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mercoledì 29 agosto 2012


Infezioni trasmesse per via sessuale



Diverse infezioni si trasmettono per contagio diretto da persona a persona durante i rapporti sessuali.
Fra le infezioni sessualmente trasmesse rientrano, ovviamente, le classiche malattie veneree (sifilide, gonorrea, linfogranuloma inguinale, ulcera venerea). A queste vanno aggiunte diverse altre infezioni (candidosi delle mucose genitali, tricomoniasi vaginale, infezioni genitali da Chlamidia trachomatis, herpes genitale, infezioni da papillomavirus umani) che hanno larga diffusione a causa anche del fatto di essere tenute erroneamente in poca considerazione.
In realtà esse hanno un impatto importante sulla salute, specialmente dei giovani, anche per le gravi conseguenze che ne possono derivare. Basta menzionare, al riguardo, le infezioni da papillomavirus umani oncogeni.
La prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse consiste essenzialmente nell’educazione ai comportamenti cauti e responsabili nei rapporti sessuali.
Accanto a queste vanno menzionate alcune infezioni la cui trasmissione interumana avviene sia per via sessuale sia mediante inoculazione transcutanea degli agenti eziologici.
Questo tipo di trasmissione avviene mediante inoculazione di sangue (anche in tracce) o di emoderivati, in occasione di trasfusioni, per lesioni con strumentario medico contaminato, per punture con aghi di siringhe ecc.
Rappresentanti tipici di questa categoria di infezioni sono la sindrome da immunodeficienza acquisita indicata con l’acronimo AIDS (Acquired Immunodeficiency Syndrome), l’epatite virale B e l’epatite virale C.

venerdì 24 agosto 2012


Toxoplasmosi



E’ una zoonosi ubiquitaria, causata da un parassita dei felini, che infetta facilmente l’uomo ed altri animali a sangue caldo come ospiti intermedi. Nell’uomo la malattia si manifesta di rado, ma l’infezione è straordinariamente frequente e diffusa.
Spesso misconosciuta, la toxoplasmosi è oggetto di interesse e di preoccupazione per gli effetti sul prodotto del concepimento se l’infezione avviene durante la gravidanza, tanto che le indagini sierologiche per rivelare indirettamente l’eventuale infezione nella gestante sono entrate nella pratica diagnostica accanto a quelle per rosolia, listeriosi, citomegalovirus, herpesvirus).
L’agente eziologico è Toxoplasma gondii, un protozoo parassita endocellulare obbligato che si presenta in tre forme :
-       oocisti, da cui si liberano gli sporozoiti
-       cisti, che si formano nei tessuti e contengono i bradizoiti
-       tachizoiti, che si osservano nell’infezione primaria e nelle riattivazioni come elementi in attiva moltiplicazione intracellulare
Queste forme si osservano nel corso dei due cicli riproduttivi :
-       ciclo sessuato, che si svolge nell’ospite definitivo, il gatto
-       ciclo asessuato, che si svolge in una grande varietà di mammiferi (compreso l’uomo) e di uccelli, che rappresentano altrettanti ospiti intermedi
Il gatto si può infettare con tutte e tre le forme in seguito all’ingestione di piccoli roditori (topi, ratti) e di uccelli parassitati con toxoplasmi in fase di tachizoiti o contenuti nelle cisti (bradizoiti), ma può infettarsi anche ingerendo delle oocisti mature eliminate con le feci da altri gatti. Ognuna delle tre forme può dare inizio al ciclo riproduttivo sessuato (ciclo gametogonico).
Infatti, dopo la penetrazione nelle cellule epiteliali della mucosa dell’intestino tenue, il parassita inizia a riprodursi in forme asessuate e sessuate. Le forme sessuate si trasformano in oocisti, che si liberano nell’intestino e vengono espulse con le feci.
Nell’ambiente, le oocisti vanno incontro a sporulazione, divenendo infettanti.
L’oocisti sporulata contiene due sporocisti, ognuna delle quali contiene 4 sporozoiti; essa può rimanere vitale fino a 18 mesi, sicchè il suolo contaminato da feci di gatti costituisce un serbatoio di infezione di lunga durata.
Nell’uomo e negli altri animali, ospiti intermedi, si svolge il ciclo asessuato a partire, abitualmente, dalle cisti e dalle oocisti.
I bradizoiti liberati dalle cisti o gli sporozoiti liberati dalle oocisti penetrano nelle cellule dell’epitelio intestinale e vi si moltiplicano, invadendo poi tutto l’organismo sotto forma di tachizoiti. A loro volta, i tachizoiti danno luogo alla formazione di cisti nei vari organi.
I tachizoiti si riproducono attivamente durante la fase acuta dell’infezione primaria o nella riattivazione all’interno delle cellule, principalmente del sistema reticolo-endoteliale, del cervello e dei muscoli, provocandone la lisi con la conseguente invasione di nuove cellule. I tachizoiti sono molto labili, vengono distrutti facilmente dagli agenti fisici e chimici e non sopravvivono all’azione del succo gastrico.
La forma cistica si forma dopo la fase iniziale di intensa riproduzione del tachizoita e in concomitanza con la risposta anticorpale, quando la crescita diventa più lenta nelle cellule parassitate; queste non si lisano ma lentamente aumentano di volume e si modificano nella loro struttura, assumendo l’aspetto di cisti (pseudocisti), che contengono centinaia di toxoplasmi (più piccoli, denominati bradizoiti).
Le cisti, proprie dell’infezione latente e della malattia in fase cronica, restano localizzate nei tessuti (in particolare nel cervello, muscoli ed occhio), dove sono capaci di sopravvivere per anni.
Occasionalmente possono rompersi, con conseguente liberazione dei toxoplasmi, invasione moltiplicativa dei tessuti circostanti e riacutizzazione della malattia.
Le cisti resistono all’essiccamento nell’ambiente esterno fino ad 1 giorno e all’azione del succo gastrico per 1 ora; nelle carni sono distrutte dai consueti procedimenti di conservazione (salatura, affumicatura ecc.) e da una buona cottura, mentre resistono a lungo a +4°C ed al congelamento. L’uomo si infetta principalmente in seguito alla ingestione delle cisti o delle oocisti. Queste raggiungono l’intestino tenue, dove si ha la liberazione delle forme infettanti (i bradizoiti dalle cisti e gli sporozoiti dalle oocisti), con invasione delle cellule dell’epitelio intestinale e successiva diffusione per via linfo-ematica in tutti gli organi, nelle cui cellule il parassita, nella forma di tachizoita, si moltiplica provocandone la distruzione (fase acuta, della durata di 8-10 giorni).
In seguito alla comparsa di anticorpi, la fase di intensa moltiplicazione dei tachizoiti si riduce fino ad arrestarsi, tranne eventualmente in quei tessuti (sistema nervoso, muscoli, occhio) dove gli anticorpi non sono presenti in quantità sufficiente (fase subacuta o intermedia).
Si arriva così alla formazione delle cisti che si localizzano soprattutto nel tessuto nervoso e muscolare e non determinano alcun danno (fase cronica), a meno che cause diverse (traumi, decadimento delle difese immunitarie, infezioni intercorrenti) non ne provochino la rottura, potendosi così avere una reinfezione endogena con riacutizzazione della malattia.
La successione di queste fasi è identica sia nella malattia manifesta, sia nella forma inapparente.
La toxoplasmosi acquisita può manifestarsi, dopo un periodo di incubazione variabile da 3 a 10 giorni, con quadri clinici assai diversi tra di loro, più spesso lievi o moderati, a volte gravi, in rapporto alla virulenza dello stipite ma anche alle sue localizzazioni.
L’evenienza abituale è, però, la forma quasi del tutto asintomatica, che colpisce un grandissimo numero di soggetti e che può essere rilevata soltanto dalle indagini sierologiche.
Tra le forme clinicamente manifeste si possono ricordare la linfonodale e quelle generalizzate.
La forma linfonodale colpisce in particolare i soggetti giovani, nei quali si manifesta con febbre seguita a distanza di qualche giorno da una linfoadenopatia benigna, con interessamento in ordine di frequenza dei linfonodi latero-cervicali e sopraclaveari, ascellari, sottomandibolari ecc.
L’adenopatia può rimanere localizzata oppure diffondersi in breve tempo a più stazioni e spesso costituisce da sola la sintomatologia. La frequenza relativa di questa forma è dell’8-15% nell’ambito delle linfoadenopatie.
Le forme generalizzate sono assai rare ma molto gravi e spesso mortali; esse possono presentarsi in persone con grave compromissione del sistema immunitario.
Sono da citare quella esantematica con esantema di tipo maculo-papuloso o emorragico diffuso, la cerebrale, caratterizzata di solito da una meningo-encefalite, la parenchimatosa, con manifestazioni a carico del miocardio, polmoni, fegato ecc., la oculare con corioretinite.
La toxoplasmosi connatale si può verificare quando una donna subisce l’infezione acuta durante la gestazione e, per effetto della parassitemia, si ha la localizzazione e la moltiplicazione dei toxoplasmi nella placenta, con conseguente invasione fetale.
La possibilità di trasmissione al feto è minore nei primi mesi di gravidanza (20-30%), mentre è più frequente nell’ultimo trimestre (oltre il 50%), verosimilmente a causa dell’aumentata permeabilità placentare.
Le conseguenze sono più o meno gravi in rapporto, oltre che con la virulenza dello stipite e la risposta immunitaria materna, soprattutto con il periodo dell’infezione; sono infatti tanto più gravi quanto più questo è precoce (il che è, fortunatamente, l’evenienza meno frequente).
Clinicamente si possono presentare le seguenti evenienze :
-       aborto o morte fetale o neonatale
-       neonato con toxoplasmosi in atto, che presenta una o più delle manifestazioni della classica tetrade :
corioretinite mono o bilaterale, calcificazioni endocraniche, idrocefalia, ipercinesie (convulsioni, tremori) eccezionalmente si possono avere forme gravissime poliviscerali (epato e splenomegalia, polmonite, enterite, manifestazioni esantematiche ecc.)
-       neonato apparentemente sano, nel quale si possono verificare quadri clinici ai precedenti qualche mese o anno dopo la nascita
-       neonato sano
Diagnosi
Può essere eseguita con ricerche dirette (dimostrazione diretta del parassita) ed esami sierologici.
La dimostrazione diretta del parassita nel materiale di indagine (liquor, sangue, liquido ascitico ecc.) ha indubbiamente un valore superiore a qualsiasi altra modalità di accertamento e deve essere quindi tentata ogni qualvolta sia possibile.
Può essere attuata con l’esame microscopico (scarsamente sensibile e specifico) o con l’esame istologico di reperti bioptici (linfonodi, muscoli, fegato), in cui si ricercano le pseudocisti.
La reazione a catena della polimerasi (PCR) può essere usata per rivelare la presenza del toxoplasma nel liquido amniotico, per diagnosticare precocemente l’infezione intrauterina.
L’isolamento del parassita può essere ottenuto con la prova biologica, inoculando il materiale in esame in topi per via intraperitoneale o intracerebrale o con l’inoculazione in colture cellulari.
L’accertamento sierologico si avvale di numerose metodiche, alcune delle quali possono rivelare separatamente gli anticorpi IgG e gli anticorpi IgM :
-       dye test o reazione tintoriale di Sabin e Feldman : il siero in esame viene messo a contatto con toxoplasmi vivi, che verranno uccisi dagli anticorpi eventualmente presenti (principalmente IgG) e non assumeranno il blu di metilene aggiunto alla miscela ed appariranno non colorati all’osservazione microscopica
-       test di immunofluorescenza indiretta : consente la valutazione separata di IgG ed IgM
-       test di agglutinazione diretta per IgG ed IgM (meno specifico)
-       test ELISA per gli anticorpi IgM (meno specifico)
Epidemiologia
La toxoplasmosi è con ogni probabilità l’infezione protozoaria più diffusa nel mondo e la sua distribuzione geografica è ubiquitaria. In Italia, attualmente la frequenza si va abbassando nelle generazioni più recenti, tanto che il 60% delle donne affronta una gravidanza priva di anticorpi anti-toxoplasma. Dal 30 al 60% delle infezioni risulta correlata al consumo di carne (maiale, agnello) poco cotta.
Una modalità di trasmissione importante è quella derivante dal contatto diretto con gatti eliminatori di oocisti; è importante il ruolo dei gatti randagi che si nutrono con roditori ed uccelli e che possono contaminare il terreno di orti e giardini.
La trasmissione dalla madre al feto per via transplacentare avviene quando la gestante subisce l’infezione per la prima volta
Abitualmente, la toxoplasmosi non colpisce più di una gravidanza, in quanto l’immunità che consegue alla prima infezione della gestante è in grado di prevenire qualsiasi altro danno nelle gravidanze successive, salvo casi eccezionali (rottura di cisti nella toxoplasmosi materna cronicizzata).
Il rischio di infezione in gravidanza può essere diminuito evitando di consumare salumi (prosciutto crudo, salsicce) e carne cruda o poco cotta.
Prevenzione
Considerata l’abituale benignità della toxoplasmosi acquisita dopo la nascita, l’interesse maggiore è per la prevenzione della toxoplasmosi connatale, che, pur essendo una evenienza rara, può avere gravi conseguenze per il feto.
A tutte le gestanti va raccomandato di evitare le occasioni di infezioni, adottando opportuni comportamenti :
-       se in casa vi è un gatto, evitare i contatti diretti con esso, nutrirlo con mangime in scatola e non permettere che esca fuori a cacciare topi o uccelli, evitare di pulirne la lettiera personalmente o pulirla giornalmente (le oocisti diventano infettanti solo dopo tre giorni di permanenza nell’ambiente), usando guanti a perdere, introducendo le feci in contenitori da eliminare subito dopo e lavando accuratamente le mani al termine delle operazioni
-       evitare di fare lavori di giardinaggio oppure indossare guanti spessi per non contaminare le mani con la terra in cui ci possono essere oocisti e lavarsi accuratamente le mani dopo avere toccato la terra
-       lavarsi accuratamente le mani  prima di toccare alimenti, dopo aver toccato carne cruda o ortaggi, prima di mangiare
-       cuocere a fondo la carne, cuocere le verdure o lavarle accuratamente prima di consumarle crude.
Bisogna ricordare che:
·         Gestante sieronegativa : ciò indica che essa è recettiva
·         Gestante sieropositiva per IgG in assenza di IgM : si tratta di infezione avvenuta prima della gravidanza. Se l’esame viene effettuato dopo il terzo mese, potendo già essere scomparse le IgM, non si può escludere con certezza una infezione contratta dopo il concepimento
·         Gestante sieropositiva per IgM e IgG : titoli elevati stabili di IgG, anche in presenza di IgM, indicano molto probabilmente che l’infezione è avvenuta prima della gravidanza; l’aumento del titolo di IgG di almeno tre diluizioni in un secondo prelievo a distanza di 2-3 settimane dà la certezza di infezione recente
Quando vi sia motivo di credere che vi sia una infezione in atto o recente, possono essere eseguiti controlli nel feto dopo la 20° settimana di gestazione, attraverso la amniocentesi e l’esecuzione di esami specifici diretti e sierologici.
In caso di accertata infezione del feto, la somministrazione di pirimetamina e sulfadiazina alla gestante è altamente efficace nel ridurre il rischio di danni; è provato, infatti, che dopo trattamento chemioterapico il 90% dei bambini nasce del tutto sano.
La struttura antigene del toxoplasma è complessa, comprendendo frazioni proteiche e polisaccaridiche.
L’immunità che consegue all’infezione è sia umorale sia cellulomediata ed è di solito associata ad una ipersensibilità di tipo ritardato.
I primi anticorpi che si formano sono le IgM, che compaiono una settimana dopo l’infezione e aumentano rapidamente per poi ridursi fino a scomparire, per lo più entro il quarto mese.
Le IgG si sviluppano verso la seconda-terza settimana, raggiungono il massimo livello dopo 2 mesi circa e lo mantengono per 6-12 mesi o più, per poi diminuire senza però scomparire del tutto.

domenica 19 agosto 2012


Rabbia



La rabbia è una tipica zoonosi, trasmessa all’uomo abitualmente con il morso di animali infetti.
La malattia dell’uomo, benchè rara, è sempre ad esito letale, sicchè l’unica possibilità di lotta risiede nella prevenzione.
L’agente eziologico è un virus ad RNA appartenente alla famiglia dei Rhabdoviridae, genere Lyssavirus. La particella virale contiene 2 antigeni : uno di natura glico-proteica che provoca la formazione di anticorpi neutralizzanti e l’altro, nucleo-proteico, responsabile della comparsa degli anticorpi fissanti il complemento. E’ conosciuto un solo sierotipo.
Il virus della rabbia è patogeno per quasi tutti gli animali a sangue caldo e soprattutto per i mammiferi, nei quali provoca l’insorgenza di una encefalite mortale. Solo il vampiro può infettarsi senza contrarre malattia, restando quindi portatore sano.
Gli animali più frequentemente colpiti sono il cane, il gatto, i bovini, suini, la volpe, il lupo e molti roditori.
La rabbia è diffusa in tutto il mondo, con oltre 30.000 casi l’anno, quasi tutti in paesi in via di sviluppo (Africa, Sud-Est asiatico)
In Italia dal 1995 non vengono più registrati casi di rabbia silvestre e la malattia può essere considerata eradicata.
L’unico serbatoio naturale o sorgente di infezione è costituito dagli animali e l’uomo è soltanto un ospite occasionale.
Tra gli animali, quelli che sostanzialmente mantengono la catena dell’infezione sono i mammiferi e soprattutto lupi, volpi, cani, gatti, bovini, suini, ovini, equini, conigli, pipistrelli ematofagi o vampiri, sciacalli, manguste, coyote, moffette, tassi, lontre, caprioli
Nella epidemiologia della rabbia si possono distinguere due modalità di diffusione, la rabbia silvestre o naturale e la rabbia urbana o domestica.
-       La rabbia silvestre o naturale è mantenuta dagli animali che vivono allo stato libero.
-       La rabbia urbana o domestica è mantenuta dagli animali domestici

L’uomo si infetta principalmente con il morso di un animale infetto (trasmissione  attraverso la saliva degli animali infetti inoculata con il morso) o, assai più di rado, attraverso lesioni della cute bagnate dalla saliva infetta o dalle urine infette.
Eccezionale è la trasmissione per via aerea. Non è documentato alcun episodio di trasmissione interumana, anche se l’uomo ammalato elimina il virus attraverso la saliva e l’urina. Penetrato per via cutanea, di solito con la morsicatura, il virus raggiunge attraverso i nervi sensitivi il sistema nervoso centrale dove si moltiplica attivamente; da qui si diffonde per tutto l’organismo, concentrandosi in particolare nelle ghiandole salivari, ma anche in altri organi. Infatti, può essere reperito, sia pure con minore frequenza, anche nelle urine, latte e sangue. Nel sistema nervoso centrale si ha la comparsa dei tipici corpi del Negri, che appaiono come inclusioni citoplasmatiche nelle cellule piramidali e possono essere di elevato significato diagnostico.
Il virus penetrato nel tessuto sottocutaneo e muscolare diffonde lentamente lungo le vie nervose sensoriali, raggiungendo il sistema nervoso centrale, dove provoca una encefalomielite acuta con distruzione delle cellule nervose della corteccia cerebrale, del mesencefalo, dei gangli della base, del ponte e del bulbo, moltiplicandosi con estrema rapidità. Nel midollo spinale sono colpite soprattutto le corna posteriori.
Il periodo di incubazione è molto variabile, più spesso da 3 a 8 settimane ma può andare da 1 settimana a più di un anno.
La diversa durata è in rapporto alla distanza che il virus deve percorrere dal punto di penetrazione fino al sistema nervoso centrale, oltre che all’abbondanza delle terminazioni nervose nella sede della ferita ed alla carica virale infettante.
Di norma, il periodo di incubazione è molto breve nei soggetti che subiscono gravi morsicature al viso; anche le morsicature alle mani, in quanto ricche di terminazioni nervose sensitive, hanno più breve periodo di incubazione.
La malattia si manifesta con una fase prodromica contrassegnata da stato ansioso, febbre, cefalea e vomito.
Significato diagnostico rivestono sensazioni abnormi nella sede dell’infezione (formicolii, prurito, iperestesie o parestesie cutanee) in seguito all’intensa stimolazione del sistema sensitivo.
Con il progredire della malattia insorgono convulsioni generalizzate e i due sintomi patognomonici della rabbia umana : l’idrofobia, che si presenta con spasmi dolorosi faringo-laringei conseguenti al contatto delle labbra con l’acqua o anche alla semplice vista o rumore dell’acqua corrente, e la aerofobia, che si manifesta con violenti spasmi respiratori al minimo soffio d’aria. Gli accessi convulsivi e asfittici si susseguono sempre più violenti fino a che non sopravviene la morte.
A volte, nel periodo preterminale, allo stato di eccitazione motoria segue un breve periodo paralitico della durata di qualche ora, con cessazione degli spasmi e paralisi generalizzate di tipo flaccido.
La morte sopravviene in genere dopo 3-5 giorni dall’inizio dei sintomi patognomonici.
Diagnosi
Gli accertamenti diagnostici vengono fatti di norma nell’animale morsicatore, in quanto nell’uomo la diagnosi è clinica e non presenta difficoltà.
Se si riesce a catturare l’animale sospetto rabido, non è consigliabile ucciderlo ma è preferibile tenerlo in osservazione per 10 giorni, considerato che l’infezione può essere trasmessa da 3 a 8 giorni prima dell’insorgenza dei sintomi, quando il virus comincia ad essere presente nella saliva.
Gli accertamenti diagnostici si eseguono mediante l’esame microscopico e l’isolamento del virus.
L’indagine microscopica di scelta, perché sensibile e rapida, è quella in immunofluorescenza, con cui si evidenziano nel tessuto cerebrale gli antigeni virali mediante antisieri specifici marcati con sostanze fluorescenti.
L’isolamento del virus può essere ottenuto mediante inoculazione nel topino o in colture cellulari di una emulsione del cervello o della saliva dell’animale sospetto rabido.
Prevenzione
Nei paesi in cui la rabbia è ancora endemica, l’unica concreta possibilità di lotta è fornita dall’immunoprofilassi (vaccinoprofilassi e sieroprofilassi), tenuto conto che non esiste alcuna terapia efficace e che la malattia è sempre letale.
La vaccinazione antirabbica si applica alle persone che, nelle aree endemiche, sono state morsicate o, comunque, sono venute a contatto con animali affetti da rabbia o presunti tali (vaccinoprofilassi post-esposizione).
Essa differisce, pertanto, da tutte le altre vaccinazioni, che vanno effettuate prima dell’esposizione al rischio di infezione.
Questa singolarità deriva dal fatto che il periodo di incubazione della malattia è in genere sufficientemente lungo perché il vaccino possa suscitare uno stato di immunità tale da neutralizzare il virus prima che abbia potuto localizzarsi nel sistema nervoso centrale.
La vaccinazione antirabbica, inoltre, è consigliabile e opportuna per tutti coloro che per la loro attività professionale sono esposti ripetutamente al rischio di infezione (vaccinoprofilassi pre-esposizione)
Attualmente sono usati vaccini inattivati, preparati con virus della rabbia riprodotto in colture cellulari; essi sono dotati di elevato potere immunogeno, con una efficacia protettiva del 100% e della durata di almeno 3 anni.
La scheda vaccinale raccomandata per la vaccinazione post-esposizione prevede la somministrazione di 5 dosi ai giorni 0,3,7,14,30; la via di inoculazione è quella intramuscolare nella regione deltoidea agli adulti e nell’area anterolaterale prossimale della coscia ai bambini.
Reazioni locali al punto di inoculazione sono presenti nel 25% dei vaccinati; nel 20% circa si hanno reazioni generali modeste, come cefalea, nausea, dolori muscolari ecc.
E’ utile associare al vaccino la somministrazione di immunoglobuline specifiche (profilassi attiva e passiva), specialmente nelle persone con gravi morsicature alla testa ed alle mani, la cui azione consiste nel ritardare la diffusione del virus al sistema nervoso centrale, così da prolungare il periodo di incubazione e consentire al vaccino di promuovere una immunità attiva sufficiente.
Poiché in Italia la rabbia è assente, in caso di morsicatura da parte di animali domestici non è indicata la vaccinazione, a meno che l’animale non provenga da aree geografiche in cui la malattia è ancora endemica.