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mercoledì 29 luglio 2009


Urgenze psichiatriche

Gran parte dell’attività è svolta dall’attività medica di base. È fondamentale identificare accertarsi quanto dietro a sindromi psichiatriche è di origine somatica. Spesso non ci si accorge quindi di turbe neurologiche, metaboliche, infettive, tossiche dietro lo stato confusionale acuto, alterazioni cardiologiche o respiratorie dietro l’episodio di ansia, tumori dietro la depressione etc.
L’urgenza psichiatrica comprende l’abuso di sostanze, violenza, suicidio, omicidio, stupro, maltrattamenti, vagabondaggio…
Nell’affrontare l’emergenza, prima di tecniche e prassi da programmare, esiste il problema preliminare, ovvero il capire, evitando di considerare nel pronto soccorso la persona come oggetto ma come individuo con una storia, con avvenimenti emotivi sempre raffrontabili con quelli delle altre persone.
Quindi oltre ai farmaci è importante il “cosa dire”, l’approccio, non fare solo diagnosi ma ricostruire la storia interna del paziente. Il problema però è che in queste situazioni si deve fare tutto di fretta, pressati su mille fronti; si deve avere intuito per le situazioni profonde, recepirle al fine di dare un’impostazione psicoterapeutica. Bisogna cercare di essere dentro il problema della persona, avere “creatività”.

Stato ansioso acuto: il più comune. spesso si presenta corredato da tutte le caratteristiche somatiche (tachicardia, secchezza delle fauci, lipotimia, dispnea…). Il paziente teme di svenire, morire, il medico deve dare il giusto peso a queste affermazioni, rassicurarlo e astenersi dal dire “E’ solo ansia”. Di solito non è necessario il ricovero.

Stato di eccitamento: paziente inquieto, talora aggressivo, a differenza dell’ansioso non chiede aiuto e allontana chi prova ad aiutarlo. Si può riscontrare in caso di:
• Psicosi (schizofrenia o genericamente delirante)
• Depressione
• Patologie del carattere
• Astinenze
• Alcune situazioni psicorganiche.
Si somministrano farmaci come i butirrofenoni (l’aloperidolo), anche nel caso di paziente maniacale.

Stato confusionale acuto: disorientamento spazio-temporale e nella persona. Può precedere il coma e può derivare da:
• Trauma
• Tossicosi, accidentale o volontaria
• Tossinfezioni (soprattutto tifo)
• Cause metaboliche
• Psicosi
• Alcool
• Patologia neurologica

Stato psicotico acuto: può essere l’esordio di una psicosi o un episodio acuto. Sono presenti deliri, allucinazioni, alterazioni del linguaggio… Se è assente stato confusionale si può probabilmente trattare di schizofrenia. Anche qui si somministrano butirrofenoni. È necessario il ricovero, spesso coatto.

Arresto psicomotorio: di solito in catatonici o anche in alcuni casi di melanconia. Si raccomanda il ricovero. Si somministrano neurolettici per i catatonici e antidepressivi per i melanconici.

Reazione depressiva: consegue ad un evento molto stressante; occorre fare attenzione al suicidio. Il ricovero si effettua se l’ambiente che circonda il paziente non è adeguato. Si somministrano antidepressivi.

Tentativo di suicidio: è importante segnalare eventuali:
• Intossicazioni da eccesso di farmaci
• Tagli autoprodotti
• Lesioni traumatiche da precipitazione o investimento
• Lesioni da arma da fuoco
• Stato di asfissia da annegamento, impiccagione o gas.
È molto più frequente nella depressione. Si deve decidere se ospedalizzare il paziente, ma spesso si fa, per i rischi di nuovi tentativi. È importante la presa in carico psicologica tempestiva del paziente.
Si considera anche l’autolesionismo come pseudosuicidio; c’è marcata o meno autodistruzione con elaborazione anomala di impulso aggressivo e/o senso di colpa.

Anomalie del comportamento e paziente violento: bisogna eliminare durante l’intervista ogni oggetto che potrebbe diventare arma. Si deve: rassicurare il paziente, sedarlo con farmaci e usare mezzi di contenzione, tenere conto di episodicità del comportamento o della possibilità che si ripeta. Valutare se ospedalizzare il paziente o no.

Delirium tremens: è negli stati confusionali acuti, può derivare da alcolismo cronico. Ricoverare il paziente reidratarlo o detossicarlo. Utili i farmaci sedativi.

Urgenze da tossicodipendenza:
• Overdose
• Complicanze in corso di tossicosi cronica
• Astinenza
• Emergenze psichiatriche in corso di tossicosi.
L’overdose è la più frequente causa di morte. Oggi per fortuna risulta del tutto reversibile grazie al Narcan (Naloxone), antagonista specifico. Se il paziente non risponde dopo 2-3 dosi (0,4 mg, via endovenosa), si deve pensare alla concomitanza di altri patogeni.
Le complicanze somatiche possibili sono tante: HBV, edema polmonare, endocardite batterica, vasculiti, patologia gravidica e nascita di figlio con astinenze da oppiacei, traumi vari, tentativi di autolesionismo o suicidio, infezioni, AIDS.
Astinenza: non c’è rischio di morte, si somministrano benzodiazepine per calmare i sintomi (ansia, agitazione, impulsività, reazioni corto-circuitarie, talora depressione grave). Si possono avere anche effetti somatici (vomito, diarrea, dolori vari, contratture, collasso, ipertermia) per i quali si possono somministrare gli appositi farmaci.
Bisogna ricordare che la sindrome da carenza di metadone è più grave di quella da morfina o eroina, si manifesta dopo (24-36 h contro le 8-16 h degli oppiacei naturali) ed è più difficile da trattare.

Emergenze psichiatriche: agitazione psicomotoria, grande depressione con rischio suicidio, manifestazioni impulsive. Distinguere questi sintomi da inequivocabili azioni delinquenziali, non di interesse psichiatrico.
Al pronto soccorso si possono avere anche altri casi di uso di sostanze, i cui problemi sono rappresentati solo dalle emergenze psichiatriche. I più frequenti:
• Ebbrezza alcolica
• Eccitamento da intossicazione acuta da cocaina o amfetamina
• Psicosi da allucinogeni, cocaina o amfetamina
• Cattivi viaggi (bad trips) da allucinogeni
• Delirium tremens (astinenza fisica da alcool etilico)
• Astinenza da barbiturici.

venerdì 24 luglio 2009


Disturbi dissociativi e di conversione

I primi sono caratterizzati da sconnessione delle funzioni, solitamente integrate, della coscienza, della memoria, dell’identità o della percezione. Si ha depersonalizzazione e può essere interpretata come meccanismo di difesa che elimina dalla consapevolezza desideri, fantasie o sentimenti inaccettabili. Si ha dai normali periodi di disattenzione, ad esempio durante una conversazione, a veri e propri stati patologici.
I secondi sono caratterizzati da presenza di uno o più sintomi neurologici che non trovano eziologia in un quadro neurologico o internistico, spesso associati ad altri sintomi psichici e al fatto che il paziente tragga dalla patologia un vantaggio non sempre consapevole.
Entrambi i disturbi sono con prognosi favorevole ma con forti rischi di ricadute o cronicizzazione, diventando assai invalidanti.
Concetto di dissociazione: è un fenomeno psichico complesso che interessa diverse funzioni superiori e soprattutto l’organizzazione della coscienza, i cui elementi formali sono:
Coscienza dell’attività dell’Io, “io penso”, riconoscere come propri i vari accadimenti psichici
Coscienza dell’unità dell’Io, “io sono uno nello stesso istante”
Coscienza di identità dell’Io, il riconoscersi sempre come se stessi nel passare del tempo nonostante le normali modificazioni negli anni
Coscienza dell’Io in contrapposizione all’esterno e all’altro, il sapere di essere diversi dal mondo e dagli altri, l’unico confine invalicabile è la pelle.
La dissociazione avviene per gradi; generalmente in momenti d’ansia si può avere un breve periodo di disorganizzazione psichica con poi il recupero della configurazione precedente.
Stati di alterazione della coscienza hanno come fattori eziopatologici:
• Tossici (alcool, farmaci…)
• Metabolici
• Tossinfettivi (infezioni…)
• Lesioni organiche cerebrali (traumatiche, degenerative, arteriosclerotiche…)
• Psichici in condizioni psicotiche acute (mania, melanconia, schizofrenia) e in stati neurotici gravi (isteria, stati ansiosi)

DISTURBI DISSOCIATIVI NEL DSM-IV-TR
Sono disturbi caratterizzati da:
• Amnesia dissociativa
• Fuga dissociativa
• Disturbo dissociativo dell’identità
• Disturbo di depersonalizzazione
• Disturbo dissociativo non altrimenti specificato.

Amnesia dissociativa: non ricordare eventi o persone, spesso di natura traumatica o stressogena. È il sintomo più comune. Bisogna fare caso alla capacità comunque di apprendere nuove informazioni e distinguerla da affezioni neurologiche.

Fuga dissociativa: la più frequente è l’allontanamento da casa o dall’abituale posto di lavoro, con incapacità di ricordare il proprio passato. La fuga di solito è breve ed è accompagnata da confusione circa l’identità personale oppure assunzione di una nuova identità.

Disturbo dissociativo dell’identità: presenza di due o più identità o stati di personalità distinti (con ciascuno modi di percepire, relazionarsi e pensare diversi). Almeno due di essi assumono il controllo della persona. Anche qui ci sono amnesie o distorsione della memoria. È raro, più frequente nelle femmine e in pazienti con anamnesi positiva a gravi traumi (abusi…). È importante distinguere questi sdoppiamenti di personalità con altre patologie come il disturbo istrionico di personalità o la schizofrenia, in cui lo si può solo credere di avere personalità diverse. Importante differenza è che nel disturbo dissociativo sono conservati comportamenti e eloquio organizzato.

Disturbo di depersonalizzazione: sentirsi distaccato o osservatore dei propri processi mentali o del proprio corpo. Essa si può avere in molte situazioni, come:
• Stati tossici (LSD…)
• Psicosi organiche, con dissociazione funzionale degli emisferi cerebrali
• Nelle depressioni (melanconia anestetica)
• Sintomi dell’epilessia
• Schizofrenia
È il fenomeno più tipico nel disturbo della coscienza dell’Io; la coscienza è conservata e valida ma non riconosce come proprie sue esperienze o il proprio corpo. Si ha l’impressione spiacevole di estraneità, irrealtà e stranezza. Tipiche espressioni sono: “Non sono più io, il mio corpo è cambiato, sono diverso; non ho più sentimenti; non sono io a muovermi ed agire; tutto è irreale”.

Disturbo dissociativo non altrimenti specificato: include diversi quadri, tra cui:
• Quadri clinici simili al disturbo dissociativo dell’identità, che non soddisfano pienamente i criteri di questo disturbo
• Derealizzazione, senza depersonalizzazione
• Stati di dissociazione che si manifestano in persone sottoposte a periodi di persuasiove coercitiva prolungata ed intensa (es. lavaggio del cervello). In essa è fondamentale la suggestionabilità del soggetto, che spesso qui è alta
• Disturbo dissociativo di trance, alterazioni singole o episodiche della coscienza, dell’identità o della memoria, abituali in certe aree e culture
• Stupor, perdita di coscienza o coma non attribuibile ad una condizione medica generale
Sindrome di Ganser, rara, di breve durata, caratterizzata da quattro sintomi: risposte “approssimate”, sintomi fisici psicogeni, allucinazioni, offuscamento della coscienza. In essa si ha stato di coscienza crepuscolare transitorio con disorientamento, distraibilità, allucinazioni combinate, cefalea, segni isterici (paralisi, anestesia, parestesia…), amnesia improvvisa, classiche risposte “di traverso” o “approssimate” in cui il paziente comprende la domanda ma “manca” la risposta giusta mediante un meccanismo piuttosto evidente. Ad esempio, “2 + 2? Cinque” oppure “quante zampe ha una gallina? Tre”, a cui si aggiungono spesso risposte “Non so, non ricordo”. Sono stati descritti in questa malattia: desiderio di fuga dalla malattia, il voler non sapere, il tentativo inconscio con amnesia o perdita di identità di ingannare se stessi per non sentirsi responsabili e superare l’ansia prodotta dalla situazione. Spesso questa sindrome ha aspetti psicotici.

Per formulare una di queste diagnosi bisogna ricordare che i sintomi non devono derivare da effetti di sostanze o da una condizione medica generale.
Indirizzi terapeutici: la terapia può essere molto difficile e impiegare anni; la prognosi pare poi dipendere da ciò che si ritiene essere la causa del disturbo: traumi e abusi producono conflitti minori, ma se ad essi si associano gravi carenze affettive la situazione peggiora.
Psicoterapia: ci sono due proposte, il modello psicodinamico e quello cognitivo. Il primo prevede l’integrazione attraverso stadi successivi, spesso con ospedalizzazione. Il secondo prevede collaborazione del pz e capacità esplorative per giungere ad un suo rafforzamento; le esperienze di vita di questi pz devono essere metabolizzate e poi riassorbite e riprocessate. Viene usata anche l’ipnosi.
Il ruolo dell’ospedalizzazione: è preferibile trattare questi pz al di fuori del ricovero, ma spesso per comportamenti come autolesionismo, ansia grave, depressione, fuga, violenza (involontaria), necessità di protezione, si rende necessario.
Trattamento farmacologico: il trattamento di elezione è la psicoterapia, ma farmaci possono essere utili per grave ansia o depressione.


DISTURBI DI CONVERSIONE
In questa grande famiglia, conosciuta anche come isteria, si trovano tre disturbi:
• Disturbo somatoforme
• Disturbo di conversione
• Disturbo dissociativo
L’isteria ha grandi variabilità, e in generale la “cognitività isterica” viene descritta come generica, globale, diffusa, fondata su caratteristiche “impressioni” prive di dettagli netti, carente di un focus attentivo; l’isterico risponde velocemente, è molto predisposto a ciò che è immediatamente impressionante, a ciò che fa colpo o è meramente ovvio. Lo stile cognitivo è senza dettagli concreti o definizioni minuziose, senza curiosità intellettuale; c’è distraibilità e tendenza a fermarsi all’ovvio (ingenuità dell’isterico). Il mondo cognitivo qui è colorito, eccitante ma senza fatti e sostanza. Altri aspetti tipici sono l’atteggiamento romantico, teatrale, con affettività non integrata e superficiale con aspetti simili a normali caratteri passivi e impulsivi. Pare vi sia inoltre un desiderio di trarre vantaggio dall’essere o parere malato con ricerca di “guadagno secondario”. I sintomi in generale comunque sono:
• Sintomi somatici: alterazioni funzionali prive di riscontri organici (afonia, turbe dell’andatura, lipotimie, vertigini, convulsioni, cecità, sordità, disfagia, disagi sessuali… insomma ad ogni organo). Essi costituiscono lo “scarico” nel corpo della tensione emotiva. È necessario distinguere questi sintomi da quelli con riscontro clinico o laboratoristico. Spesso c’è teatralità nelle manifestazioni cliniche
• Sintomi psichici: amnesia, stati crepuscolari, stati acinetici, stati deliranti allucinatori (deliri mistici, allucinazioni terrifiche o celestiali…), stati di depressione e euforia isterici, puerili o grotteschi.
È facile quindi confondere questi sintomi con altre psicosi. È caratteristica nell’isteria la grande varietà dell’espressività isterica, che può comprendere forme dimostrative o più intime e depressive. Queste caratteristiche dipendono anche dai singoli aspetti socio-culturali e soprattutto dal progresso tecnico-scientifico: non vi sono più i quadri clamorosi di una volta, ma quadri con lipotimie, dolori vari, afonie, eccitamento psicomotorio, aspetti vanitosi o ostentativi.
L’isteria può rappresentare oggi una struttura emotiva centrale nella vita non solo individuale ma anche di gruppo. Manifestazioni di “massa” possono essere l’enfatizzazione della libertà sessuale, l’apologia della droga come mezzo liberatorio, (tipiche negli adolescenti) e si possono vedere come manifestazioni isteriche moderne derivate da una subdola e persistente repressione emotiva e dalla necessità di nuove difese collettive contro l’angoscia come risposta alle eccessive e anticipate richieste di emancipazione personale da parte dell’odierna società industriale.
Elementi di terapia: innanzitutto è importante identificare tramite psicoterapia e chiarire i conflitti del paziente e i relativi sintomi, cercando poi di modificare i conflitti generatori della sintomatologia. Si può usare anche ipnosi. Si cerca di evitare di somministrare farmaci.

Disturbi del comportamento alimentare

Hanno avuto negli ultimi dieci anni un grande aumento di incidenza, soprattutto nei paesi industrializzati.

ANORESSIA NERVOSA
È caratterizzata dal rifiuto di mantenere il peso corporeo entro i limiti inferiori del normale, da un’intensa paura di aumentare di peso e da un’interpretazione errata del proprio corpo.
Eziologia: non è ancora del tutto nota, ma si sa che ha un’origine multifattoriale di interazione tra fattori individuali, familiari e culturali. Pare non ci sia una componente genetica. Ci possono essere fattori favorenti come bassa autostima, perfezionismo, controllo delle emozioni, fattori socioculturali. La conseguente preoccupazione per il peso impone la paziente a rigidissime diete, che da un lato danno sensazione di successo ma soprattutto presentano rinforzi negativi come l’evitamento del peso naturale e della maturità psicobiologica. Tali fattori fanno cronicizzare il disturbo portando a profonde modifiche fisiche e della personalità.
Fattori psicologici: giocano un ruolo fondamentale. Spesso si tratta di ragazze che oltre alle classiche problematiche dell’adolescenza presentano bassa autostima, problemi di adattamento, conflittualità personali e relazioni familiari disturbate.
Pare ci sia una difficoltà di riconoscere propri gli stimoli del corpo, non riuscendo a riconoscere i messaggi enterocettivi del nutrirsi, o della fatica, della stanchezza e anche quelli sessuali. Le pazienti devono avere il controllo su tutte le proprie funzioni istintive, in primis la fame. Tramite questi tentativi di controllo le pazienti cercano di raggiungere l’autonomia e l’efficienza, ovvero la propria identità.
Sembra inoltre che le anoressiche godano nel controllo di se stesse e degli altri, con la ricerca del “piacere dell’insoddisfazione” e “dell’orgasmo da digiuno”.
La malattia ha una forte connotazione autodistruttiva ma non per raggiungere la morte, bensì l’emaciazione. Spesso la famiglia di queste pazienti ha intensi conflitti nevrotici, con scissioni; spesso la madre è dominante, oppressiva, invadente, ipercritica verso la figlia limitando la sua maturazione personale.
Criteri diagnostici:
• Rifiuto di mantenere il peso normale, con perdita di peso sino addirittura all’85% rispetto a quanto previsto rispetto all’età e alla statura
• Intensa paura di ingrassare anche se sottopeso
• Alterazioni di come il soggetto vive il peso e la forma del corpo con rifiuto di ammettere il proprio grave sottopeso
• Amenorrea -assenza di almeno 3 cicli-.
Per specificarne il sottotipo:
Con restrizioni, ovvero la paziente non presenta abbuffate o condotte di eliminazione (vomito autoindotto, lassativi, diuretici...)
Con abbuffate/condotte di eliminazione
Clinica: nel 70% dei pazienti che sviluppano anoressia vi è una condizione di sovrappeso e non accettazione del proprio corpo. Ciò porta a dieta e o attività fisica, spesso periodiche. Questa fase precoce è l’ideale per l’intervento terapeutico, ovvero prima che si instaurino i meccanismi di rafforzamento del controllo del corpo attraverso il cibo.
Il comportamento anoressico diventa poi una modalità esistenziale, in cui tutto sembra ruotare intorno all’idea prevalente del controllo onnipotente del corpo attraverso diete e simili. Si possono avere amenorrea, irritabilità, alterazioni dell’umore, masochismo.
Un’ultima fase è quella in cui il corpo ha riduzioni di peso sino a livelli critici con associate psicosi, angoscia e idee deliranti.
Diagnosi medica: si fa il calcolo del BMI: se < 17 è necessaria l’ospedalizzazione. Non vi è più pannicolo adiposo sottocutaneo, i muscoli sono ipotonici e ipotrofici, le mammelle non sono ipotrofiche come nelle cachessie ipofisarie, non vi è irsutismo. Vi sono poi ipotermia, ipotensione con tachicardia compensatoria, stipsi, lesioni dentarie multiple, mani e piedi bluastri, unghie e capelli fragili, edemi malleolari o palpebrali (negli stadi più avanzati). Il vomito poi aggrava ulteriormente il quadro. Si possono avere complicazioni come anemia, alterazioni elettrolitiche, infezioni, diminuzione delle proteine, minore densità ossea... Trattamento: deve essere multidisciplinare per via dei disturbi psichici e di quelli di tipo internistico.
Si inizia dall’ospedalizzazione se il BMI è < 17 e si ha una compromissione severa, altrimenti da un trattamento ambulatoriale o in day hospital. Si deve innanzitutto stabilizzare le condizioni della paziente e gestire le complicanze acute; poi si inizia un percorso di cura finalizzato all’interruzione dei fattori di sviluppo e di mantenimento del disturbo. In genere si utilizza alimentazione con SNG o nutrizione parenterale, psicofarmaci e supporto psicologico. Si deve motivare il paziente e farlo collaborare, in ospedale o strutture dedicate, cercando di instaurare un programma di riabilitazione nutrizionale e modalità di assunzione del cibo. Terapia farmacologica: nessun farmaco è particolarmente efficace, ma comunque si usano SSRI con discreti risultati. Questo trattamento si intraprende dopo aver risolto le complicanze mediche.
Psicoterapia: il primo obbiettivo è motivare la paziente al trattamento, che spesso o si rifiuta o aderisce con atteggiamenti di manipolazione e di controllo.
Terapia familiare: i familiari e soprattutto i genitori sono implicati in questa malattia. Vedendo che la figlia non mangia possono essere fortemente partecipi al controllo dell’alimentazione. Spesso nella famiglia vi è un conflitto, che emerge proprio con la malattia. I genitori spesso risentono dell’atteggiamento manipolatorio, ricattatorio e minaccioso della figlia (tyrannisme alimentaire). Attualmente viene favorita la presa in carico dei familiari come terapia di coppia o individuale. In alcuni centri si effettuano invece tecniche di gruppo psicoeducazionali.

BULIMIA NERVOSA
Consiste in ricorrenti abbuffate di cibo associate a modalità inappropriate (vomito) per impedire l’aumento di peso.
Eziopatogenesi: è riconducibile a fattori biologici, sociali, psicologici. La ricerca della forma più che la magrezza, la disponibilità di cibo, sollecitazioni ambientali possono essere fattori sociali implicati.
Fattori psicologicii: anche qui le pazienti hanno difficoltà rispetto le esigenze adolescenziali, vivono le frustrazioni come minacce importanti alla loro autostima; a ciò si associa il disagio verso il proprio aspetto fisico. Si ha disprezzo per se stessi, con sensazioni di inferiorità. C’è competitività e conflitto con la madre. Si hanno problemi di separazione, soprattutto dalla figura materna. Il disturbo a lungo viene nascosto ai familiari, i quali spesso sono visti come un ambiente ostile per le pazienti.
Criteri diagnostici
• Ricorrenti abbuffate, con introito maggiore alla norma proporzionato al tempo trascorso e con sensazione di perdita di controllo su cosa e quanto si mangia
• Condotte compensatorie per evitare l’aumento di peso, come il vomito o i lassativi
• Gli episodi abbuffate-compensazione si verificano almeno due volte a settimana per almeno tre mesi
• Autostima condizionata da forma e peso corporeo.
Per il sottotipo:
Con condotte di eliminazione
Senza condotte di eliminazione, la paziente usa altri metodi compensatori inappropriati come eccessiva attività fisica o digiuno (non si dedica al vomito).
Clinica: l’abbuffata lascia senso di colpa e vergogna nelle pazienti, spesso normo o sovrappeso con egodistonia per il loro disturbo. I cibi utilizzati sono spesso molto grassi e ipercalorici. L’ingestione è vorace e caotica, generalmente in solitudine. Gli episodi avvengono da poche volte a settimana a più volte al giorno.
Gli episodi sono caratterizzati da eccitamento che porta alla ricerca di cibo con perdita di controllo. Poi si ha un momentaneo sollievo seguito da depressione, fallimento, rabbia, preoccupazione per l’aumento di peso. Si ha quindi l’episodio compensatorio.
Nell’adolescenza fattori scatenanti possono essere fallimenti scolastici, sentimentali, commenti sull’aspetto fisico, o comunque lutti, perdite in generale. Sono ansiose, evitano il mangiare in pubblico, hanno scoppi di rabbia, autodistruzione. Con l’avanzare della patologia si ha poi ritiro sociale, depressione e obesità nel caso non ci sia eliminazione. Il vomito ripetuto può portare a lacerazioni esofagee o gastriche, esofagiti, alterazione dello smalto dei denti. Spesso c’è amenorrea.
Rispetto all’anoressia ha prognosi migliore, e non si conoscono bene gli effetti a lungo termine. In alcuni casi può avere invece remissione spontanea in uno o due anni.
Trattamento: farmaci, psicoterapia, terapia di gruppo e riabilitazione nutrizionale. Bisogna tenere conto anche di disturbi concomitanti spesso come ansia, depressione, disturbi di personalità. Il ricovero è richiesto quando esistano diverse complicanze. Essendo spesso collaboranti, si può fare anche trattamento ambulatoriale.
Farmaci: SSRI, ansiolitici e stabilizzatori dell’umore per gli impulsi, Sibutramina (farmaco contro l’obesità).
Psicoterapia: può essere mirata a risolvere il problema in sé o a modificare la struttura psichica con interventi psicoterapeutici diversi.

BINGE EATING DISORDER
Anche questo è caratterizzato da abbuffate, con perdita di controllo, nell’atto, ma senza manovre di eliminazione.
Eziopatogenesi: è frequentemente associato all’obesità. Le continue restrizioni dietetiche, drastiche, ripetute e protratte possono essere una causa.
Criteri diagnostici
• Ricorrenti abbuffate, con introito maggiore alla norma proporzionato al tempo trascorso e con sensazione di perdita di controllo su cosa e quanto si mangia (come prima)
• Associazione di tre o più dei seguenti sintomi: mangiare molto più rapidamente del normale, mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni, senza avere fame, da soli per l’imbarazzo di quanto si sta mangiando, sentirsi disgustati di se stessi dopo le abbuffate
• Grande disagio per la propria alimentazione incontrollata
• Almeno due episodi a settimana per 6 mesi
• Non ci sono condotte di compensazione (a differenza di prima)
Clinica: seria preoccupazione per l’aumento ponderale, ma con volontà a guarire. Le abbuffate spesso sono tra i pasti normali. Si può mangiare anche per due ore sinchè non si è proprio pieni, senza poi manovre compensatorie, con quindi notevole apporto calorico e aumento di peso (anche 20-30 kg in 6 mesi).
Spesso associata a depressione, le pazienti sono piene di vergogna, si sentono goffe e brutte. Spesso hanno un ambiente con scarse emozioni, con una depressione di fondo e tendenza a rimuginare sul proprio avvilimento che può alleviare solo il cibo. Il cibo funziona quasi da ansiolitico, in caso di angoscia o bisogno. Si possono avere poi insonnia e rallentamento psicomotorio.
Terapia: anche qui è necessaria un equipe. Ha ottimi risultati e prognosi migliore che nella bulimia nervosa. Si possono somministrare ansiolitici o antidepressivi e trattare poi anche l’obesità.

NIGHT EATING DISORDER
È un disturbo caratterizzato da abbuffate notturne o dal mangiare per alcune ore di notte, di solito senza manovre di eliminazione, per cui i pazienti sono spesso obesi. La compensazione è più che altro mangiare poco di giorno. Spesso sono depressi o con disturbi della personalità, con eventi traumatici o perdite alle spalle. Antidepressivi e psicoterapia danno una buona risposta.

OBESITA'
Eziopatogenesi: deriva da fattori fisiologici, metabolici, genetici, sociali e comportamentali. Tra i primi ci può essere un’alterazione del meccanismo fame-sazietà. I fattori genetici sono fondamentali; sono stati recentemente identificati alcuni geni responsabili. L’obesità spesso si raggiunge una volta adulti, per ipertrofia degli adipociti.
Classificazione: si usano il BMI e la circonferenza della vita. Un BMI > 30 è indice di obesità, tra 25 e 29,9 di sovrappeso. Una circonferenza vita > di 102 cm negli uomini e 88 cm nelle donne si associa ad un rischio per la salute. Il sovrappeso si associa a maggiore incidenza di diabete, dislipidemie, IPT, malattie cardiovascolari, vita più breve.
Fattori psicologici: l’obesità può accompagnare qualsiasi disturbo; può esserne conseguenza o derivare anche da essa. Esistono diversi tipi di iperfagia: da ansia, da frustrazione per avere gratificazione, da disturbo psichico di base, da compulsione. L’obesità può essere reattiva (dopo un trauma) o di sviluppo, che accompagna lo sviluppo del paziente insieme ad altre distorsioni della personalità; questa inizia nell’infanzia dove il nutrimento veicola problemi emozionali tra la madre e il bambino. Il cibo può essere anche un correlato affettivo che diventa risposta ai bisogni materni.
Trattamento: simpaticomimetici, simili alle anfetamine, Sibutramina, SSRI; terapie chirurgiche; per la psicoterapia non esiste invece un’indicazione elettiva, la scoperta delle cause inconsce dell’assunzione eccessiva di cibo spesso non risolve il problema. La modificazione del comportamento è la forma più efficace di psicoterapia.

Disturbi d'ansia

È un disturbo frequentemente riscontrabile in diverse situazioni. L'incidenza è piuttosto elevata.

DISTURBO DI PANICO
Viene descritto come un episodio in cui si ha una sensazione di catastrofe imminente con paura di impazzire o di morire, a cui sono associati alcuni sintomi somatici come dispnea, palpitazioni, fastidio al petto, sensazione di soffocamento. Ogni attacco dura in media 20-30 minuti e costringe la persona a cercare aiuto.
L’agorafobia si ha quando si ha ansia degli spazi aperti. Essa porta a comportamenti di evitamento (si tiene lontano da determinati luoghi) o anche a ansia anticipatoria, ovvero paura di determinate situazioni che potrebbero creare un attacco, che porta anche ad avere bisogno di un accompagnatore non riuscendo ad uscire da soli e quindi compromettendo seriamente la vita scolastica o lavorativa.
Può insorgere in seguito a stimoli specifici o inaspettatamente; viene posta diagnosi se, per almeno un mese, il paziente dopo un improvviso attacco modifica i propri comportamenti in relazione a quest’ultimo perchè teme ulteriori attacchi.
L’esordio è intorno ai 25 anni e colpisce 3 volte di più le donne. È spesso associato a depressione maggiore, disturbi di personalità o da sostanze.
Biologicamente sono imputati soprattutto serotonina (nucleo del rafe mediano) e noradrenalina (locus coeruleus). Si possono poi riscontrare atrofie della corteccia temporale destra e vasocostrizione cerebrale.
Spesso questi pz hanno, in passato, sofferto di ansia da separazione o morte di un genitore durante l’infanzia. Nel bambino dai 6 mesi ai 3 anni si struttura la fase della crescita definita di separazione-individuazione che permette gradualmente al bambino di tollerare l’assenza della madre e di percepirsi come individuo distinto da lei: nel caso questa fase non venga vissuta adeguatamente si può arrivare al quadro descritto, riattivato soprattutto da ulteriori separazioni (come il divorzio). In questo caso l’ansia non sarebbe più conseguenza di un conflitto ma di una perdita.
L’ansia si può anche apprendere da genitori che manifestino ansia eccessiva.
Se l’attacco di panico è dato da una causa specifica si parla di fobia sociale o specifica.
Il primo approccio col pz consiste nel rassicurarlo, il suo disturbo è ben conosciuto e curabile. È consigliato sospendere caffé e alcool dalla dieta. Per evitare la sensazione di mancanza d’aria durante l’iperventilazione si può cercare di trattenere il respiro alcuni secondi o respirare dentro e fuori un sacchetto di carta. I farmaci usati sono benzodiazepine e antridepressivi SSRI. Bisogna porre molta attenzione alle dipendenze. Si possono usare anche triciclici (nel trattamento a lungo termine) ma possono portare a sedazione, stipsi, aumento ponderale. Ultimamente si utilizzano anche antidepressivi come i NARI (inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina), i SNRI (anche della serotonina)...
Il trattamento non dovrebbe superare l’anno, ma presenta alte recidive.
I farmaci da soli quasi mai risolvono bene il problema, si associano quindi spesso anche psicoterapia (che richiede collaborazione del pz) e tecniche di rilassamento.

FOBIA SPECIFICA
È rappresentata dalla paura intensa di un oggetto o di una situazione non realmente pericolosi. Anche qui si può sviluppare ansia anticipatoria e si può sviluppare un attacco di panico. Le più comuni sono per il sangue, le altezze, i luoghi chiusi... Sono i disturbi psichici più comuni, e i pz sono consapevoli della irragionevolezza del loro problema. Per fare diagnosi devono durare per più di 6 mesi. Colpiscono di più i maschi. Ci può essere un coinvolgimento del sistema autonomo con episodi sincopali (vede il sangue, sviene). La fobia può derivare anche da condizionamento operativo (il genitore che allerta il bimbo sui fulmini).
Tutto ciò porta all’evitamento della causa dell’ansia. Certe manovre possono diventare abituali e quindi tratti di carattere (carattere fobico). Nei bambini 2-5 anni sono quasi normali.
Se dopo l’infanzia la grande maggioranza delle fobie scompare, quelle che rimangono nell’adulto condizionano la sua esistenza a volte anche significativamente imponendogli limitazioni lavorative o affettive.
La cura è essenzialmente psicoterapica. Possono essere di aiuto marginale β-bloccanti o antidepressivi. Un metodo (tecnica di Wolpe) instaura un’esposizione del paziente graduale a situazioni ansiogene collegate alla propria fobia per cercare di trattarla.

FOBIA SOCIALE
Consiste nel timore di manifestare ansia, fino all’attacco di panico vero e proprio, quando ci si trova insieme a persone non familiari in situazioni potenzialmente imbarazzanti o anche solo nel semplice stare con altri. La paura è suscitare nelle persone presenti giudizi negativi verso di sé in seguito a comportamenti dovuti all’ansia. Da qui ne derivano ansia anticipatoria, evitamento, disagio in situazioni sociali. Un esempio è anche il timore di arrossire o provare grandi stati di tensione.
Tra i vari quadri vi è qui la “paura da palcoscenico”, la paura di parlare con persone importanti, sostenere esami, partecipare a feste... È più frequente nelle donne e si manifesta verso i 10-20 anni di età.
Eziologicamente pare derivi da un’inibizione comportamentale infantile che porterebbe ad una marcata timidezza in figli soprattutto di genitori iperprotettivi.
La terapia è simile a quella delle fobie in generale.

DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
È caratterizzato da pensieri, immagini o impulsi coatti (ossessioni) o da comportamenti o azioni mentali anch’essi incoercibili (compulsioni). Essi spesso vengono percepiti come intrusivi e inappropriati; portano a eccessive preoccupazioni e a notevole ansia e disagio. Le compulsioni sono comportamenti ripetitivi o azioni mentali derivanti da ossessioni che obbediscono a regole rigide, con lo scopo di diminuire l’ansia e prevenire situazioni temute. Se non vengono effettuate, l’ansia si aggrava. Spesso vengono riconosciute dal pz. Ossessioni e compulsioni spesso interferiscono con la vita normale.
I meccanismi sono simili a quelli delle fobie, qui una situazione anche neutra può generare invece che evitamento fobico vere e proprie ossessioni.
L’esordio del DOC è spesso improvviso, magari dopo un evento stressante.
Il trattamento è spesso molto complicato, soprattutto perchè i pz non collaborano ai programmi proposti. Anche qui i risultati migliori si hanno da combinazione di psicoterapia e di farmaci, come antidepressivi serotoninergici. Spesso però la sospensione del trattamento porta ad una ricaduta.

DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS E DISTURBO ACUTO DA STRESS
Costituiscono un insieme di sintomi che si sviluppano dopo che il soggetto ha avuto un grande trauma. Il pz reagisce con grande paura, senso di impotenza, tenta di non ricordarsene (ma l’evento viene comunque rivissuto a più riprese in sogni, ricordi) evitando fattori che in qualche modo possano ricondurre al trauma. Può essere acuto o cronico.
La differenza tra DPTS e DAS è la temporalità: il DAS si manifesta entro 4 settimane dal trauma, con insieme disturbi dissociativi come insensibilità, distacco, depersonalizzazione.
Terapia: psicoterapia e/o farmaci, come antidepressivi triciclici, antidepressivi serotoninergici, β-bloccanti.

DISTURBO D'ANSIA GENERALIZZATO
Qui si evidenziano ansia e preoccupazione eccessive in diverse situazioni o attività per più di 6 mesi. Spesso è associato ad altri disturbi come fobie o depressione. Le donne sono colpite con frequenza doppia.
Spesso vi è un trauma all’origine. Ha un andamento generalmente cronico, e può evolvere in DP o depressione.
Terapia: soprattutto ansiolitici benzodiazepinici, a rapida azione per i momenti di maggiore ansia o a emivita intermedia da assumere regolarmente ma per un periodo limitato. Visti i rischi di dipendenza e tolleranza, si può utilizzare il buspirone, ma impiega 2-3 settimane ad agire e funziona meno, ma non ha rischi di dipendenza o di effetti psicomotori. Si possono usare anche antidepressivi SSRI.
La psicoterapia può dare buoni risultati con o senza farmaci, andando a cercare la causa dell’ansia. Buoni risultati anche da tecniche di rilassamento.

DISTURBO D'ANSIA DOVUTO A CONDIZIONE MEDICA GENERALE
È un quadro in cui l’ansia è conseguenza di una patologia primitivamente non classificabile tra i disturbi psichici. Le cause possono essere disturbi neurologici (epilessia, emicrania, neoplasie...), disturbi cardiovascolari (aritmie, scompenso), respiratori (polmoniti...), metabolici (carenza di B12...) e altri. Questi sintomi come negli altri casi compromettono la vita del pz.
Il trattamento consiste essenzialmente nella rimozione della condizione medica generale, ma anche un intervento precoce può non rimuovere l’ansia. Si somministrano anche farmaci o si effettua psicoterapia come nei casi precedenti.

DISTURBO D'ANSIA INDOTTO DA SOSTANZE
È analogo al precedente ma l’ansia qui è conseguenza di una droga, un farmaco o una tossina di cui si abusa. I sintomi si verificano in seguito a intossicazione o astinenza. Oltre ai disturbi d’ansia ci possono essere anche alterazioni cognitive reversibili.
Le sostanze più frequenti qui sono quelle simpaticomimetiche (caffeina, cocaina, anfetaminici) che possono indurre questo quadro anche per uso sporadico.
In genere è reversibile con la sospensione della sostanza in causa.

Disturbi somatoformi

Sono caratterizzati da sintomi fisici senza base organica dimostrabile o da sintomi sproporzionati rispetto ad un processo fisiopatologico. Sono sintomi involontari e non prodotti intenzionalmente.
Essi portano il paziente a numerosi controlli i quali, risultando negativi, lo portano a effettuare ulteriori esami.
Si possono distinguere:
- vantaggio primario, ovvero l’usare un sintomo (somatico) come mezzo per allontanare dalla coscienza il contenuto di conflitti intrapsichici
- vantaggio secondario, ovvero grazie al sintomo si può avere protezione o esenzione da obblighi, situazioni stressanti ecc..
I pz con disturbo somatoforme esprimono tramite somatizzazione un disagio psicosociale del quale non hanno alcuna consapevolezza. Mancando essa e la possibilità quindi di elaborarlo mentalmente non si può risalire alla causa e all’insorgenza, portando il pz a numerosi controlli e ad insoddisfazione ogni volta che risultino negativi.
Pare ci sia una suscettibilità genetica associata al disturbo.

DISTURBO DI SOMATIZZAZIONE
È il quadro clinico più riscontrabile tra questi disturbi. Consiste in insistenti lamentele relative a sintomi fisici che continuano per anni (4 sintomi gastrointestinali, 2 disturbi algici, 1 disturbo neurologico, 1 disturbo della sfera sessuale) ai quali possono essere associati ansia, disturbo di panico, abuso di farmaci...
Sorge prima dei 25 anni e ha decorso cronico con brevi remissioni e difficoltà della vita di relazione e sociale. A parte ansia e depressione, farmacologicamente non si riesce a trovare una cura. Anche il trattamento psicoterapico è estremamente complesso.

DISTURBO ALGICO
Consiste in sindromi dolorose di natura psicogena di intensità e gravità tali da richiedere l’intervento medico. Può essere acuto o cronico e anch’esso può essere associato ad ansia, depressione, abuso di farmaci. Il quadro più classico è la sensazione di bruciore e dolore alla mucosa buccale (burning mounth syndrome), che risulta indenne, spesso in donne in postmenopausa. Amisulpride e antidepressivi possono dare discreti risultati.

DISTURBO DI CONVERSIONE
Conversione si riferisce alla funzione psichica che trasforma un conflitto intrapsichico in un sintomo somatico funzionale. Qui si hanno sintomi pseudo-neurologici come paralisi, afonie, difficoltà a deglutire... (motori), oppure cecità, visione “a cannocchiale”, allucinazioni... (sensitivi). Si verificano in adolescenti o comunque in giovani e possono essere trattati con rilassamento e ipnosi. Un intervento tempestivo aiuta a non cronicizzare i sintomi.

DISTURBO DISMORFOFOBICO
È caratterizzato da incessanti preoccupazioni sul proprio aspetto fisico, focalizzate su vere o presunte anomalie, che portano in ogni caso a sproporzionate lamentele (forma del naso, del volto...) e a rimuginazione, depressione, con non rari episodi di autolesionismo.
Il paziente per lo più riconosce la sua esagerazione ma esistono casi in cui si può arrivare anche ad un convincimento quasi delirante. Possono ricorrere anche alla chirurgia plastica per correggere il presunto difetto ma risolve poco, perchè la vera entità del disturbo non è l’imperfezione ma bensì una componente psichica (insicurezza, instabilità...). Si può fare terapia comportamentale, psicoterapia...

IPOCONDRIA
Preoccupazione di essere afflitti da una grave malattia. Gli esami negativi tranquillizzano transitoriamente. Si hanno percezioni abnormi dei sintomi. Il disturbo confina da un lato con la fobia e dall’altro con il delirio. Per lo più cronicizza. Si possono utilizzare amisulpride, antidepressivi, con visite regolari.

Disturbi di personalità

La personalità è l’insieme delle caratteristiche psicologiche profonde, stabili, spesso inconsapevoli, difficili da cambiare, che si esprimono in ogni aspetto della vita psichica e del comportamento. Ad essa partecipano:
• Il temperamento, ovvero la disposizione affettiva di ognuno, disposizione di fondo che precede l’esperienza e che predispone ad essa. È apprezzabile in forma pura solo nella primissima infanzia.
• Il carattere, che fa riferimento a quanto appreso nella vita esperienziale a cominciare da quando vengono interiorizzate le regole relazionali e sociali. Le esperienze precoci modellano in modo definitivo il carattere, con poi possibili ma limitate modificazioni.
Esistono diversi temperamenti principali:
Depressivo o distimico, con tristezza, isolamento, insoddisfazione...
Ipertimico, con intraprendenza, estroversione...
Ciclotimico, con frequenti oscillazioni dell’umore e conseguente instabilità
Irritabile o disforico, in cui si hanno irritabilità, rabbia di fronte alle difficoltà normali.
Essendo la personalità considerata sviluppata al 18° anno di età, si parla di suoi disturbi solo dopo tale momento.
Quando una personalità (tratti emozionali e comportamentali) si discosta dalla sua normale prevedibilità individuale (dalla norma) si può parlare di un suo disturbo.
Il confine tra personalità e sintomi però non è sempre distinguibile. Spesso il paziente si rivolge allo psichiatra infatti non tanto per i sintomi specifici ma più per un senso diffuso di malessere o disagio psichico.
Il disturbo di personalità si manifesta in genere tra i 15 e i 20 anni, è stabile e dà compromissione funzionale. La deviazione deve essere marcata ed avere almeno due alterazioni tra capacità cognitive, affetti, impulsi, incapacità di relazione per porre diagnosi.
Il disturbo di personalità può essere anche premorboso, ovvero precedere e predisporre verso altre malattie croniche come forme di schizofrenia o di depressione.

Il DSM-IV-TR riunisce questi disturbi in 3 categorie:

Gruppo A, con stravaganza, incongruenza emotiva... vi appartengono il disturbo paranoide, schizoide e schizotipico di personalità
Gruppo B, con alterazioni affettive e instabilità di umore e impulsi. Comprende il disturbo antisociale, borderline, istrionico e narcisistico di personalità
Gruppo C, con ansia, insicurezza, repressione. Comprende il disturbo evitante, dipendente, ossessivo-compulsivo di personalità e il disturbo non altr. specificato.

DISTURBO PARANOIDE
Questi pazienti hanno sfiducia e sospettosità verso le persone, le cui azioni vengono sempre interpretate male. Dubitano sempre, sono gelosi, cercano di rifiutare i propri bisogni tentando di mostrarsi anaffettivi, sono sprezzanti dell’imperfezione altrui.
Vivono secondo loro in una realtà ostile dalla quale cerca di difendersi continuamente. Il paziente è estremamente sensibile alle critiche e reagisce in maniera sproporzionata. Il loro sospetto li isola creando un circolo vizioso che conferma i loro sospetti iniziali. Non sono comunque presenti deliri (si tratterebbe di disturbo delirante) ma possono poi verificarsi. Difficilmente il paziente richiede aiuto psichiatrico e se accade si impegna quasi solo a dimostrare le sue teorie persecutorie. Spesso l’approccio è difficile e necessita della costruzione di un grande rapporto con egli. Si deve fare rendere conto che la causa del malessere non è esterna ma bensì interna (da posizione schizoparanoide a depressiva).

DISTURBO SCHIZOIDE
Si ha isolamento sociale che dura tutta la vita, disagio nelle relazioni con freddezza e disinteresse. I pz appaiono distaccati, riservati, incapaci di esprimere rabbia, con grandi interessi non umani (matematica, astronomia...), spesso seguaci di rigide diete o regole. Sono visti dagli altri come solitari ed eccentrici, con strettissima schiera di amici con in quali però non ha comunque troppo coinvolgimento. Sin dall’adolescenza il soggetto compie scelte scolastiche o professionali con basso coinvolgimento personale, raggiungendo comunque spesso ottimi risultati.
Il trattamento è quasi esclusivamente psicodinamico, con inizio individuale e poi buoni risultati anche in terapia di gruppo.

DISTURBO SCHIZOTIPICO
Sono soggetti strani, eccentrici, con illusioni, idee particolari, derealizzazione. Questi pz spesso hanno linguaggio particolare, con grande capacità di percepire i sentimenti negativi degli altri; possono essere interessati a occultismo o superstizioni varie. I loro racconti spesso sono di tipo magico o con grandi interpretazioni, e possono essere convinti di avere particolari capacità intuitive o veggenti. Il colloquio può risultare complesso per il linguaggio particolare del pz, con molte paure e reazioni infantili, il tutto fuori dalla realtà.
Ciò lo porta a notevole disagio relazionale, con quasi assenza di contatti professionali o sociali. Spesso meditano il suicidio; viene considerato il disturbo premorboso della schizofrenia, ma permette comunque in diversi casi lavoro e famiglia.
È raro che un pz giunga dallo psichiatra se non mandato dai familiari preoccupati.
Questa condizione pare derivi da un’inadeguatezza di cure materne precoci o da una grande deprivazione o frustrazione affettiva, portando ad estinzione del comportamento di attaccamento.

DISTURBO ANTISOCIALE
Si ha tendenza alla trasgressione delle regole sociali e convenzionali, alla menzogna, alla mancanza di coscienza morale, alla manipolazione, sfruttamento, scarso controllo degli impulsi, violenza, criminalità... Questi pz a differenza degli altri non hanno senso di colpa e l’ansia nel compiere qualsiasi illegalità. Spesso è associata a tossicodipendenza. Intolleranti a regole, con sessualità promiscua, incapaci di empatia, desiderosi di sfruttare gli altri. I sintomi hanno il picco nell’adolescenza e poi si riducono.
Spesso si associa a disturbi di somatizzazione, ha una familiarità. Possono sembrare pz normali o quasi seduttivi, ma dall’anamnesi si riscontrano molti episodi come fughe da casa, reati, menzogne... L’unica sofferenza che provano non avendo sensi di colpa è per la detenzione o il mancato inserimento sociale. Quasi mai spontaneamente dallo specialista, è spesso un pz di difficile gestione soprattutto in un reparto, minando anche alla salute e alla terapia degli altri pz.
La terapia è quasi esclusivamente psicoterapeutica.

DISTURBO BORDERLINE
Così chiamato perchè è al confine tra nevrosi e psicosi, con grande instabilità di umore, affetti e relazioni che oscillano bruscamente tra idealizzazione e svalutazione.
Spesso si hanno sentimenti depressivi, di vuoto e noia che possono portare alla promiscuità per l’intolleranza alla solitudine e per il continuo timore di essere abbandonati, e anche a gesti autolesivi per cercare aiuto negli altri, soprattutto in momenti di rabbia o delusioni anche fugaci.
Le relazioni sono tumultuose essendo presenti sia grande dipendenza sia ostilità e rabbia quando la prima viene disattesa. Il bisogno degli altri è tale che la solitudine porta all’annientamento; ogni abbandono reale o immaginario è una catastrofe. Spesso in questi casi vengono utilizzati gesti autolesivi per trattenere a sé le persone. L’impulsività che li caratterizza li porta a contrapporre ai sentimenti di noia e vuoto emozioni forti come condotte pericolose (guida...), abuso di sostanze, promiscuità sessuale, ferite autoinferte; eventi molto spesso conseguenti a liti o separazioni. L’autolesione serve a scaricare la rabbia e ad attutire l’intensità di sentimenti intollerabili, cercando di recuperare attraverso il dolore coesione e identità.
La loro esistenza ha molte oscillazioni emotive e instabilità affettive, con possibile depressione grave. Non sono infrequenti tentativi di suicidio. I pazienti non riescono a separarsi completamente dalla figura materna temendo che ciò porti all’annientamento, ciò per mancato superamento della fase di “separazione-individuazione”. La proiezione all’esterno degli impulsi distruttivi porta il pz a provare grandi sentimenti di persecuzione, mentre la reintroiezione degli stessi dà loro senso di noia e vuoto, inducendoli a volte all’autolesionismo.
Sembra che questo disturbo derivi da trascuratezze o distacchi genitoriali, o da conflittualità nei confronti della crescita del figlio o al contrario scarso coinvolgimento durante lo sviluppo emozionale.
La terapia è psicoterapica, con associazione di SSRI.

DISTURBO ISTRIONICO
Questi pz hanno particolare bisogno di essere appariscenti, al centro dell’attenzione, attraverso esagerazioni, seduttività, drammatizzazione; hanno instabilità emotiva e incapacità a mantenere rapporti duraturi. Sotto stress possono alterare il giudizio di realtà. La vita è come se fosse un palcoscenico. Essi hanno un forte bisogno di ammirazione e attenzione, per evitare l’ansia estrema dell’essere rifiutati. La continua ricerca di approvazione li rende spesso volubili nelle loro posizioni. I pz sono poco consapevoli e critici del loro stile relazionale.
È più frequente nella donna e mostra aumentato rischio per il disturbo di somatizzazione e per la dipendenza da alcool. Il pz non ha raggiunto propria maturità e autonomia per cui ha bisogno degli altri per la propria identità e autostima.
Il trattamento psicoterapico è efficace. Il pz spesso instaura una buona alleanza terapeutica.

DISTURBO NARCISISTICO
Caratterizzato da un senso di sé grandioso, eccessiva ricerca di ammirazione, invidia, arroganza e freddezza. Le loro relazioni sono superficiali e basate sulla ricerca di ammirazione e manipolazione, con idealizzazione della persona quando venga appagata la loro gratificazione e grande svalutazione quando questo non avvenga.
I pz sono poco empatici, non riconoscono qualità altrui, delle quali spesso sono invidiosi, non hanno gratitudine, vivono le critiche apparentemente con una freddezza che nasconde invece grande rabbia. Il vissuto di questi pz è difficile per via di un’autostima sempre minata da ogni occasione di confronto o scambio relazionale.
Il pz ha una fragile immagine di sé, con continua oscillazione degli affetti a seconda delle situazioni. Ha sessualità soprattutto masturbatoria o promiscua, con desiderio sempre di nuove conquiste.
È più frequente nei maschi e può portare a depressione, dipendenze... Spesso i pz chiedono aiuto per il loro disagio esistenziale con incapacità di provare emozioni spesso.

DISTURBO EVITANTE
È caratterizzato da sentimenti autosvalutativi e di inadeguatezza e da estrema sensibilità al rifiuto, che spinge il pz all’isolamento sociale pur desiderando comunque relazioni sociali, a evitare il confronto con gli altri e le situazioni in cui tema di essere sotto osservazione. Essi hanno bisogno di calore e sicurezza ma si isolano per la paura del rifiuto, si autoemarginano; sono diffidenti, non instaurano nuove relazioni se non con certezze di essere stimati. Da qui il pz compie scelte, anche lavorative, che comportino pochi rapporti interpersonali. I rapporti che vorrebbe avere sono evitati per la sua ansia anticipatoria del rifiuto e per la sua bassa autostima. Spesso sono presenti anche fobia sociale, depressione, disturbo di panico.
Può giovare qui una psicoterapia a medio-lungo termine in associazione a SSRI e benzodiazepine.

DISTURBO DIPENDENTE
Si ha la tendenza a mettersi in rapporto con gli altri con modalità di dipendenza e sottomissione, con eccessiva sofferenza per separazioni o perdite e tendenza a fare assumere agli altri le responsabilità della propria vita. Il comportamento è dubbioso, pessimista, con paura di esprimere sentimenti e impulsi sessuali o aggressivi, paura a prendere decisioni con eccessiva richiesta di consigli. Il pz è sempre alla ricerca di qualcuno a cui appoggiarsi totalmente. Devono sempre avere un ”surrogato genitoriale” che li aiuti nelle scelte; verso questa persona sono sottomessi, eccessivamente compiacenti, sino addirittura a subite umiliazioni anche sessuali pur di non perdere la persona. Questo è l’unico modo per questi pz per compensare la loro estrema mancanza di fiducia in se stessi e la penosa ed apprensiva attesa.
Questi pz richiedono spesso l’aiuto dello psichiatra, soprattutto dopo un abbandono.
La psicoterapia può essere di grande aiuto ma si presentano molte difficoltà quando essa giunge al termine per via della separazione del pz dallo psichiatra.

DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
È caratterizzato da esagerate emozioni, ricerca dell’ordine, perseveranza, ostinazione, indecisione. I pz sono eccessivamente preoccupati per le regole, la precisione, i dettagli, i raggiungimenti della perfezione. Sono inflessibili e intolleranti, perfettamente efficienti alle regole e con grande senso del dovere che impongono a loro stessi e agli altri, verso i quali sono spesso intolleranti. Risultano perennemente indecisi temendo di compiere errori, e spesso non riescono a formulare priorità; nonostante tutti loro sforzi raggiungono per questo spesso risultati mediocri. Cercano di controllare l’imprevedibilità degli eventi con superstizione e di controllare le emozioni. Poco empatici, evitano il “disturbo” degli affetti.
È presente spesso in seguito a rigida educazione e disciplina, con manifestazioni d’ansia e disturbi dell’umore.
La psicoterapia dà ottimi risultati così come benzodiazepine e SSRI.

giovedì 23 luglio 2009


Disturbi dell'umore

L’umore è ciò che fornisce coloritura affettiva a tutto ciò che viene vissuto, come continuum tra allegria e tristezza, gioia e dolore, piacere e dispiacere.

Classificazione
Si distinguono in episodi e in disturbi veri e propri.
Episodi:
• Episodio depressivo maggiore
• Episodio maniacale
• Episodio misto
• Episodio ipomaniacale
Disturbi:
• Disturbi depressivi (depressione unipolare), che comprendono disturbo depressivo maggiore, disturbo distimico (durata minima 2 anni con sintomi minori rispetto al disturbo maggiore), disturbo depressivo non altrimenti specificato. Si distinguono dai disturbi bipolari per l’assenza di episodi maniacali, misti o ipo-.
• Disturbi bipolari, che comprendono disturbo bipolare I, disturbo bipolare II, disturbo ciclotimico (anch’esso di durata minima di 2 anni)
• Altri disturbi dell’umore: disturbo dovuto a condizione medica generale, disturbo dovuto a uso di sostanze.

Epidemiologia
Sono la patologia psichiatrica più frequente, dal 9 al 20%. Nel 10-15% si verifica in essi la complicanza più grave, ovvero il suicidio (i tentativi sono 41 volte più frequenti che nelle altre patologie psichiatriche).

Eziologia
Fattori genetici: esiste una familiarità; tra i parenti di primo grado.

Interpretazione psicodinamica: i pz possono essere da soli la causa della loro depressione, per esempio allontanando gli altri o essendo la causa del trauma. Una particolare sensibilità può derivare anche da esperienze precoci di abuso, abbandono, trascuratezza, per cui il soggetto sviluppa bassa stima di sé e potrà caderci più facilmente.

Quadri clinici

EPISODIO DEPRESSIVO MAGGIORE
La diagnosi si fa con sintomi per almeno più di 2 settimane con almeno 5 sintomi tra:
umore depresso (obbligatorio), perdita degli interessi, perdita o aumento di peso, insonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, faticabilità, sensi di colpa, indecisione, ricorrenti pensieri di morte o suicidio. Non devono essere sintomi derivanti da uso di sostanze o da una malattia, sennò si parlerebbe di Episodio Misto.
L’insorgenza è più graduale che nel Disturbo Bipolare. La malattia può durare anni.

Manifestazioni cliniche: per quanto riguarda la sintomatologia emotivo-affettiva si hanno abbassamento dell’umore con perdita di interessi e piaceri e mancanza di sentimenti. Si ha maggiore tendenza al pianto, minore concentrazione e memoria, alterazioni psicomotorie (rallentamento o agitazione), insonnia o sonnolenza.
I sintomi cognitivo-percettivi sono ridotta ideazione e concentrazione, indecisione, deficit mnemonici. Questi spesso pongono il problema di diagnosi differenziale con la Demenza.
A volte ci possono essere manifestazioni psicotiche come allucinazioni o deliri, come deliri di colpa, di rovina, ipocondria, negazione corporea. Spesso sono difficili da individuare, possono essere scambiati come semplici dichiarazioni pessimistiche o comunque derivanti dalla depressione. Spesso i sintomi anche della depressione in generale devono essere intuiti dal solo comportamento del pz che non vuole riferire nulla.
Il non distinguere il Disturbo Depressivo per esempio dal pessimismo di un ricoverato può portare il pz sino al suicidio senza che il medico avesse sospettato il suo stato.
Sintomi psicomotori sono rallentamento del paziente, con trascuratezza e mancata igiene. Ciò deriva da rallentata ideazione, polarizzata su sensi di colpa e autoaccusa. Ciò si può anche notare dalla mimica del pz, sofferente e triste. Si può anche avere il contrario, cioè “depressione agitata”, con pz irrequieto, irritabile, spesso si tormenta le mani, piange in modo irrefrenabile e spesso può compiere gesti autolesivi o suicidiari.
Sintomi somato-vegetativi sono riduzione di appetito e del peso o meno frequentemente il contrario; astenia, insonnia, riduzione di desiderio e libido, stipsi (da ipotonia intestinale), disuria, cardiopalmo, oppressione toracica.

Non esistono marker biologici della depressione, mentre radiologicamente si può apprezzare un allargamento dei ventricoli laterali; nel disturbo bipolare vi è un allargamento del terzo ventricolo. In entrambi i casi vi è iperdensità della sostanza bianca sottocorticale.

Complicanze e manifestazioni associate: la più grave è sicuramente il suicidio (15%), con incidenza maggiore dopo i 55 anni di età e spesso in concomitanza di abusi da sostanze.
Il Disturbo Depressivo Maggiore può precedere l’esordio di una demenza o del Morbo di Parkinson, o può complicare altri disturbi psichiatrici.

Episodio depressivo maggiore con Manifestazioni Psicotiche: vi si associano cioè deliri e/o allucinazioni. I deliri possono essere congrui all’umore (colpa, rovina, negativi, di autoaccusa...) o incongrui, quindi non collegati alla depressione, chiamati quindi primari. Quest’ultima situazione dà una prognosi peggiore e può porre problemi diagnostici differenziali. La Depressione Psicotica ha più recidive e problematiche.

Episodio depressivo maggiore (EDM) cronico: si ha nel caso la malattia duri più di 2 anni, cosa che accade nel 20% dei casi. Si hanno soprattutto ansia, insicurezza, astenia, somatizzazioni, difficoltà di concentrazione, riduzione di interessi.

EDM con Manifestazioni Catatoniche: si hanno due dei seguenti sintomi: immobilità (catalessia, flessibilità cerea, stupor), eccessiva attività motoria, negativismo (resistenza a istruzioni, postura rigida e oppositoria), mutismo, posture bizzarre con manierismi e movimenti stereotipati, ecolalia o ecoprassia.

EDM con Manifestazioni Melanconiche: è una forma grave, con tristezza vitale, mancanza di reattività all’ambiente e alle relazioni, rallentamento o agitazione psicomotoria, sentimenti di colpa, variazioni circadiane, anedonia, rifiuto del cibo. Caratteristiche dei pz sono familiarità ai disturbi dell’umore, buona risposta alle terapie. Si hanno una qualità particolare di umore diverso (diverso dal lutto), con spesso peggioramenti al mattino, risvegli precoci, anoressia, grandi sensi di colpa. Qui rientra la Sindrome di Cotard., in cui si ha un delirio di negazione (il pz dice di non avere più organi, o di non esistere).

EDM con Esordio nel Postpartum: questo è il periodo più a rischio per la donna. Ci possono essere nei casi più gravi sensi di colpa e ideazione suicidiaria che può portare all’infanticidio.

Terapia: quella farmacologica deve essere instaurata il più presto possibile. Si deve proteggere il pz nel periodo di latenza, cioè prima che si abbia la risposta all’antidepressivo. Si usano SSRI (fluoxetina, fluvoxamina...), che sono inibitori del reuptake di serotonina, o inibitori del reuptake della noradrenalina (reboxetina), o di entrambi (venlafaxina...); questi ultimi sono anche più sicuri nel caso il pz abbia un’assunzione incongrua a scopo suicidiario. Di seconda scelta sono gli antidepressivi triciclici.
Le benzodiazepine, spesso associate come ansiolitici, devono essere sospese dopo una fase iniziale di trattamento.
La terapia elettroconvulsivante è indicata negli Episodi Depressivi Maggiori ad insorgenza rapida e di elevata gravità.
La somministrazione di SSRI può aumentare i livelli sierici di altri farmaci per inibizione di alcuni enzimi.
L’associazione di un antipsicotico con un antidepressivo porta miglioramento nel 70-80% dei pz.

Psicoterapia: efficace quanto i farmaci soprattutto nei casi meno gravi.

EPISODIO MANIACALE
Consiste in un periodo di umore anormalmente e persistentemente elevato, espansivo o irritabile per almeno una settimana e almeno tre sintomi tra: autostima e grandiosità, ridotto bisogno di sonno, maggiore loquacità, fuga delle idee, distraibilità, agitazione psicomotoria, eccessivo coinvolgimento in attività ludiche.
I sintomi sono graduali o immediati (soprattutto dopo amfetamine o cocaina); il pz ha grande iniziativa fisica e in molti altri campi (sessuale, lavorativo, economico…), correndo anche molti rischi per precipitosità e superficialità. Il pz sta bene, non ha coscienza critica di malattia, ha il tono dell’umore elevato.
Questi sintomi non tardano a diventare sempre più esagerati, sino al grottesco, e fastidiosi. Il pz non si controlla. Sorge poi irritabilità nel caso il pz venga contraddetto sino a divenire ostile.
La mimica è accesa, l’aspetto è provocante o deduttivo nella donna, ma comunque trascurato e con scarsa igiene. C’è un grande aumento di autostima (megalomania), si possono avere deliri vari (erotomania, credere di avere arti particolari o aver inventato la cura per l’AIDS per esempio), e possono a volte esserci allucinazioni.
Dal punto di vista neurovegetativo c’è meno sonno è maggiore appetito sessuale, con maggiori rischi di malattie o di divorzio per elevata promiscuità sessuale.
Il pz, convinto di sé, può andare incontro a molti comportamenti azzardati, anche economici mettendo in difficoltà i parenti.
L’Episodio Maniacale dura sino a 4 mesi, per poi tornare normale o andare incontro a Episodio Depressivo. Il quadro può evolvere sino allo stupor maniacale; a volte ciò può derivare da farmaci antidepressivi.

Terapia: antipsicotici tipici (aloperidolo, cloropromazina…). È raccomandato anche curare l’insonnia per evitare peggioramenti. Si possono usare anche il litio o le benzodiazepine. Il trattamento richiede quasi sempre il ricovero ospedaliero, anche per il sovente rifiuto delle terapie da parte del pz e per la difficoltà nel gestirlo.

Esordio e decorso: il primo episodio è molto spesso prima dei 25 anni. Dura sino a qualche mese. Può essere lieve, moderato o grave con o senza manifestazioni psicotiche. Si può avere poi remissione parziale o completa o cronicità. Può insorgere nel postpartum.

EPISODIO MISTO
Prevede che quasi ogni giorno in una settimana risultino soddisfatti i criteri sia di Episodio Maniacale che di Episodio Depressivo Maggiore, con alterazioni in grado di causare marcate compromissioni di lavoro, relazioni con o senza manifestazioni psicotiche.
Ci sono rapide e abnormi variazioni dell’umore con spesso agitazione o insonnia, e spesso può manifestare contemporaneamente iperattività e idee suicidiarie, o depressione con loquacità, irritabilità, accelerazione del pensiero.
L’esordio è spesso in relazione a malattie, parto, uso di sostanze o farmaci (es. steroidi) e tende a cronicizzare se non curato. Anche questo può essere lieve, moderato o grave.

EPISODIO IPOMANIACALE
Comprende un periodo di almeno 4 giorni di umore espanso, elevato, con gli stessi sintomi dell’Episodio Maniacale ma senza allucinazioni o deliri. È una situazione più contenuta rispetto al maniacale, e non ci sono qui eccessive compromissioni di lavoro o affetti.
Il pz si sente bene, è attivo, ha scarca coscienza critica di malattia e se il tutto è dovuto ad antidepressivi rifiuta di farseli togliere.
Possono comunque apparire facilmente irritabilità o permalosità eccessiva.
Può durare sino a qualche mese e sino al 15% dei casi porta a Episodio Maniacale vero e proprio.
Il pz in questo stato in seguito a terapia antidepressiva spesso non riesce più a riconoscere criticamente un livello di umore “normale”, che spesso viene giudicato dal pz come troppo vicino alla depressione. Per cui il pz rifiuta di sospendere il trattamento antidepressivo sentendosi “protetto” dai guadagni secondari dello stato maniacale che lo protegge dalla depressione.

DISTURBO DISTIMICO
Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, per almeno due anni e senza intervalli liberi per almeno due mesi con in più almeno due tra i sintomi: iporessia o iperfagia, insonnia o ipersonnia, astenia, bassa autostima, scarse concentrazioni e decisioni, disperazione. Durante i primi due anni non deve esserci stato un Episodio Depressivo Maggiore (DDM). Se dopo compare, si ha “Depressione Doppia” (75% dei casi).

Esordio e decorso: precoce e insidioso, con decorso cronico che spesso arriva a Disturbo Depressivo Maggiore, motivo poi della richiesta di aiuto. Diagnosi differenziale si fa proprio con esso. Il decorso prevede una Depressione cronica a sintomatologia attenuata, da distinguere da depressione dovuta ad alterazioni caratterologiche stabili o conflitti, presenti negli Episodi Depressivi maggiori. Spesso c’è una familiarità al disturbo.


DISTURBO DEPRESSIVO NON ALTRIMENTI SPECIFICATO
Tutti i casi che non soddisfano i requisiti precedenti. Comprende:
Disturbo disforico premestruale, con umore depresso, ansia marcata, labilità affettiva, rabbia, diminuiti interessi, insonnia o sonnolenza, cambiamenti dell’appeti-to con iperalimentazione, sintomi fisici (rigonfiamento mammelle, gonfiore…). Si manifesta nella settimana prima della mestruazione. Deve essere presente per la maggior parte dei cicli e ha risultati quasi paragonabili al DDM.
Disturbo depressivo minore, frequente, spesso in pz con altre patologie come diabete o cancro, è una semplice sensazione di lutto, ha meno di 5 sintomi del DDM ma almeno 2, senza grande compromissione sociale. Può degenerare in Episodi Depressivi Maggiori.
Disturbo depressivo breve ricorrente, qui i sintomi del DDM ci sono ma durano meno di due settimane. Possono avere un andamento stagionale.
Disturbo depressivo post-psicotico schizofrenico, è un Episodio Depressivo Maggiore (EDM) che si sovrappone ad una fase residua di schizofrenia, i pz che ne soffrono sono molto più a rischio di recidive.
Disturbo ansioso-depressivo misto, umore disforico per almeno un mese con alcuni sintomi del DDM, per cui pare sia un fattore di rischio così come per il Disturbo d’Ansia o il DP.
Disturbo depressivo di personalità, con convinzioni e comportamenti depressivi, insorge nella prima età adulta, causa spesso mancato funzionamento sociale o lavorativo. Esso può portare a esordio precoce del DDM.

DISTURBO BIPOLARE I

Quadro clinico: anche un solo episodio maniacale o misto è sufficiente per fare diagnosi, per cui il pz risulta essere poi più a rischio di Episodi Depressivi. Possono esserci manifestazioni catatoniche, e può esordire nel postpartum. Può avere decorso stagionale e recuperi interepisodici. Spesso si associano comportamenti violenti, alcolismo, suicidio, compromissione lavorativa.

Esordio e decorso: esordisce in media sui 15-40 anni, con 8-10 episodi nell’arco della vita. L’intervallo libero si allunga dopo 3-5 recidive. Pare che le frequenze delle ricorrenze aumentino con l’età. L’episodio maniacale può anche sorgere dopo un episodio depressivo. Il decorso è molto variabile. L’EDM nel Disturbo Bipolare è più grave, con maggiore rallentamento psicomotorio e aumentato rischio di suicidio.

Terapia: è complessa, non si deve esagerare con gli antidepressivi per il disturbo depressivo nel disturbo bipolare per non accentuare troppo gli episodi maniacali; si usano sali di litio per diverso tempo, anche anni. Se si sospendono e poi si riprendono non funzionano bene come prima. Per potenziare l’azione si può somministrare anche carbamazepina. Effetti collaterali sono nausea, polidpsia, poliuria, ipotiroidismo, tremore, aumento ponderale. Si teme che il litio sia però nefrotossico, essendo cmq neurotossico.
L’associazione di più farmaci può dare risultati migliori. La prosecuzione della terapia consiste nella graduale sospensione dell’antidepressivo una volta normalizzato l’umore, per poi continuare con stabilizzanti dell’umore.

DISTURBO BIPOLARE II

Qui i pz hanno anche EDM oltre che episodi ipomaniacali (alcuni ritengono per la terapia antidepressiva), ma non maniacali o misti. Si ha compromissione sociale e lavorativa. C’è una certa familiarità, l’incidenza è dello 0,5%.
L’EDM nei pazienti con Disturbo Bipolare II è meno grave e meno spesso ha sintomi psicotici. Ci possono essere abusi di sostanze.
La terapia è la stessa del Disturbo Bipolare I.

DISTURBO CICLOTIMCO

È l’alternarsi per almeno due anni di sintomi depressivi e ipomaniacali attenuati rispetti ai quadri maggiori. Anche qui possono esserci disagi sociali o lavorativi.

Quadro clinico: rapido viraggio da una fase all’altra (ognuna comunque di alcuni giorni) e si va da sonno aumentato o diminuito, maggiore ricerca o meno di relazioni, loquacità o mutismo… Nel 15%-50% evolve verso il Disturbo Bipolare I o II. Ha esordio lento e insidioso, con decorso cronico e fluttuante. Raramente il tono dell’umore è normale. Può esserci andamento stagionale (più depressione in inverno). La terapia antidepressiva può instaurare quadri ipomaniaci.

DISTURBO BIPOLARE NON ALTRIMENTI SPECIFICATO

Quando i criteri precedenti non sono soddisfatti. Vi sono un’alternanza molto rapida di sintomi depressivi e maniacali, che non soddisfano i criteri di durata minima per un EDM o Maniacale per esempio. Vi appartengono il Disturbo Bipolare Mascherato e il Disturbo Bipolare Subsindromico.

giovedì 16 luglio 2009


Disturbi schizofrenici

EZIOLOGIA E PATOGENESI
È un campo molto complesso. Vi sono fattori biologici, psicologici, sociali e una multideterminazione in generale che porta il clinico ad avere prospettive molto allargate. L’eziologia quindi è molto varia e può riguardare campi diversi.

Teorie biologiche
Si possono trovare allargamenti ventricolari, patologia del sistema limbico, del talamo, della corteccia, di neurotrasmettitori… Non vi è comunque una caratteristica comune per tutti i pz. Esistono diversi fattori che possono essere alterati.

Fattori biochimici: la prima ipotesi è che ci sia un eccesso dell’attività neurotrasmettitoriale dopaminergica cerebrale. Per molto tempo quindi sono stati i farmaci antidopaminergici (soprattutto sui recettori D2) ad essere usati. Oggi ciò non è del tutto chiarito se l’iperfunzione dopaminergica sia per suo eccessivo rilascio e/o un eccesso di recettori dopaminergici (che sono di 5 tipi).
Le incertezze hanno portato a pensare imputati anche altri neurotrasmettitori: per esempio l’LSD crea sintomi analoghi alla schizofrenia agisce a livello serotoninergico, così come l’amfetamina che aumenta l’attività dopaminergica.
Questa ipotesi pare confermata dall’efficacia di neurolettici antagonisti per i recettori 5HT2 che portano un miglioramento dei sintomi negativi con ridotte o assenti manifestazioni collaterali di tipo extrapiramidale.
Inoltre si tiene in considerazione anche il sistema noradrenergico per via della sua azione modulatrice sul sistema dopaminergico; il sistema GABAergico per una riduzione dei rispettivi neuroni nell’ippocampo.
Pare ci sia anche il coinvolgimento delle endorfine (neuropeptidi cerebrali oppioidi).

Fattori genetici: ha una familiarità; per la patogenesi sono coinvolti il braccio lungo dei cromosomi 5, 11 e 18, il corto del 19 e il cromosoma X. La schizofrenia è quindi geneticamente eterogenea.

Fattori neuroanatomici e neurofunzionali: riduzione volume di amigdala e ippocampo, allargamento dei ventricoli, atrofia cerebellare, talvolta riduzione delle dimensioni dei lobi frontali. Esistono molti studi sulla valutazione dei danni cerebrali precoci che possono interferire con i normali processi maturativi (complicanze ostetriche come parto prematuro, ipossia…); anche infezioni materne possono rendere vulnerabili.
Gli studi più recenti evidenziano un’iperattività dopaminergica sottocorticale con ipofunzione dopaminergica cortico-frontale (con aumento di neuroni postsinaptici e riduzione di neuroni presinaptici); in seguito quindi a stimoli o stress si avrebbe una risposta dopaminergica sottocorticale sproporzionata.

Teorie sociali: importanti anche per colmare alcuni pochi fondamenti scientifici. Tipici sono gli esempi di genitore patogeno, come la figura della madre schizofrenogenetica: donna autoritaria, scostante, fredda, invadente, intrusiva, o al contrario iperprotettiva, indulgente, portata a generare confusione tra la propria identità e quella del figlio. La figura del padre schizofrenogenetica è invece con personalità passiva, assente, indifferente, immatura, oppure tirannica e sadica. Secondo la teoria delle tre generazioni invece occorrono tre generazioni per il sommarsi sufficiente di immaturità psicologiche a creare uno schizofrenico; ciò è dovuto al mancato riconoscimento dell’individualità dell’altro.
Caratteristici sono anche il divorzio emotivo, ovvero genitori che vivono i figli come campi di battaglia in cui agiscono i loro conflitti, e il doppio messaggio, la madre tipicamente dice di fare due cose le quali una contraddice l’altra e quindi obbedendo si disobbedisce.

La teoria della vulnerabità: è dovuta al deficit di ricezione e elaborazione di informazioni sotteso da un’alterazione neurofisiologica e neurotrasmettitoriale limbica. Ovvero quando fattori emotivi o situazionali superano la capacità del soggetto di processare le informazioni si instaura il processo psicopatologico. Qui si identificano sintomi di base, sintomi non tipicamente schizofrenici derivati da eventi elementari e confinati alla sfera soggettiva dell’autopercezione.

Teorie psicodinamiche: per alcuni autori la schizofrenia (s.) deriva dal mancato superamento o insufficiente elaborazione della posizione schizoparanoide che caratterizza fisiologicamen-te la dimensione relazionale con la madre per un certo periodo di tempo.
Per alti deriva da cure materne insufficientemente buone che avevano costretto il bambino a confrontarsi con l’angoscia di disintregrazione, con la necessità di mantenere le difese schizoparanoidi per sopravvivere. È quindi un fallimento della funzione materna, del processo evolutivo psicologico del figlio, con incarceramento di entrambi in una relazione dominata da ostilità e distruttività.
Sono state formulate poi due teorie: la prima è basata sul modello del conflitto che considera il transfert narcisistico psicotico solo come un transfert più arcaico o rudimentale, con fissazioni più retrograde impulsi aggressivi intensi i quali rendono necessarie difese più rigide.
La seconda si basa sul modello del deficit, secondo la quale la schizofrenia è un deficit dell’Io che in condizioni molto stressanti porta a perdita di senso di sè.

Diagnosi, sintomi e quadri sindromici
Non esiste un’entità unica di disturbo, con quadri specifici, soprattutto per le svariate anomalie biologiche attribuite agli schizofrenici, con dati spesso contradditori.
Sintomi: ci sono tre grandi dimensioni sintomatologiche.

1) Distorsione della realtà e disorganizzazione del pensiero: comprende i sintomi positivi e il comportamento bizzarro:

* Allucinazioni
* Deliri
* Disturbo formale positivo del pensiero (eloquio fluente ma sconnesso, con idee inusuali con strani fonemi e atteggiamento distratto); vengono descritti qui il deragliamento, l’insalata di parole, l’incoereza...
* Comportamento bizzarro, sia per il vestire e l’esteriore che per condotte sociali o sessuali inappropriate, ripetitive o stereotipate.

2) impoverimento affettivo: comprende i sintomi negativi, per alcuni fondamentali della s.

* Appiattimento affettivo
* Alogia, con povertà di contenuto, vuotezza del discorso, povertà del linguaggio, blocco con interruzione o intoppo episodico del discorso, aumentata latenza di risp.
* Abulia-apatia, si ha ridotta cura e igiene del pz, incostanza in scuola e lavoro
* Anedonia-asocialità.

3) deficit neuropsicologici

* Deficit della working memory (memoria di lavoro o operativa)
* Deficit del mantenimento dell’attenzione
* Deficit delle funzioni esecutive (programmazione, pianificazione delle strategie, ragionamento e sensibilità cognitiva).

Diagnosi: ne esistono 4 tipi, la simplex, l’ebefrenica, la catatonica e la paranoide. I criteri diagnostici usati dal DSM-IV-TR sono:

* Sintomi caratteristici, due o più tra allucinazioni, deliri, eloquio disorganizzato, comportamento disorganizzato o catatonico, i sintomi negativi di prima. Se il pz sente voci che lo commentano, o più voci che parlano tra di loro, è sufficiente
* Disfunzione sociale lavorativa
* Durata, per almeno 6 mesi con sintomo fra quelli di prima
* Esclusione del disturbo schizoaffettivo e dell’umore, ovvero non devono esserci segni di EDM, EM, misto
* Esclusione di assunzione di sostanze o di condizioni mediche generali
* Relazione con un disturbo pervasivo dello sviluppo, tipo l’autismo.

Schizofrenia simplex
È la più sfuggente, meno vistosa, può essere riconosciuta anche dopo anni. Esordio giovanile. Più e precoce, peggiore è la prognosi.
Sintomi: il giovane, da sempre timido e riservato, ha acuito queste caratteristiche oppure se prima normale diventa molto chiuso, progressivamente anche con i familiari, sino a non uscire più da camera sua, non mangiare con altri, non rispondere a domande (processo autistico). Le poche volte che parla fa discorsi strani, lontani dalla quotidianità: allontanamento anche dei pensieri quindi, sino a deliri a cui spesso non si danno peso perchè magari ciò che si dice lo si è detto con superficialità, quindi non ci si fa tanto caso. Essi possono non esserci (ecco perchè Bleuler, l’inventore della parola schizofrenia, non li ha descritti).

Schizofrenia ebefrenica (o disorganizzata)
Il nome deriva da ebefrenia (= psicosi). Esordio in età adolescenziale, con sintomo predominante la disorganizzazione del pensiero (ma appare soprattutto negli stadi avanzati). Anche qui, più l’esordio è precoce, peggiore è la prognosi. Spesso si ha un lungo decorso subdolo con schizofrenia simplex; nella s. ebefrenica l’esordio è acuto. Si hanno quindi discorsi deliranti improvvisamente emersi o allucinazioni anche, comportamenti anomali, umore incomprensibile, fuga da casa... e poi si arriva alla disorganizzazione del pensiero.

Schizofrenia paranoide
È la forma più tipica, con paranoia e chiari disturbi deliranti allucinatori, che qui sono mutevoli: oggi sono di un tipo domani no, per lasciare spazio ad altre visioni; spesso cronici, possono sfumare per poi riacutizzarsi.
* Deliri persecutori, i più frequenti, qualcosa-qualcuno mi danneggia
* Deliri mistici-religiosi, in senso positivo o negativo
* Deliri ipocondriaci, avere sicuramente una malattia grave che porta a morte (da non confondere con ipocondria, che è solo la preoccupazione di avere la malattia)
* Deliri di grandezza, megalomanici, con allegria patologica, ad es: con un braccio sollevo 100 kg, sono miliardario...
Non sono deliri transitori, tendono a permanere per tutta la malattia. Spesso sono associate allucinazioni (uditive, le più frequenti: sentire voci, di conoscenti o non, angoscianti o incoraggianti (ma comunque interferenze); il pz parla tra sé e sé per rispondere a queste voci; tipica è la voce che commenta quello che il pz fa.
Sono più rare allucinazioni ad altri sensi, le visive sono più spesso da abuso di sostanze o disturbi vascolari.
Allucinazioni dall’interno del proprio corpo (celestesiche): sentirsi qualcosa dentro, spesso associate a deliri ipocondriaci (il mio fegato si sta spappolando)
Allucinazioni olfattive: rare, spesso con delirio ipocondriaco (ho una grave malattia e sento in me -o fuori- il suo odore)
Questa forma si presenta spesso con il pz diffidente, sospettoso. L’esordio è più tardivo che nelle precedenti.

Schizofrenia catatonica
La catatonia è un disturbo del tono muscolare, con aumento dei muscoli antagonisti, si ha “pastosità”; si ha aumento del tono muscolare, difficoltà a mobilizzare un arto in estensione e flessione (a differenza della paresi, difficoltà solo in flessione o in estensione). Si ha la flexibilitas cerea, gli arti sono come di cera, si piegano ma con fatica. Si hanno disturbi di attività psicomotoria, con rallentamento, sino al blocco, o accelerazione, sino a crisi motoria, agitazione.
Ormai è meno frequente per la buona risposta farmacologica, molto più presente che in altre s. Un tempo si arrivava sino alla morte per blocco psicomotorio, ad esempio non riuscendo più a deglutire, per disidratazione o ventilazione non corretta che facilitava infezioni; sono rischi ormai quasi passati. Al contrario si possono avere incontenibili crisi motorie.
In un pz possono presentarsi entrambi gli episodi, in momenti diversi, o solo uno di essi.
Alzo un braccio, lo lascio e rimane alzato; possono esserci comunque deliri e allucinazioni.
Sono presenti anche negativismo estremo (rifiuto di tutti i comandi), mutacismo, ecolalia o ecoprassia, postura fissa, manierismi, smorfie.

Schizofrenia residuale
Cronicizzazione di una delle 4 forme di prima, i cui sono cronici i sintomi positivi, disorganizzazione, deliri, allucinazioni, o i sintomi negativi (autismo...).
Qui il pz ormai è incapsulato, con attività mentale ormai impossibile da cogliere e incomprensibile.

Terapia
Si usano neurolettici (con attività di blocco dei recettori D2 postsinaptici o con prevalente blocco di recettori α-adrenergici o serotoninergici 5HT2, a seconda della sintomatologia). Non hanno funzione antischizofrenica, ma antipsicotica.
Si deve effettuare anche una psicoterapia indirizzata all’appoggio e al favorire la stabilità della terapia, cercando di rafforzare le parti “sane” della persona.
Sono previsti anche interventi per acquisire abilità sociali o per il recupero di esse, tramite centri, comunità, per favorire un reinserimento sociale e lavorativo protetto e graduale.