La difterite è una malattia tossi-infettiva, acuta e contagiosa, determinata da un batterio che si localizza nelle prime vie aeree, dove provoca una flogosi fibrino-necrotica con formazione di pseudomembrane; il batterio elabora una tipica esotossina attiva a distanza su diversi organi e tessuti. Molto grave e a larga diffusione in passato, la difterite è attualmente eliminata in Italia ed in molti altri paesi grazie alla vaccinazione di massa.
L’agente ziologico è il Corynebacterium diphtheriae, appartenente al genere Corynebacterium, della famiglia delle Corynebacteriaceae. E' Gram-positivo, immobile, asporigeno e privo di capsula. Sono conosciuti 3 biotipi di C. diphtheriae : mitis, intermedius, gravis, cui corrispondono non meno di 57 sierotipi ed almeno 19 tipi fagici.
La caratteristica biologica più importante del bacillo difterico è la produzione di una esotossina assai attiva, per mezzo della quale il bacillo svolge la sua azione patogena.
E’ una proteina costituita da un frammento A responsabile dell’azione tossica e da un frammento B responsabile dell’adesione ai recettori cellulari, il cui meccanismo di azione si esplica essenzialmente attraverso una inibizione della sintesi proteica a livello ribosomiale.
La sua produzione è legata alla presenza nella cellula batterica di un profago (profago beta), che ne è il determinante genetico.
I ceppi tossigeni di bacillo difterico contengono il profago beta; i ceppi non tossigeni (bacilli difterici modificati) ne sono privi.
La difterite è essenzialmente una tossiemia: il bacillo si localizza nella sede dell’infezione, che di solito è rappresentata dalle mucose delle prime vie aeree (cavità nasali, faringe, laringe) e qui si moltiplica elaborando la esotossina che si diffonde per via ematica a tutto l’organismo.
Sulla mucosa si produce una flogosi di tipo fibrinoso-necrotico, con la comparsa di un essudato costituito, oltre che dall’epitelio necrotico, da fibrina, emazie e leucociti con presenza di numerosi bacilli difterici. Questo essudato, compatto e tenacemente aderente al tessuto sottostante (dal quale si asporta con difficoltà), costituisce le tipiche “pseudomembrane”, che rappresentano il dato clinico obiettivo più significativo della malattia.
A distanza la tossina agisce soprattutto sul sistema nervoso centrale, sul miocardio, sul rene e sui surreni, dove dà origine a processi di tipo degenerativo dei parenchimi e della sostanza nervosa.
A seconda della localizzazione, si distinguono tre forme cliniche principali:
- l’angina difterica, che è la più frequente, con localizzazione sulle tonsille e sulla mucosa peritonsillare (velo pendulo, ugola)
- la laringite difterica (croup), che è la più grave per i fenomeni di asfissia cui si accompagna
- la rinite difterica, che è la più insidiosa dal punto di vista della diffusione del contagio, in quanto non facilmente diagnosticanile
Altre localizzazioni minori e più rare sono : la congiuntivale, la auricolare, la vulvo-vaginale, la cutanea (ombelicale del neonato).
Dopo un periodo di incubazione variabile da 2 a 8 gioni, la malattia inizia in maniera subdola con febbre poco elevata, cefalea, talora vomito, modico dolore faringeo. La mucosa oro-faringea appare inizialmente arrossata e leggermente tumefatta, ma ben presto compaiono le caratteristiche pseudomembrane, di aspetto liscio, di colore bianco-grigiastro, che tendono rapidamente ad estendersi, aderendo ai tessuti sottostanti.
L’edema della mucosa circostante è notevole, vi è adenopatia a carico dei linfonodi mascellari ed anche latero-cervicali.
Nella forma laringea, dopo un primo periodo con raucedine (periodo disfonico), la comparsa delle pseudomembrane, l’edema e lo spasmo laringeo causano una progressiva ostruzione del lume laringeo con difficoltà respiratoria (periodo dispnoico), cui possono seguire anossiemia con cianosi, coma e morte (periodo asfittico).
La rinite difterica è la forma clinicamente meno grave, spesso non riconosciuta, che si osservava più spesso nei lattanti ed era caratterizzata soprattutto da scolo nasale muco-purulento con ulcerazioni delle narici e del labbro superiore.
Alla sintomatologia locale si accompagna quella tossica generale, con alterazioni cardio-circolatorie e renali e con la comparsa delle paralisi che possono essere precoci o tardive e che interessano di solito la sede delle lesioni; le più frequenti sono quelle dei muscoli del faringe, del laringe e dei muscoli oculari.
Diagnosi
La diagnosi certa di difterite può essere posta solo dopo che è stata dimostrata la capacità di produrre la tossina da parte dello stipite eventualmente isolato; infatti né l’esame microscopico né i caratteri colturali forniscono dati sicuri.
Di fronte a queste incertezze è comunque utile allestire, oltre all’indagine colturale, l’esame microscopico che, pur con i suoi limiti, può fornire un dato presuntivo molto importante; viene eseguito sull’essudato pseudomembranoso prelevato mediante tampone sterile e colorato con il metodo di Neisser o con altri (Gins, Albert, ecc.), che evidenziano i granuli metacromatici.
Per la ricerca colturale si utilizzano terreni arricchiti con sangue di montone, resi selettivi dall’aggiunta di tellurito di potassio (agar Columbia, ecc.).
Gli accertamenti diagnostici descritti venivano effettuati correntemente in passato.
Poiché la difterite è di fatto eliminata, accade sempre più raramente di dovere fare ricorso ad essi; proprio in questa fase, però, è importante individuare con certezza gli eventuali casi che ancora si dovessero verificare, giacchè essi rappresenterebbero degli eventi sentinella.
Epidemiologia
Il profilo epidemiologico della difterite si è profondamente modificato nei paesi socialmente elevati per l’applicazione su larga scala della vaccinoprofilassi.
La malattia, infatti, è in fortissima diminuzione in molti paesi, in altri è scomparsa ormai da anni; resta endemica in diverse aree dell’Asia e dell’Africa.
In Italia, nel periodo 1990-95 sono stati notificati solo 4 casi, di cui uno importato (1993); gli altri hanno riguardato una bambina di 5 anni non vaccinata (1991), una donna adulta (1994) e una bambina di 2 anni regolarmente vaccinata (1995), dalla quale è stato isolato uno stipite di C. diphtheriae varietà mitis, non tossigeno.
Nel 1996 è stato segnalato l’ultimo caso autoctono “probabile” di difterite.
Attualmente, la difterite può essere considerata eliminata nel nostro paese, anche se non si può escludere che ceppi di bacillo difterico tossigeni siano ancora presenti.
L’uomo è l’unico serbatoio naturale dell’infezione : il malato innanzi tutto ed il portatore, sia quello convalescente e cronico, sia il portatore sano.
Nei soggetti che hanno superato la malattia il bacillo difterico può persistere per alcune settimane ed in alcuni casi anche per mesi o anni.
Importanti sono i portatori sani, la cui prevalenza nella popolazione andava in passato dallo 0,2 all’1%, ma poteva essere molto più elevata, fino anche al 20% ed oltre, nelle comunità nelle quali si erano manifestati casi di difterite.
In proposito, va ricordato che la vaccinazione antidifterica conferisce protezione contro la tossina e quindi contro la malattia, ma non nei riguardi dello stato di portatore; pertanto non si interrompe il flusso diffusivo dei bacilli difterici nelle popolazioni.
Il contagio è interumano e può essere sia diretto per via aerea, sia indiretto, data la discreta resistenza del bacillo nell’ambiente esterno, attraverso oggetti di uso specialmente tra i bambini (fazzoletti, stoviglie, penne e matite, giocattoli).
Prima dell’impiego obbligatorio della vaccinoprofilassi l’età più colpita era quella compresa tra i 2 e i 5 anni.
Attualmente nei paesi in cui la vaccinazione è estesamente praticata i pochi casi che si manifestano riguardano soggetti di età superiore ai 15-20 anni, in cui l’immunità vaccinale si è attenuata.
In Italia, la copertura immunitaria nei confronti della tossina difterica è elevata nelle fasce di età giovanili, ma tende a ridursi negli adulti per la mancanza di dosi di richiamo.
Prevenzione
La prevenzione consiste essenzialmente nella vaccinazione, la cui efficacia è dimostrata dalla rarefazione della malattia, fino alla sua scomparsa, in tutti i paesi che la praticano estesamente.
Anche nell’attuale fase di assenza di casi in Italia è necessario insistere con la vaccinazione, senza trascurare altri interventi preventivi.
Alla denuncia immediata di un eventuale caso sospetto che dovesse essere osservato deve seguire subito l’inchiesta epidemiologica, indirizzata soprattutto alla ricerca di eventuali portatori nell’ambito della comunità di cui fa parte il caso.
L’isolamento del malato in ospedale è necessario anche per fornire una adeguata assistenza, data la gravità della malattia e la necessità di terapie che devono essere eseguite sotto controllo (immunoglobuline antidifteriche) o con interventi d’urgenza (intubazione, tracheotomia).
L’isolamento deve continuare fino alla negatività di 3 esami batteriologici del secreto rinofaringeo, eseguiti ad intervalli di almeno 24 ore dopo la guarigione clinica e la fine della terapia antibiotica.
La disinfezione deve essere continua e riguardare tutto ciò che viene a contatto con le secrezioni del malato; inoltre, data la resistenza del bacillo difterico all’essiccamento, sarà opportuna la disinfezione terminale dell’ambiente, anche se molti considerano sufficienti la semplice pulizia e la ventilazione prolungata.
Per conviventi e contatti stretti sono prescritte la sorveglianza sanitaria per 7 giorni a partire dall’ultimo contatto con il malato e, come si è detto, indagini di laboratorio per identificare eventuali portatori asintomatici.
La vaccinazione antidifterica è obbligatoria in Italia dal 1939; a partire dal 1968 è stata associata a quella antitetanica con un vaccino bivalente (DT) o con uno trivalente contenente anche quello antipertosse (DTP).
Attualmente , è in uso un vaccino esavalente (DTPa-IPV-HB-Hib) per l’immunizzazione contemporanea contro la difterite (D), il tetano (T), la pertosse (con vaccino acellulare Pa), la poliomielite (con vaccino IPV a virus uccisi di Salk), l’epatite B (HB) e l’Haemophilus influenzae di tipo b (Hib).
Il vaccino antidifterico è costituito dalla anatossina (o tossoide) ottenuta secondo la metodica di Ramon, trattando cioè la tossina difterica con lo 0,4% di formolo e mantenendo la mescolanza a 38-40°C per un mese.
Con questo trattamento la tossina perde il potere tossico conservando immodificato quello antigene. Per ottenere una migliore risposta anticorpale, l’anatossina viene adsorbita su idrossido o fosfato di alluminio; in questo modo essa viene trattenuta più a lungo nella sede di inoculazione, viene rilasciata più lentamente ed esercita una più prolungata stimolazione del sistema immunitario.
La vaccinazione antidifterica viene eseguita con la somministrazione intramuscolo di 3 dosi del vaccino esavalente che contiene anche l’anatossina : la prima dose è somministrata per via intramuscolare al terzo mese di vita, la seconda al quarto-quinto mese (dopo 6-8 settimane dalla precedente), la terza all’undicesimo-dodicesimo mese.
Una dose di richiamo viene praticata nell’età scolare, al quinto-sesto anno di vita, contemporaneamente al richiamo contro il tetano, la pertosse e la poliomielite.
Per il richiamo si usa un vaccino tetravalente DTPa-IPV.
Il ciclo completo con tre dosi stimola la risposta anticorpale protettiva nel 98% dei vaccinati, con una durata della protezione di almeno 10 anni. Le reazioni all’anatossina sono rare e consistono in gonfiore e dolorabilità al punto di inoculazione, accompagnati in qualche caso da febbre.
La mancata somministrazione di successive dosi di richiamo e la diminuita possibilità di reinfezioni spontanee che mantengano elevati i titoli anticorpali, hanno determinato una diminuzione della immunità vaccinale soprattutto nei soggetti adulti.
In Italia, una percentuale di popolazione adulta già vaccinata che varia dal 10% al 40% nelle diverse regioni, possiede titoli antitossici inferiori alla soglia di protezione.
Questo spiega come la malattia nelle aree a bassa endemia si presenti nell’età adulta e perché possano insorgere episodi epidemici tra gli adulti.
Un secondo richiamo va fatto all’età di 11-12 anni con un vaccino trivalente Tdpa contenente l’anatossina difterica a dosaggio ridotto (perché nell’adolescente e nell’adulto possono manifestarsi reazioni di ipersensibilità a volte gravi), l’anatossina tetanica a dosaggio pieno e gli antigeni purificati della pertosse a dosaggio ridotto.
Ulteriori richiami in combinazione con l’anatossina tetanica (vaccino bivalente Td) possono essere eseguiti di dieci anni in dieci anni, con particolare riguardo alle categorie a rischio elevato (operatori sanitari, anziani, viaggiatori in aree endemiche, immunodepressi).