatori asintomatici, la trasmissione si verifica per via aerea e con il contatto con mani contaminate
Prevenzione : virioni inattivati, antigeni solubili purificati. La necessità di impiegare diversi tipi di adenovirus e la breve durata dell’immunità conseguita pongono seri limiti all’applicabilità della vaccinazione.

giovedì 1 marzo 2012


Infezioni da virus respiratorio sinciziale (RSV)

Il virus respiratorio sinciziale appartiene alla famiglia Paramyxoviridae e al genere Pneumovirus.
Si conosce un unico sierotipo; con l’impiego di anticorpi monoclonali è possibile suddividere i ceppi virali in due gruppi A e B ed in vari sottotipi all’interno di ciascun gruppo.
Ha un certo grado di resistenza ambientale visto che per ridurre l’infettività del 90% a 37°C occorrono 24 ore e a 4°C occorrono 96 ore.
Nel lattante e nel bambino il virus è responsabile di una rilevante quota di broncopolmoniti ed è certamente di gran lunga il più importante agente di bronchioliti.
In età scolare, nell’adolescenza e nell’età adulta le reinfezioni, via via meno frequenti, assumono più spesso l’aspetto di rinofaringiti, febbrili o non, o di sindromi influenzali.
La diagnosi di infezione da virus RS può essere fatta con accettabile approssimazione su base clinica ed epidemiologica, quando si osservano numerosi casi di bronchiolite e di altre infezioni delle basse vie respiratorie in bambini nel primo anno di vita.
Per la dimostrazione della presenza di virus nelle secrezioni delle vie aeree sono disponibili test diagnostici rapidi e poco costosi (dotati di elevata specificità ma con sensibilità variabile dal 50 al 90%) basati su metodi immunoenzimatici.
Molto più sensibile è la metodica RT-PCR (reverse transcriptase polymerase chain reaction) che, però, richiede una più lunga e complessa esecuzione.
Epidemiologia : le sorgenti di infezione sono rappresentate da soggetti affetti da forme respiratorie di gravità molto variabile. La trasmissione avviene fondamentalmente per via aerea e con le mani contaminate da secrezioni respiratorie.
L’incubazione è di 3-7 giorni, il virus viene eliminato con le secrezioni rinofaringee a partire dall’esordio della sintomatologia clinica (o al massimo 1-2 giorni prima) per tempi variabili da 4-5 a 20-25 giorni. La prima infezione viene contratta precocemente nella maggior parte dei casi; più dell’80% dei bambini di 4 anni possiede anticorpi specifici. L’immunità acquisita non protegge da reinfezioni; tuttavia, con il ripetersi delle reinfezioni la frequenza e la gravità degli episodi morbosi diminuiscono significativamente (così le forme più precoci sono di regola anche le più gravi)
Prevenzione : la protezione dei lattanti può essere ottenuta evitando il loro contatto con persone che presentino qualsiasi sintomo di infezione respiratoria acuta, anche di modesta entità, e curando particolarmente la pulizia delle mani prima di accudirli.