Hanno avuto negli ultimi dieci anni un grande aumento di incidenza, soprattutto nei paesi industrializzati.

ANORESSIA NERVOSA
È caratterizzata dal rifiuto di mantenere il peso corporeo entro i limiti inferiori del normale, da un’intensa paura di aumentare di peso e da un’interpretazione errata del proprio corpo.
Eziologia: non è ancora del tutto nota, ma si sa che ha un’origine multifattoriale di interazione tra fattori individuali, familiari e culturali. Pare non ci sia una componente genetica. Ci possono essere fattori favorenti come bassa autostima, perfezionismo, controllo delle emozioni, fattori socioculturali. La conseguente preoccupazione per il peso impone la paziente a rigidissime diete, che da un lato danno sensazione di successo ma soprattutto presentano rinforzi negativi come l’evitamento del peso naturale e della maturità psicobiologica. Tali fattori fanno cronicizzare il disturbo portando a profonde modifiche fisiche e della personalità.
Fattori psicologici: giocano un ruolo fondamentale. Spesso si tratta di ragazze che oltre alle classiche problematiche dell’adolescenza presentano bassa autostima, problemi di adattamento, conflittualità personali e relazioni familiari disturbate.
Pare ci sia una difficoltà di riconoscere propri gli stimoli del corpo, non riuscendo a riconoscere i messaggi enterocettivi del nutrirsi, o della fatica, della stanchezza e anche quelli sessuali. Le pazienti devono avere il controllo su tutte le proprie funzioni istintive, in primis la fame. Tramite questi tentativi di controllo le pazienti cercano di raggiungere l’autonomia e l’efficienza, ovvero la propria identità.
Sembra inoltre che le anoressiche godano nel controllo di se stesse e degli altri, con la ricerca del “piacere dell’insoddisfazione” e “dell’orgasmo da digiuno”.
La malattia ha una forte connotazione autodistruttiva ma non per raggiungere la morte, bensì l’emaciazione. Spesso la famiglia di queste pazienti ha intensi conflitti nevrotici, con scissioni; spesso la madre è dominante, oppressiva, invadente, ipercritica verso la figlia limitando la sua maturazione personale.
Criteri diagnostici:
• Rifiuto di mantenere il peso normale, con perdita di peso sino addirittura all’85% rispetto a quanto previsto rispetto all’età e alla statura
• Intensa paura di ingrassare anche se sottopeso
• Alterazioni di come il soggetto vive il peso e la forma del corpo con rifiuto di ammettere il proprio grave sottopeso
• Amenorrea -assenza di almeno 3 cicli-.
Per specificarne il sottotipo:
Con restrizioni, ovvero la paziente non presenta abbuffate o condotte di eliminazione (vomito autoindotto, lassativi, diuretici...)
Con abbuffate/condotte di eliminazione
Clinica: nel 70% dei pazienti che sviluppano anoressia vi è una condizione di sovrappeso e non accettazione del proprio corpo. Ciò porta a dieta e o attività fisica, spesso periodiche. Questa fase precoce è l’ideale per l’intervento terapeutico, ovvero prima che si instaurino i meccanismi di rafforzamento del controllo del corpo attraverso il cibo.
Il comportamento anoressico diventa poi una modalità esistenziale, in cui tutto sembra ruotare intorno all’idea prevalente del controllo onnipotente del corpo attraverso diete e simili. Si possono avere amenorrea, irritabilità, alterazioni dell’umore, masochismo.
Un’ultima fase è quella in cui il corpo ha riduzioni di peso sino a livelli critici con associate psicosi, angoscia e idee deliranti.
Diagnosi medica: si fa il calcolo del BMI: se < 17 è necessaria l’ospedalizzazione. Non vi è più pannicolo adiposo sottocutaneo, i muscoli sono ipotonici e ipotrofici, le mammelle non sono ipotrofiche come nelle cachessie ipofisarie, non vi è irsutismo. Vi sono poi ipotermia, ipotensione con tachicardia compensatoria, stipsi, lesioni dentarie multiple, mani e piedi bluastri, unghie e capelli fragili, edemi malleolari o palpebrali (negli stadi più avanzati). Il vomito poi aggrava ulteriormente il quadro. Si possono avere complicazioni come anemia, alterazioni elettrolitiche, infezioni, diminuzione delle proteine, minore densità ossea... Trattamento: deve essere multidisciplinare per via dei disturbi psichici e di quelli di tipo internistico.
Si inizia dall’ospedalizzazione se il BMI è < 17 e si ha una compromissione severa, altrimenti da un trattamento ambulatoriale o in day hospital. Si deve innanzitutto stabilizzare le condizioni della paziente e gestire le complicanze acute; poi si inizia un percorso di cura finalizzato all’interruzione dei fattori di sviluppo e di mantenimento del disturbo. In genere si utilizza alimentazione con SNG o nutrizione parenterale, psicofarmaci e supporto psicologico. Si deve motivare il paziente e farlo collaborare, in ospedale o strutture dedicate, cercando di instaurare un programma di riabilitazione nutrizionale e modalità di assunzione del cibo. Terapia farmacologica: nessun farmaco è particolarmente efficace, ma comunque si usano SSRI con discreti risultati. Questo trattamento si intraprende dopo aver risolto le complicanze mediche.
Psicoterapia: il primo obbiettivo è motivare la paziente al trattamento, che spesso o si rifiuta o aderisce con atteggiamenti di manipolazione e di controllo.
Terapia familiare: i familiari e soprattutto i genitori sono implicati in questa malattia. Vedendo che la figlia non mangia possono essere fortemente partecipi al controllo dell’alimentazione. Spesso nella famiglia vi è un conflitto, che emerge proprio con la malattia. I genitori spesso risentono dell’atteggiamento manipolatorio, ricattatorio e minaccioso della figlia (tyrannisme alimentaire). Attualmente viene favorita la presa in carico dei familiari come terapia di coppia o individuale. In alcuni centri si effettuano invece tecniche di gruppo psicoeducazionali.

BULIMIA NERVOSA
Consiste in ricorrenti abbuffate di cibo associate a modalità inappropriate (vomito) per impedire l’aumento di peso.
Eziopatogenesi: è riconducibile a fattori biologici, sociali, psicologici. La ricerca della forma più che la magrezza, la disponibilità di cibo, sollecitazioni ambientali possono essere fattori sociali implicati.
Fattori psicologicii: anche qui le pazienti hanno difficoltà rispetto le esigenze adolescenziali, vivono le frustrazioni come minacce importanti alla loro autostima; a ciò si associa il disagio verso il proprio aspetto fisico. Si ha disprezzo per se stessi, con sensazioni di inferiorità. C’è competitività e conflitto con la madre. Si hanno problemi di separazione, soprattutto dalla figura materna. Il disturbo a lungo viene nascosto ai familiari, i quali spesso sono visti come un ambiente ostile per le pazienti.
Criteri diagnostici
• Ricorrenti abbuffate, con introito maggiore alla norma proporzionato al tempo trascorso e con sensazione di perdita di controllo su cosa e quanto si mangia
• Condotte compensatorie per evitare l’aumento di peso, come il vomito o i lassativi
• Gli episodi abbuffate-compensazione si verificano almeno due volte a settimana per almeno tre mesi
• Autostima condizionata da forma e peso corporeo.
Per il sottotipo:
Con condotte di eliminazione
Senza condotte di eliminazione, la paziente usa altri metodi compensatori inappropriati come eccessiva attività fisica o digiuno (non si dedica al vomito).
Clinica: l’abbuffata lascia senso di colpa e vergogna nelle pazienti, spesso normo o sovrappeso con egodistonia per il loro disturbo. I cibi utilizzati sono spesso molto grassi e ipercalorici. L’ingestione è vorace e caotica, generalmente in solitudine. Gli episodi avvengono da poche volte a settimana a più volte al giorno.
Gli episodi sono caratterizzati da eccitamento che porta alla ricerca di cibo con perdita di controllo. Poi si ha un momentaneo sollievo seguito da depressione, fallimento, rabbia, preoccupazione per l’aumento di peso. Si ha quindi l’episodio compensatorio.
Nell’adolescenza fattori scatenanti possono essere fallimenti scolastici, sentimentali, commenti sull’aspetto fisico, o comunque lutti, perdite in generale. Sono ansiose, evitano il mangiare in pubblico, hanno scoppi di rabbia, autodistruzione. Con l’avanzare della patologia si ha poi ritiro sociale, depressione e obesità nel caso non ci sia eliminazione. Il vomito ripetuto può portare a lacerazioni esofagee o gastriche, esofagiti, alterazione dello smalto dei denti. Spesso c’è amenorrea.
Rispetto all’anoressia ha prognosi migliore, e non si conoscono bene gli effetti a lungo termine. In alcuni casi può avere invece remissione spontanea in uno o due anni.
Trattamento: farmaci, psicoterapia, terapia di gruppo e riabilitazione nutrizionale. Bisogna tenere conto anche di disturbi concomitanti spesso come ansia, depressione, disturbi di personalità. Il ricovero è richiesto quando esistano diverse complicanze. Essendo spesso collaboranti, si può fare anche trattamento ambulatoriale.
Farmaci: SSRI, ansiolitici e stabilizzatori dell’umore per gli impulsi, Sibutramina (farmaco contro l’obesità).
Psicoterapia: può essere mirata a risolvere il problema in sé o a modificare la struttura psichica con interventi psicoterapeutici diversi.

BINGE EATING DISORDER
Anche questo è caratterizzato da abbuffate, con perdita di controllo, nell’atto, ma senza manovre di eliminazione.
Eziopatogenesi: è frequentemente associato all’obesità. Le continue restrizioni dietetiche, drastiche, ripetute e protratte possono essere una causa.
Criteri diagnostici
• Ricorrenti abbuffate, con introito maggiore alla norma proporzionato al tempo trascorso e con sensazione di perdita di controllo su cosa e quanto si mangia (come prima)
• Associazione di tre o più dei seguenti sintomi: mangiare molto più rapidamente del normale, mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni, senza avere fame, da soli per l’imbarazzo di quanto si sta mangiando, sentirsi disgustati di se stessi dopo le abbuffate
• Grande disagio per la propria alimentazione incontrollata
• Almeno due episodi a settimana per 6 mesi
• Non ci sono condotte di compensazione (a differenza di prima)
Clinica: seria preoccupazione per l’aumento ponderale, ma con volontà a guarire. Le abbuffate spesso sono tra i pasti normali. Si può mangiare anche per due ore sinchè non si è proprio pieni, senza poi manovre compensatorie, con quindi notevole apporto calorico e aumento di peso (anche 20-30 kg in 6 mesi).
Spesso associata a depressione, le pazienti sono piene di vergogna, si sentono goffe e brutte. Spesso hanno un ambiente con scarse emozioni, con una depressione di fondo e tendenza a rimuginare sul proprio avvilimento che può alleviare solo il cibo. Il cibo funziona quasi da ansiolitico, in caso di angoscia o bisogno. Si possono avere poi insonnia e rallentamento psicomotorio.
Terapia: anche qui è necessaria un equipe. Ha ottimi risultati e prognosi migliore che nella bulimia nervosa. Si possono somministrare ansiolitici o antidepressivi e trattare poi anche l’obesità.

NIGHT EATING DISORDER
È un disturbo caratterizzato da abbuffate notturne o dal mangiare per alcune ore di notte, di solito senza manovre di eliminazione, per cui i pazienti sono spesso obesi. La compensazione è più che altro mangiare poco di giorno. Spesso sono depressi o con disturbi della personalità, con eventi traumatici o perdite alle spalle. Antidepressivi e psicoterapia danno una buona risposta.

OBESITA'
Eziopatogenesi: deriva da fattori fisiologici, metabolici, genetici, sociali e comportamentali. Tra i primi ci può essere un’alterazione del meccanismo fame-sazietà. I fattori genetici sono fondamentali; sono stati recentemente identificati alcuni geni responsabili. L’obesità spesso si raggiunge una volta adulti, per ipertrofia degli adipociti.
Classificazione: si usano il BMI e la circonferenza della vita. Un BMI > 30 è indice di obesità, tra 25 e 29,9 di sovrappeso. Una circonferenza vita > di 102 cm negli uomini e 88 cm nelle donne si associa ad un rischio per la salute. Il sovrappeso si associa a maggiore incidenza di diabete, dislipidemie, IPT, malattie cardiovascolari, vita più breve.
Fattori psicologici: l’obesità può accompagnare qualsiasi disturbo; può esserne conseguenza o derivare anche da essa. Esistono diversi tipi di iperfagia: da ansia, da frustrazione per avere gratificazione, da disturbo psichico di base, da compulsione. L’obesità può essere reattiva (dopo un trauma) o di sviluppo, che accompagna lo sviluppo del paziente insieme ad altre distorsioni della personalità; questa inizia nell’infanzia dove il nutrimento veicola problemi emozionali tra la madre e il bambino. Il cibo può essere anche un correlato affettivo che diventa risposta ai bisogni materni.
Trattamento: simpaticomimetici, simili alle anfetamine, Sibutramina, SSRI; terapie chirurgiche; per la psicoterapia non esiste invece un’indicazione elettiva, la scoperta delle cause inconsce dell’assunzione eccessiva di cibo spesso non risolve il problema. La modificazione del comportamento è la forma più efficace di psicoterapia.