Identificata per la prima volta nel 1981 negli Stati Uniti, l’AIDS si è rapidamente diffusa in tutto il mondo. Considerata inizialmente come una malattia limitata agli omosessuali maschi ed ai tossicodipendenti, essa interessa ormai chiunque abbia comportamenti sessuali incauti; pertanto, essa va considerata alla stessa stregua delle altre malattie sessualmente trasmesse.
In definitiva, quello che è stato osservato fino ad oggi rappresenta la conseguenza del diffondersi con carattere pandemico di un virus, già endemico in alcune aree dell’Africa centrale, che ha trovato nei mutamenti sociali, demografici e comportamentali dell’ultimo ventennio del secolo scorso le condizioni favorevoli per una rapida espansione.
Infatti, hanno svolto un ruolo importante nel favorire la diffusione dell’infezione l’inurbamento di grandi masse di popolazione e l’utilizzo di pratiche sanitarie non sicure nel continente africano, il commercio del sangue, il diffondersi della droga e l’elevata promiscuità sessuale nei paesi industrializzati.
L’agente responsabile è un virus ad RNA, classificato fra i retrovirus e denominato HIV (acronimo di Human Immunodeficiency Virus), di cui si conoscono due varianti : HIV-1, ormai diffuso in tutto il mondo, e HIV-2 presente soprattutto in alcune aree dell’Africa centrale ed occidentale. Come tutti i retrovirus, l’HIV si riproduce mediante trascrizione del suo RNA in DNA per mezzo dell’enzima DNA polimerasi RNA-dipendente (detta anche transcrittasi inversa), con successiva integrazione nel genoma dell’ospite.
Ne consegue che esso può rimanere a lungo nella persona infetta, prima in forma latente e, nella fase finale dell’infezione, come responsabile dell’immunodeficienza manifesta.
Fra i retrovirus umani vi sono anche i virus oncogeni HTLV 1 e HTLV 2 correlati ad alcune rare fome di leucemia.
La particella virale matura o virione è costituita da un rivestimento derivato dalla membrana cellulare della cellula in cui essa si è riprodotta e dal suo nucleocapside.
Diverse proteine strutturali ed enzimi entrano nella composizione del virus e svolgono varie funzioni nel ciclo riproduttivo. Nella membrana di derivazione cellulare sono inserite le glicoproteine virali di rivestimento esterno, denominate gp41 (transmembrana) e gp120 (membrana esterna). La glicoproteina gp120 svolge un ruolo essenziale nel processo infettivo, giacchè consente al virus di legarsi alla molecola CD4 della superficie dei linfociti T (CD4+), dei macrofagi e delle cellule microgliali. La matrice che si trova tra il rivestimento ed il nucleo (core) è costituita in massima parte dalla proteina p17. Il core, di forma cilindro-conica, è circondato dalle proteine strutturali p24 e p6 e contiene l’RNA virale, gli enzimi integrasi e transcrittasi inversa (p66). All’interno del virione è presente anche una proteasi (p51)
Diversi componenti virali hanno funzione antigene e la determinazione dei relativi anticorpi è utilizzata a scopo diagnostico, sia per individuare le persone infette durante la fase di latenza (persone sieropositive) sia per la diagnosi eziologica in fase di AIDS conclamata.
Il ciclo riproduttivo del virus può essere distinto in due fasi.
Nella prima fase si ha l’adesione ai recettori cellulari (CD4 e citochine), la fusione del rivestimento virale con la membrana cellulare e la liberazione del core nel citoplasma, la trascrizione dell’RNA in DNA e l’integrazione di questo nel genoma della cellula infettata, in cui persisterà sotto forma di provirus che possono restare a lungo in forma latente. In questa fase, il genoma virale viene trasmesso a tutta la progenie nel corso della moltiplicazione cellulare.
La seconda fase avviene durante la vita della cellula ospite e richiede l’intervento di enzimi virali e cellulari per la produzione di nuovi costituenti dei virus; i vari costituenti vengono ricomposti nel citoplasma e liberati per gemmazione attraverso la membrana citoplasmatica che, in tal modo, viene a ricoprire i nuovi virioni.
Diversi fattori esterni, come coinfezioni con altri agenti, produzione di citochine infiammatorie ed attivazione cellulare, possono promuovere la replicazione del virus.
Schematicamente, la storia naturale dell’infezione può essere distinta in 4 fasi :
1- infezione iniziale o primaria: caratterizzata da una elevata concentrazione di RNA virale nel plasma e da una caduta dei linfociti CD4+. Successivamente, dopo la sieroconversione con produzione di anticorpi anti-HIV, la viremia si abbassa rapidamente e si passa alla fase di latenza nel giro di 6-12 mesi. La sieroconversione avviene dopo 4-6 settimane dall’infezione ma talvolta occorrono fino a 6 mesi perché si possa dimostrare la sieropositività.
Questo intervallo di tempo tra l’infezione e la sieroconversione è detto “periodo finestra”, durante il quale la persona è sieronegativa ma ha una elevata carica virale ed è in grado di infettare altre persone. Nelle prime settimane o qualche mese dopo l’infezione iniziale o infezione primaria si hanno manifestazioni acute simili a quelle della mononucleosi : febbre, faringite, linfoadenopatia, cefalea, nausea, vomito, diarrea, mialgie, artralgie, eruzioni cutanee. In alcuni casi, già nella fase iniziale si possono presentare sintomi propri delle fasi più avanzate (esofagite da Candida, ulcerazioni cutanee, alterazioni neurologiche ecc.)
2- infezione asintomatica o fase di latenza (persone sieropositive, asintomatiche): durante la fase di latenza, nella maggior parte dei casi, in assenza di trattamenti, la conta dei linfociti CD4+ decresce lentamente con il passare degli anni. Questa fase può avere una durata variabile da meno di 5 anni ad oltre 15 anni, in rapporto, verosimilmente, a fattori costituzionali ed a fattori ambientali ed allo stile di vita.
3- inizio della fase sintomatica, con linfoadenopatia generalizzata cronica: in questa fase si ha un nuovo aumento della viremia ed una più rapida caduta nella conta dei linfociti CD4+ con possibilità di manifestazione dei primi sintomi dell’immunodeficienza. I processi correlati con la risposta immunitaria all’infezione virale sono:
- linfoadenopatia generalizzata cronica : è definita come la presenza di due o più siti extrainguinali (occipitali, sottomandibolari, cervicali, ascellari)di linfoadenopatia per un minimo di 3-6 mesi, senza altre cause che ne possano essere all’origine. Con il progredire dell’infezione verso l’AIDS conclamata si ha l’involuzione dei linfonodi
- trombocitopenia
- demenza HIV-correlata
4- immunodeficienza avanzata, con le complicanze opportunistiche che caratterizzano l’AIDS.
Questa è la fase dell’AIDS conclamata in cui il numero di linfociti CD4+ è inferiore a 200/mm3, la carica virale è elevata e si manifestano le infezioni opportunistiche e le neoplasie che caratterizzano la sindrome da immunodeficienza.
- protozoi : Pneumocystis jiroveci (prima denominato Pneumocystis carinii) che causa una grave forma di polmonite, Toxoplasma gondii che si localizza più frequentemente nel cervello e nell’occhio
- miceti : Candida albicans che causa infezioni nella bocca, nell’esofago e nei polmoni
- batteri : Mycobacterium tuberculosis ed altri micobatteri ed altri batteri Gram-positivi e Gram-negativi
- virus : Herpesvirus, Cytomegalovirus
- neoplasie : sarcoma di Kaposi, linfomi non Hodgkin, cancro della cervice uterina
Epidemiologia : l’uomo è l’unico serbatoio dei virus HIV-1 e HIV-2 e le persone infette in tutte le fasi, dall’infezione iniziale o primaria, alla fase di latenza (persone sieropositive asintomatiche), fino alla fase dell’AIDS conclamata costituiscono le sorgenti di infezione.
Infatti, i virus persistono per tutta la vita nell’organismo infetto, integrati allo stato di provirus nel genoma delle cellule nucleate del sangue, da cui si liberano in forma matura per passare nei vari fluidi organici.
I virus si ritrovano nel sangue, nel liquor, nelle lacrime, nella saliva, nel latte, nello sperma, nelle secrezioni cervicovaginali, nelle urine.
Tuttavia, la trasmissione è stata accertata soltanto attraverso il sangue, lo sperma, le secrezioni cervicovaginali ed il latte. Non vi è alcun rischio di contagio con i normali rapporti sociali.
Le sorgenti di infezione più temibili sono costituite dalle persone in fase di latenza che ignorano il loro stato e che non adottano alcuna precauzione nei rapporti sessuali.
Le modalità di trasmissione sono analoghe a quelle dell’epatite B: attraverso i rapporti sessuali (vaginali, anali, orali), per il contatto delle mucose con i liquidi biologici infetti (sperma e secrezioni pre-eiaculatorie, secrezioni cervicovaginali, sangue). I rapporti violenti aumentano il rischio di infezione per le lesioni che producono nelle mucose, particolarmente nella mucosa anale che è meno resistente di quella vaginale. Il rischio aumenta anche in caso di altre infezioni o di lesioni preesistenti nelle mucose. Per inoculazione percutanea con aghi ed altri strumenti aguzzi o taglienti contaminati con sangue. La trasmissione con aghi contaminati da sangue è frequente tra i tossicodipendenti per l’abitudine di scambiarsi la siringa per l’iniezione della droga. Il rischio di trasmissione per inoculazione esiste anche in occasione di tatuaggi e piercing, nelle pratiche medico-chirurgiche ed odontoiatriche, attraverso le mucose (es. mucose congiuntivali) e le lesioni cutanee venute a contatto con sangue o altri liquidi organici, come può avvenire nella pratica medica, attraverso la placenta durante la gravidanza (5%), durante il parto naturale (13-18%): l’infezione può avvenire per via percutanea attraverso il contatto del sangue materno con abrasioni della pelle del nascituro nel canale del parto, con l’allattamento. La trasmissione con il sangue trasfuso e con emoderivati ottenuti da donatori infetti non è più attuale grazie ai controlli dei donatori, ai trattamenti di inattivazione dei virus cui sono sottoposti gli emoderivati ed alla produzione di fattori della coagulazione ricombinanti. Malgrado il forte impatto emotivo che la malattia ha nell’opinione pubblica e la mobilitazione delle organizzazioni sanitarie nazionali ed internazionali, la pandemia continua a diffondersi pur avendo rallentato la sua progressione, che, nei primi anni di comparsa in America ed in Europa, ha visto il raddoppio del numero dei casi di malattia di anno in anno.
Secondo stime dell’OMS, nel 2006 in tutto il mondo si avevano quasi 40 milioni di persone infette, 4,3 milioni delle quali si erano infettate in quello stesso anno (di queste nuove infezioni, 2,8 milioni erano avvenute nell’Africa sub-sahariana).
Nei paesi dell’Europa centro-occidentale si calcola che vi siano 740 mila infetti.
In Italia, si stima che dal 1983 al 2006 si siano infettate da 140 mila a 180 mila persone e che vi siano stati circa 47 mila casi di AIDS conclamata con 40 mila decessi.
La prevalenza dei casi di infezione nel 2006 sarebbe stata tra 110 mila e 130 mila persone sieropositive, con 25 mila casi di AIDS conclamata.
Il 40% dei nuovi casi di infezione sarebbe causato da rapporti eterosessuali, il 20% da rapporti omosessuali o bisessuali ed il resto quasi tutto da scambio di siringhe contaminate.
Diagnosi: durante il cosiddetto “periodo finestra”, qunado non ci sono ancora anticorpi rivelabili ma c’è una alta carica virale, in una persona che si è esposta al rischio di infezione si può cercare l’antigene HIV-RNA mediante tecniche molecolari. I test di screening generalmente usati per rivelare lo stato di infezione durante la lunga fase di latenza sono basati sulla ricerca degli anticorpi e/o dell’antigene p24 con diverse varianti della metodica ELISA.
Questi tes di screening sierologici sono caratterizzati da elevata sensibilità e buona specificità, ma ogni risultato positivo va sottoposto sempre ad un test di conferma. Il test utilizzato per la conferma o l’esclusione dei sieri risultati positivi allo screening è basato sulla metodica dell’immunoblotting (Western Blot, RIBA, ecc.) che rivela la presenza degli anticorpi rivolti verso singoli antigeni virali.
Prevenzione
In mancanza di un vaccino anti-HIV, la cui disponibilità non è prevedibile a breve scadenza, una efficace prevenzione primaria può essere condotta soltanto con una serie di interventi basati sulle conoscenze epidemiologiche.
Le strategie per la prevenzione dell’infezione devono mirare ad interrompere la trasmissione per via sessuale, la trasmissione attraverso il sangue e la trasmissione perinatale.
La prevenzione della trasmissione per via sessuale deve mirare a promuovere comportamenti responsabili e cauti, tali da eliminare, o, almeno, ridurre i rischi di infezione.
Specialmente gli adolescenti, i più esposti a comportamenti a rischio di infezioni trasmesse per via sessuale, devono essere educati.
I programmi di educazione sanitaria da svolgere in ambito scolastico devono mirare non solo ad informare sui rischi della promiscuità sessuale, ma anche a indurre comportamenti responsabili (fedeltà reciproca di coppia, uso del preservativo, riduzione del numero dei partner).
La trasmissione attraverso il sangue, allo stato attuale, è la modalità principale tra i tossicodipendenti che usano scambiarsi le siringhe. Ovviamente, l’attuazione di programmi per la prevenzione della tossicodipendenza e per il recupero dei tossicodipendenti ha ricadute positive ai fini della prevenzione dell’infezione da HIV. Effetti positivi più immediati si hanno con la messa a disposizione gratuita di siringhe sterili non riutilizzabili (autobloccanti) e con l’educazione per indurre ad evitare lo scambio di siringhe.
Lo screening dei donatori ha praticamente eliminato la trasmissione dell’infezione con le trasfusioni; tuttavia, da parte dei medici va incoraggiata la pratica della trasfusione autologa in tutti i casi di interventi programmati, per evitare il rischio, anche se minimo, di trasfondere sangue di un donatore che si trovi nel “periodo finestra”.
Anche il rischio di infezione con plasma e derivati, come i fattori della coagulazione e le immunoglobuline è vicino allo zero grazie ai controlli cui sono sottoposti i donatori ed ai trattamenti di decontaminazione.
Nella pratica medico-chirurgica vanno adottate tutte le precauzioni per evitare la contaminazione con il sangue sia del personale d’assistenza sia delle persone assistite.
In particolare, va usato strumentario sterile, possibilmente monouso, e bisogna eliminare aghi ed altri oggetti aguzzi o taglienti in appositi contenitori con pareti non perforabili.
Per la prevenzione della trasmissione perinatale è raccomandato di offrire a tutte le donne in gravidanza il test di screening e, in caso di positività anche al test di conferma, prporre il parto cesareo.
Per evitare la trasmissione con il latte si consiglierà di evitare l’allattamento al seno.
Le persone sieropositive, oltre ad aver garantito il diritto alla riservatezza, non devono essere sottoposte ad alcuna restrizione o discriminazione nella vita sociale e nelle attività lavorative.
Esse vanno informate sulle modalità di trasmissione dell’infezione ed educate ad evitare di contagiare altre persone; in particolare, bisogna insistere perché chi è sieropositivo informi il proprio partner del suo stato.