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venerdì 15 giugno 2012


Varicella

La varicella è una malattia esantematica, acuta e contagiosa, caratterizzata dall’eruzione di un esantema pruriginoso, con elementi maculo-papulosi generalizzati, che evolvono in vescicole e croste. Di solito il decorso è benigno, con evoluzione verso la guarigione spontanea, ma la sintomatologia comporta uno stato di sofferenza non trascurabile per il malato.
L’agente eziologico è il virus della varicella-zoster, un herpesvirus così chiamato perché è responsabile, oltre che della varicella, anche dell’herpes zoster, manifestazione ricorrente e localizzata che fa seguito all’infezione primaria per la persistenza del virus in forma latente.
E’ un virus a DNA che appartiene alla famiglia degli Herpesviridae; è un virus labile
Il virus penetra attraverso le prime vie aeree, in cui si moltiplica per dar luogo ad una successiva fase viremica con diffusione in tutto l’organismo. Dopo un periodo di incubazione di 14-16 giorni, che può andare da 10 a 21 giorni, la malattia inizia con febbre modica e malessere, che si accompagnano con l’eruzione di un caratteristico esantema pruriginoso e generalizzato.
Questo è costituito da 250-500 elementi maculo-papulosi, che si presentano ad ondate successive, sono più abbondanti nelle parti coperte del corpo ed evolvono rapidamente in vescicole, che si coprono di croste dopo 3-4 giorni.
Le lesioni cutanee possono subire delle infezioni batteriche, specialmente se vengono grattate per l’intenso prurito.
In alcuni casi, l’infezione può decorrere senza l’eruzione del tipico esantema o con l’eruzione di un numero di elementi così piccolo da passare inosservati.
Negli adolescenti, negli adulti e negli immunodepressi il decorso è solitamente più grave e le complicanze più frequenti.
La letalità è molto bassa nei bambini, circa 1 caso di morte ogni 100.000; essa è più elevata negli adulti, circa 30 casi ogni 100.000.
Complicanze si possono presentare a carico del sistema nervoso centrale con atassia cerebellare acuta ed encefalite.
L’atassia cerebellare può manifestarsi da una a tre settimane dopo l’eruzione dell’esantema, con frequenza di 1 caso ogni 4.000, e di solito ha un’evoluzione benigna con ritorno alla normalità entro 2-4 settimane.
L’encefalite si presenta con frequenza di 1 caso ogni 1.000 ed ha un decorso più grave: la mortalità fra coloro che sviluppano encefalite è del 5-20%, mentre fra coloro che sopravvivono il 15% circa ha sequele neurologiche permanenti.
Altre complicanze a carico del sistema nervoso sono la meningite, la mielite trasversa e la sindrome di Reye, quest’ultima connessa con la somministrazione di acido acetilsalicilico (aspirina).
Una grave complicanza non neurologica con elevata letalità è la polmonite da varicella, che è piuttosto frequente negli adulti (1 caso ogni 400) e negli immunodepressi.
Dopo la guarigione, il virus persiste in stato latente nei gangli delle radici dorsali dei nervi che fuoriescono dal midollo spinale. La sua riattivazione causa l’Herpes zoster (comunemente chiamato “fuoco di Sant’Antonio”, che si manifesta con la comparsa di vescicole a grappolo lungo il decorso di uno o più nervi, più spesso nella schiena e nel petto. L’eruzione cutanea è accompagnata, specialmente negli adulti, da intenso bruciore).
Diagnosi
Prima dell’eradicazione del vaiolo, in certi casi si poneva il problema della diagnosi differenziale fra le due malattie, a causa della somiglianza delle rispettive lesioni cutanee.
Attualmente, la diagnosi è facile su base clinica ed epidemiologica.
L’isolamento e la tipizzazione del virus dal liquido delle vescicole ha interesse in fase di monitoraggio delle campagne di vaccinazione per distinguere i casi di varicella da virus selvaggio dai rari casi di eruzione cutanea da virus attenuato del vaccino.
Epidemiologia
Il virus della varicella-zoster è patogeno soltanto per l’uomo e la sorgente di infezione abituale è costituita dai malati di varicella, talvolta anche dai malati di zoster.
E’ altamente contagioso e la trasmissione avviene facilmente con goccioline di secrezioni delle prime vie aeree o per contatto diretto con le lesioni della varicella o dello zoster.
Il periodo di contagiosità va da 1-2 giorni prima della comparsa dell’esantema fino alla comparsa delle croste.
Il periodo di incubazione è mediamente di 14-16 giorni, con limiti massimi di 10-21 giorni.
In assenza di vaccinazione, la varicella è una malattia tipicamente infantile, a causa della sua elevata contagiosità, tanto che il 90% dei bambini si infetta entro i 13 anni di età.
Prevenzione
Nei casi in cui è necessario il ricovero in ospedale, il malato deve essere tenuto in stretto isolamento fino alla comparsa delle croste per evitare la trasmissione ad altri pazienti.
La riammissione a scuola o in comunità dei bambini che si sono ammalati di varicella può essere consentita dopo che tutte le vescicole si sono trasformate in croste.
I bambini non immuni che sono stati esposti al contagio possono essere sottoposti ad immunoprofilassi passiva con la somministrazione di immunoglobuline anti-varicella-zoster per via intramuscolare ad un dosaggio di 125 U per ogni 10 Kg di peso corporeo e per un massimo di 625 U.
Il modo più sicuro ed efficace di proteggere un bambino è la vaccinazione.
La somministrazione del vaccino, costituito da virus della varicella-zoster vivi e attenuati, va fatta intorno ai 15 mesi di vita, contemporaneamente alla somministrazione del vaccino trivalente MPR.
Esiste anche una formulazione tetravalente in cui il vaccino anti-varicella è combinato con MPR.
La vaccinazione conferisce una protezione dell’85-90% da tutte le forme di varicella e del 100% dalle forme moderate e gravi; ciò significa che in caso di epidemia nessuno dei vaccinati ammalerà in forma grave o moderata e solo alcuni presenteranno una forma lieve, con non più di 15-30 lesioni cutanee, che guarirà rapidamente.
Il vaccino presenta pochi effetti indesiderati, consistenti in lieve reazione nella sede di inoculazione nel 10-15% dei vaccinati, esantema localizzato al punto di inoculazione nel 3-5%, esantema in altre sedi in un ulteriore 3-5%. In questi casi, l’esantema è costituito da 2 a 5 elementi maculopapulosi che compaiono da 5 a 26 giorni dopo la vaccinazione e regrediscono rapidamente. Eccezionalmente sono state osservate reazioni avverse gravi, come encefalite, atassia ed altre manifestazioni neurologiche. Anche l’insorgenza di herpes zoster è rara ed è stimata in 2,6 casi ogni 100.000 dosi di vaccino distribuite.

domenica 10 giugno 2012


Parotite

La parotite è una malattia infettiva acuta e contagiosa, che si caratterizza per la tumefazione di una o, più spesso, di entrambe le parotidi ed, eventualmente, anche di altre ghiandole salivari.
Un terzo circa dei casi di infezione da virus parotitico decorre, però, seza tumefazione delle ghiandole salivari. Di solito il decorso è benigno e l’infezione evolve verso la guarigione spontanea senza complicanze. Tuttavia, se l’infezione avviene dopo la pubertà è frequente l’interessamento dei testicoli con orchite,che, però, raramente porta alla sterilità.
Un’altra complicanza relativamente frequente negli adulti è la meningite.
Altre complicanze che possono presentarsi raramente a tutte le età sono artrite, tiroidite, pancreatite, glomerulonefrite, miocardite, alterazioni nervose, deficit uditivi.
Il virus della parotite è classificato nel genere Rubulavirus della famiglia Paramyxoviridae.
E’ un virus ad RNA. Il nucleocapside costituisce l’antigene solubile S che stimola la produzione di anticorpi rivelabili nella prima fase dell’infezione.
Il nucleocapside è avvolto da un rivestimento che all’esterno è costellato da glicoproteine con attività emoagglutinante, neuroaminidasica e stimolante la fusione cellulare.
Nello strato esterno è presente l’antigene virale V che stimola la produzione di anticorpi rivelabili in una fase tardiva dell’infezione. Il virus della parotite è antigenicamente stabile, sicchè è noto un solo sierotipo.
Il virus penetra per via aerea e si moltiplica nell’epitelio delle prime vie aeree, da qui diffonde per via ematica in tutto l’organismo per localizzarsi infine alle ghiandole parotidi.
Nel corso della fase viremica si può avere anche la localizzazione alle meningi, ai testicoli ed in altri organi.
Ciò avviene con molta maggiore frequenza negli adolescenti e negli adulti.
Dopo un periodo di incubazione da due a quattro settimane (in media, 16-18 giorni), la malattia esordisce con sintomatologia aspecifica di febbre, malessere, anoressia e cefalea, seguita rapidamente da otalgia e senso di tensione in zona parotidea.
Di solito è colpita prima una parotide e dopo un paio di giorni l’altra ma non è raro che venga colpita una sola ghiandola.
Le ghiandole colpite raggiungono il massimo volume in due-tre giorni, conferendo al viso del malato l’aspetto caratteristico derivante dallo spostamento in alto ed in avanti dei padiglioni auricolari, da cui deriva la denominazione popolare della malattia come “orecchioni”.
In circa il 10% dei casi si ha il coinvolgimento anche delle altre ghiandole salivari.
La sintomatologia generale e locale regredisce nel giro di una settimana e la malattia guarisce spontaneamente di solito senza complicanze, specialmente nei bambini.
Tuttavia, il virus parotitico ha uno spiccato neurotropismo documentato dal fatto che in oltre la metà dei malati si rileva pleiocitosi nel liquido cerebrospinale.
Inoltre, fino al 10% dei malati può presentare meningite con decorso benigno e completo recupero e circa lo 0,1% encefalite con decorso grave e sequele permanenti.
Una complicanza neurologica alquanto frequente (circa il 4% dei casi) è a carico del nervo acustico, con sordità alle alte frequenze di solito transitoria.
Altre manifestazioni neurologiche, rare, sono : atassia cerebellare, paralisi del facciale, mielite trasversa, poliradicolite ascendente, sindrome poliomielitica
Complicanze frequenti quando la malattia si presenta dopo la pubertà sono l’epididimo-orchite nei maschi e l’ooforite nelle femmine.
L’epididimo-orchite si presenta nel 20-30% dei casi di parotite post-puberale, interessando un solo testicolo, più raramente entrambi; la complicanza evolve spontaneamente verso la guarigione e, di solito, non residua né impotenza né infertilità anche se vi è una certa riduzione di volume.
L’ooforite si presenta in circa il 5% dei casi di parotite postpuberale delle donne, ma anche in questi casi l’infertilità è una conseguenza rara.
Diagnosi
Il virus parotitico va ricercato nel liquido di lavaggio faringeo, nelle urine ed eventualmente nel liquido cerebrospinale mediante inoculazione in colture cellulari o con tecniche di biologia molecolare. Si può effettuare anche la ricerca ed il dosaggio degli anticorpi in campioni di sangue prelevati in fase acuta e dopo la guarigione.
Epidemiologia
Le sorgenti di infezione sono costituite dai malati e dagli infetti asintomatici o paucisintomatici.
L’uomo è l’unico serbatoio del virus parotitico.
Il periodo di contagiosità va da 7 giorni prima della tumefazione delle parotidi a 9 giorni dopo.
La trasmissione avviene per via aerea con goccioline di saliva o per contagio diretto con le mani contaminate o per contagio indiretto con oggetti contaminati dalla saliva.
Il maggior numero di casi si ha tra i 5 e i 14 anni.
Recrudescenze epidemiche si presentano ogni 2-5 anni.
Nelle popolazioni estesamente vaccinate la frequenza della malattia si riduce rapidamente; se, però, non si raggiunge un livello di copertura vaccinale superiore al 95% si può avere uno spostamento verso l’età adulta delle infezioni residue, con maggiore frequenza di complicanze.
In Italia, a partire dal 1999, quando sono stati registrati 40.428 casi, si è avuta una progressiva riduzione dell’incidenza con soli 1.341 casi registrati nel 2005.
L’uso sempre più esteso del vaccino MPR fra i nuovi nati ha portato al controllo della malattia in Italia, con la possibilità della sua eliminazione entro pochi anni.
Prevenzione
L’unico mezzo di prevenzione realmente efficace è la vaccinazione, che si effettua con un vaccino costituito da virus della parotite vivi e attenuati.
La vaccinazione è raccomandata all’età di 15 mesi circa con il vaccino trivalente MPR o con il tetravalente MPR-VZ, da somministrare per via sottocutanea.
Una seconda dose è raccomandata all’età di 5-6 anni.
Il vaccino è altamente efficace (più del 90% dei vaccinati sviluppa anticorpi) e sicuro.
La vaccinazione estensiva può portare all’eliminazione della malattia ed all’eradicazione del virus parotitico, purchè si superi la soglia del 95% dei vaccinati fra i nuovi nati.

martedì 5 giugno 2012


Rosolia

La rosolia è una malattia esantematica, contagiosa, a breve decorso e di modestissima gravità quando colpisce un organismo maturo. L’infezione in una donna gravida non immune è, invece, particolarmente grave se avviene nelle fasi iniziali della gravidanza, per i danni che può determinare all’embrione.
Il virus rubeolico, classificato nel genere Rubivirus della famiglia Togaviridae è un virus a RNA monocatenario di cui si conosce un solo tipo antigene.
Ha la capacità di emoagglutinare i globuli rossi di uccelli ed i globuli rossi umani di gruppo 0.
E’ poco resistente nell’ambiente e viene rapidamente inattivato dalla maggior parte dei disinfettanti chimici e dagli agenti fisici (UV, calore, essiccamento).
Introdotto per via aerea, il virus rubeolico si moltiplica dapprima nella mucosa nasofaringea ed in seguito nei linfonodi satelliti. Dopo 7-10 giorni dal contagio segue una fase viremica che persiste fino alla comparsa del rash esantematico e della risposta anticorpale specifica.
L’eliminazione del virus avviene principalmente per via faringea, ma esso può essere presente, inconstantemente, anche nel secreto congiuntivale, nelle urine e nelle feci.
Quando la prima infezione occorre nei primi 3-4 mesi di gravidanza la viremia determina frequentemente un’infezione placentare e la trasmissione all’embrione; ne derivano un ritardo e un disordine nell’organogenesi, con le possibilità sia di morte intrauterina dell’embrione o del feto oppure di nascita di un bambino portatore di malformazioni spesso gravi e invalidanti e di rosolia del neonato. La malattia post-natale inizia, dopo un periodo di incubazione di 14-21 giorni, con modica febbre, linfoadenopatie laterocervicali, retroauricolari e sottoccipitali e manifestazioni esantematiche di tipo eritematoso o maculopapuloso scarsamente tipiche.
La linfoadenopatia può precedere di diversi giorni l’esantema o manifestarsi anche senza esantema.
Le manifestazioni cutanee iniziano alla faccia e al collo per diffondersi rapidamente al tronco, alle braccia e alle gambe; durano in genere tra 2 e4 giorni.
Nella maggior parte dei casi la sintomatologia è lieve e solo in un modesto numero di casi si hanno complicazioni.
Le più comuni sono quelle articolari, neurologiche e trombocitopeniche.
Le complicazioni articolari, rare nel bambino, sono frequenti nell’età adulta (fino al 70% dopo i 30 anni); la sintomatologia varia da una fugace poliartralgia a vere e proprie forme di artrite che persistono mediamente per una settimana.
Tra le complicanze neurologiche, quella encefalitica è di gran lunga la più importante (letalità del 3-5%), ma la sua incidenza è senz’altro bassa (1 caso su 20.000-25.000).
La trombocitopenia determina sindromi emorragiche di vario grado; il suo decorso è di solito favorevole anche se prolungato (da 1 a 3 mesi).
La rosolia connatale, quando non si traduce nell’aborto o nel parto prematuro con feto morto, determina lesioni nervose (microcefalia, encefalite, malformazioni del SNC), dell’orecchio interno, dell’occhio (cataratta, glaucoma, retinite pigmentosa, microftalmia), dell’apparato cardiovascolare (pervietà del dotto arterioso, del setto interventricolare, del setto interatriale, stenosi valvolari, tetralogia di Fallot).
Non sono infrequenti neppure porpora neonatale, epatite con epatosplenomegalia, necrosi miocardiche, lesioni ossee, polmonite e nefrite interstiziale.
La rosolia contratta nei primi 3-4 mesi di gravidanza determina un incremento degli aborti e dei parti prematuri con feto morto; fra i bambini nati vivi, una frequenza di malformazioni nel 50% dei casi quando è contratta nel primo mese di gravidanza, nel 22-25% durante il secondo mese, nel 6-15% durante il terzo mese, nello 0,1% durante il quarto mese; dal quinto mese in avanti non si ha più alcun rischio di malformazioni.
Per quanto riguarda la rosolia connatale in assenza di vaccinazione il rischio di infezione fetale è globalmente stimato in 4-30 casi su 1000 nati vivi in periodi epidemici e in meno di 0,5 casi su 1000 in periodi interepidemici.
Epidemiologia
Le sorgenti di infezioni sono strettamente umane.
Il periodo di incubazione è più spesso di 16-18 giorni (da 14 fino a 23 giorni).
Il virus viene eliminato, nei casi clinicamente evidenti, da una decina di giorni e più prima dell’inizio della sintomatologia fino a 1-2 settimane dopo; il periodo di massima contagiosità, però, va da 2-3 giorni prima a 2-3 giorni dopo l’inizio dell’esantema.
La trasmissione avviene essenzialmente per via aerea, con contatto diretto o mediante goccioline di secrezioni nasofaringee per ciò che si riferisce all’infezione post-natale, per via transplacentare per la rosolia connatale.
Nella rosolia post-natale accanto alle forme conclamate sono importanti quali sorgenti di infezione le forme inapparenti. Il bambino che nasce affetto da rosolia è una temibile e duratura sorgente di infezione; l’eliminazione del virus, infatti, non cessa in genere prima del 6° mese e in alcuni casi può arrivare fino al 18° mese di vita. Data la presenza di forme inapparenti e la modesta gravità e tipicità dei casi manifesti, la reale diffusione dell’infezione rubeolica può essere valutata esattamente solo con metodiche siero-epidemiologiche.
Nei soggetti colpiti da una prima infezione la risposta immunitaria è testimoniata dalla comparsa di anticorpi specifici (svelabili mediante metodi immunoenzimatici) che durano praticamente tutta la vita.
In tali soggetti sono possibili reinfezioni che sono clinicamente inapparenti, non danno luogo a viremia, non comportano rischi embrionali nelle donne gravide e si traducono in definitiva in un rinforzo dell’immunità.
In assenza di vaccinazione di massa si ha una continua diffusione endemica con epidemie a intervalli di 6-9 anni; le età più colpite sono quelle da 5 a 9 anni e, in misura di poco inferiore, quelle da 10 a 14 anni.
In Italia 6.224 casi nel 2002 e successivamente, nel 2005, sono stati notificati soltanto 297 casi; anche se i dati derivanti dalle notifiche soffrono di una forte sottostima, sembra che le campagne di vaccinazione con il vaccino MPR siano efficaci per il controllo dell’infezione e per l’avvio dell’eliminazione della malattia.
Prevenzione
L’isolamento (ospedaliero o domiciliare) è praticamente privo di efficacia per diversi motivi:
- elevato numero di colpiti in periodo epidemico
- numerose sorgenti di infezione asintomatiche
- inizio della eliminazione del virus prima delle manifestazioni cliniche nei casi conclamati
L’isolamento domiciliare è necessario e va attuato durante tutto il primo anno di vita nei riguardi dei bambini nati con rosolia congenita.
Pressochè inutili sono le pratiche di disinfezione, per la labilità del virus; è sufficiente procedere al lavaggio in lavabiancheria ed in lavastoviglie della biancheria e delle stoviglie che sono venute a contatto con il malato.
L’accertamento diagnostico è di particolare valore per la diagnosi di infezione in gravidanza, nel caso di contatto con un malato di rosolia. Se la gestante si presenta all’osservazione medica subito dopo il contatto, la dimostrazione di anticorpi sierici testimonia per una precedente immunità e garantisce l’assenza di rischi per il prodotto del concepimento. La negatività sierologica, invece, impone un ulteriore dosaggio degli anticorpi nel sangue dopo circa 20 giorni.
La conversione sierologica indica l’avvenuta infezione ed il conseguente rischio di aborto o di embriopatia da valutare in rapporto all’epoca della gravidanza.
Se la donna gravida si presenta tardivamente all’osservazione medica (dopo 20 giorni o più) la negatività sierologica testimonia che il contagio non è avvenuto, mentre la positività sul siero non frazionato non è in grado di indicare se l’infezione è stata contratta in gravidanza oppure mesi o anni prima. Diventa in questo caso indispensabile praticare la ricerca degli anticorpi specifici sulla sola frazione IgM poiché questa classe di immunoglobuline persiste per un periodo massimo di 60-80 giorni dall’infezione.
La vaccinazione è l’unica pratica preventiva realmente efficace.
Essa va attuata con la somministrazione sottocutanea del vaccino costituito da virus rubeolici vivi ed attenuati, combinati con i virus vivi e attenuati del morbillo e della parotite nel vaccino trivalente MPR o con gli stessi e con i virus vivi ed attenuati della varicella nel vaccino tetravalente MPR-VZ.
Anche per la prevenzione della rosolia il vaccino trivalente o tetravalente ha la maggior efficacia quando è somministrato attorno ai 15 mesi di vita, con una dose di recupero a 5-6 anni.
La frequenza di sieroconversioni è compresa tra il 95 e il 100%, con produzione di anticorpi circolanti e di anticorpi secretori a livello delle mucose.
I titoli anticorpali raggiunti sono inferiori di 2 volte a quelli conseguenti a infezioni naturali, ma l’immunità è ugualmente di lunga durata anche in assenza di reinfezioni.
Le reinfezioni, peraltro, pur non provocando malattia clinica, viremia e quindi possibili danni fetali, funzionano come potenti richiami e concorrono a prolungare l’immunità per tutta la vita.
La vaccinazione antirubeolica ha ben poche controindicazioni, che non differiscono da quelle consuete delle altre vaccinazioni e più in particolare di quelle con virus attenuati : malattie acute febbrili, deficit immunitari congeniti o acquisiti
I virus rubeolici attenuati si replicano nel punto di inoculazione, dando luogo a una fase viremica, compaiono frequentemente ma fugacemente (per 1-2 giorni) nel secreto orofaringeo dopo 10-14 giorni dall’inoculazione; il virus così eliminato non è però trasmissibile ai contatti.
La vaccinazione può essere seguita da risentimenti transitori dei linfonodi in sede cervicale e occipitale e da artralgie.; queste ultime, rare nei bambini, si verificano più frequentemente negli adulti oltre i 25 anni, compaiono da 2 a 10 settimane dopo la vaccinazione e durano da un giorno a una settimana.
La vaccinazione è raccomandata non solo nell’infanzia ma anche a tutte le donne in età feconda
Le donne non vaccinate da bambine e dalla cui anamnesi non risulta la rosolia vanno vaccinate per risparmiare loro la preoccupazione di contrarre l’infezione durante una futura gravidanza, somministrando il vaccino senza bisogno di alcun accertamento dello stato immunitario.
Ad esse va raccomandato di non iniziare una gravidanza entro 28 giorni dalla vaccinazione; tuttavia, se una donna è stata inavvertitamente vaccinata in gravidanza, ciò non costituisce indicazione per l’aborto, giacchè non sono mai stati osservati danni all’embrione o al feto in tutti i casi in cui il vaccino è stato somministrato a donne che non sapevano di essere gravide.
Profilassi immunitaria passiva : di fronte a una infezione rubeolica in gravidanza è stato sperimentato l’impiego di immunoglobuline specifiche (2 ml di preparato ad alto titolo anticorpale).
Teoricamente, se la somministrazione è precoce ed avviene prima della viremia, dovrebbe essere evitata la infezione placentare e il danno embrionale.
In effetti, anche se è stato segnalato qualche risultato positivo, è certo che da donne così trattate sono nati bambini con rosolia congenita. Pertanto, le immunoglobuline sono prive di un sicuro effetto protettivo.